Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.4950 del 15/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

Dott. CENICCOLA Aldo – est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 15012/2020 proposto da M.R.A., rapp.to e difeso per procura in calce al ricorso dall’avv. Rosaria Tassinari, presso la quale elettivamente domicilia in Forlì al Viale G. Matteotti n. 115;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno, in persona del Ministro p.t. (*****), rapp.to e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12, costituito al solo fine di partecipare ex art. 370 c.p.c., comma 1, all’eventuale udienza di discussione della controversia;

– resistente –

avverso il decreto n. 3055/20, depositato in data 4 maggio 2020, del tribunale di Bologna;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 26 ottobre 2021 dal relatore Dott. Aldo Ceniccola.

RILEVATO

che:

Il Tribunale di Bologna, sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, con decreto in data 4 maggio 2020, confermava il provvedimento di rigetto pronunciato dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Bologna in ordine alla istanza avanzata da M.R.A. nato in ***** il *****, volta, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria e del diritto alla protezione umanitaria.

Il tribunale di Bologna, in particolare, escludeva il riconoscimento dello status di rifugiato, nonché la protezione sussidiaria (D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a e b), considerando prive di coerenza sia esterna che interna le dichiarazioni rese dal ricorrente circa le ragioni che lo avevano indotto ad abbandonare il Paese di provenienza.

Il richiedente, in particolare, aveva narrato di essere stato il presidente dell’associazione giovani cattolici del villaggio e di aver ricevuto l’incarico di domandare la concessione di un terreno per la costruzione di una chiesa; i musulmani, contrari a tale progetto, avevano attaccato la sua casa ed ucciso il padre.

Il tribunale, tuttavia, considerava non credibile il racconto, sottolineandone varie contraddizioni: le informazioni disponibili evidenziavano, infatti, una convivenza pacifica tra musulmani e cristiani; vi erano aspetti contraddittori tra quanto narrato alla Commissione e quanto dichiarato all’udienza; infine, anche se il racconto fosse stato veritiero, il ricorrente non aveva nemmeno tentato di rivolgersi alle autorità del proprio Paese per chiedere protezione.

Quanto alla condizione prevista dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), il tribunale escludeva, in base alle Coi disponibili, una situazione di violenza indiscriminata nella specifica regione di provenienza (*****).

Neppure la protezione umanitaria poteva essere riconosciuta, in quanto lo svolgimento per brevi periodi dell’attività lavorativa (in agricoltura in periodi estivi) non appariva sufficiente ad integrare una situazione di vulnerabilità, in quanto, secondo il giudice di merito, se è vero che il temporaneo inserimento lavorativo può essere valorizzato ai fini della protezione umanitaria, è anche vero che esso deve concorrere con altri fattori, mancanti nel caso in esame.

Averso tale decreto M.R.A. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Il Ministero dell’interno ha depositato una memoria al solo dichiarato fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione.

CONSIDERATO

che:

1. Il primo motivo lamenta la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 3 e 5 (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) in quanto, nel giudizio riguardante la credibilità del racconto, il tribunale avrebbe omesso di valutare il ragionevole sforzo, compiuto dal richiedente, per circostanziare la domanda; inoltre il tribunale avrebbe considerato decisive piccole lacune, non sufficienti, da sole, a ritenere inattendibile l’intera narrazione.

1.1. Il motivo è inammissibile.

1.2. Secondo l’orientamento costantemente espresso da questa Corte, “In materia di protezione internazionale, la valutazione di affidabilità del richiedente è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione che deve essere svolta alla luce dei criteri specifici, indicati dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, oltre che di quelli generali di ordine presuntivo, idonei ad illuminare circa la veridicità delle dichiarazioni rese; sicché, il giudice è tenuto a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda, i cui esiti in termini di inattendibilità costituiscono apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, se non nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5” (cfr. tra le tante Cass. 19/06/2020, n. 11925).

1.3. A tali criteri generali il tribunale si è correttamente attenuto, sia escludendo la credibilità estrinseca del narrato attraverso l’esame delle COI aggiornate (quanto alla situazione di pacifica convivenza delle religioni), sia puntualmente motivando sulle contraddizioni riguardanti la storia individuale del ricorrente (con riferimento ad aspetti niente affatto secondari, quanto all’individuazione del contesto e del momento in cui avvenne la morte del padre e del ruolo che avrebbe ricoperto il capo del villaggio nell’episodio riguardante l’attacco armato).

1.4. Tale valutazione, effettuata secondo i criteri previsti dalla legge, dà luogo pertanto ad un apprezzamento di fatto, riservato al giudice del merito.

2. Il secondo motivo denunzia la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c) (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), insistendo sulla situazione di violenza indiscriminata esistente nel Paese di provenienza.

2.1. Il motivo è inammissibile.

2.2. Da un lato, infatti, mentre il motivo insiste sulla situazione riguardante genericamente il *****, il tribunale riferisce, sì, di una situazione di conflitto, ma circoscrivendola a zone diverse dalla regione di provenienza del ricorrente; dall’altro, il richiedente omette di indicare eventuali fatti alternativi a quelli indicati dal tribunale, e decisivi ai fini delle sorti della controversia, desumibili da fonti più aggiornate rispetto a quelle tenute presenti dal giudice del merito.

3. Il terzo motivo lamenta la violazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 4, (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), insistendo sulla ricorrenza delle condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria.

3.1. Il motivo è inammissibile.

3.2. Deducendo, infatti, una violazione di legge, il ricorrente tende ad una diversa ricostruzione dei fatti in punto di sussistenza della situazione di vulnerabilità: il tribunale ha esaminato ed escluso, infatti, la ricorrenza dei presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, ritenendo non sufficiente l’attività lavorativa svolta per brevi periodi a manifestare un radicamento del ricorrente in Italia, escludendo poi l’esistenza di rilevanti profili di vulnerabilità.

3.3. Attraverso, dunque, la prospettazione del vizio di violazione di legge e con deduzioni peraltro generiche, il motivo si traduce, nella richiesta di un nuovo giudizio di merito in relazione alla sussistenza del profilo di vulnerabilità soggettiva, invece escluso in radice dal giudice del merito con apprezzamento in fatto che può essere censurato in questa sede solo nei ristretti limiti del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

4. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile e, in assenza di svolgimento di difese effettive da parte del Ministero, nessuna statuizione deve essere adottata sulle spese di lite.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2022

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