LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
Dott. CENICCOLA Aldo – est. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 22451/2020 proposto da C.C., rapp.to e difeso per procura in calce al ricorso dall’avv. Francesco Perone, presso il quale elettivamente domicilia in Pignola (PZ) alla Trav. A. Moro n. 17;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’interno, in persona del Ministro p.t. (*****), rapp.to e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12, costituito al solo fine di partecipare ex art. 370 c.p.c., comma 1, all’eventuale udienza di discussione della controversia;
– resistente –
avverso la sentenza n. 856/19, depositata in data 9 dicembre 2019, dalla Corte di Appello di Potenza;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 26 ottobre 2021 dal relatore Dott. Aldo Ceniccola.
RILEVATO
che:
La Corte di Appello di Potenza respingeva l’appello proposto da C.C., nato ad ***** (*****) il *****, avverso il provvedimento con la quale il Tribunale di Potenza aveva rigettato la domanda volta, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, la protezione sussidiaria e quella umanitaria.
Il ricorrente aveva narrato che, nello svolgimento della propria attività di camionista, si era recato nella regione di ***** dove aveva effettuato un carico di bestiame, recandosi successivamente ad ***** dove aveva lasciato il camion presso un amico; a seguito di un’esplosione, a suo dire causata dai terroristi di *****, il camion era andato distrutto ed il proprietario lo aveva minacciato di morte ove non fosse stato risarcito; precisava di non aver denunciato il fatto, per essere il proprietario legato ad un influente partito politico, sì che non avrebbe ricevuto protezione alcuna dalla polizia. Per tale ragione era stato costretto ad abbandonare la *****.
La Corte d’appello, dopo aver escluso che il ricorrente avesse assolto all’onere probatorio, non avendo fornito neppure in via indiziaria elementi atti a comprovare la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, escludeva anche la sussistenza delle condizioni per concedere la protezione sussidiaria, in quanto la valutazione del bagaglio probatorio non aveva permesso di restituire un racconto credibile, rappresentando piuttosto il mero tentativo di accreditare il pericolo di un danno insussistente perché connesso ad una minaccia di morte che gli avrebbe rivolto il proprietario del camion a seguito della distruzione di quest’ultimo.
Della presenza di *****, del resto, non vi era alcuna traccia nelle fonti internazionali acquisite d’ufficio dalla Corte. Quello narrato dal ricorrente risultava, allora, solo un fatto riconducibile alla criminalità comune, onde non poteva ravvisarsi alcuna situazione di pericolo di danno grave derivante da una situazione di conflitto interno o internazionale, per altro in un’area che non risulta la più pericolosa del paese, con conseguente inconfigurabilità dei presupposti della protezione sussidiaria.
Il ricorrente, infine, non aveva fornito alcun elemento tale da consentire alla Corte di ravvisare le condizioni per il rilascio del permesso per motivi umanitari, costituite dalla prova dell’inserimento sociale e lavorativo del ricorrente in Italia.
Avverso tale sentenza C.C. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi. Il Ministero dell’interno ha depositato una memoria al solo dichiarato fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione.
CONSIDERATO
che:
1. Il primo motivo si sofferma sul diniego della protezione sussidiaria, sottolineando, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3), 4) e 5), che i giudici di merito non avrebbero considerato un aspetto di grande importanza per la ricostruzione dei fatti e cioè che pur provenendo dall'*****, il richiedente, autista di camion, viaggiava in tutta la ***** ed i fatti narrati si erano svolti nel nord del Paese, nei pressi della citta di *****, sicché tale errore avrebbe determinato un vizio dell’intero processo decisionale. Inoltre, pur avendo il ricorrente compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda e reso dichiarazioni plausibili e coerenti, il giudice avrebbe violato il principio della cooperazione istruttoria, omettendo un esame completo, rigoroso ed approfondito della domanda. Del tutto trascurata, poi, da parte della Corte d’appello sarebbe stata l’indicazione delle fonti utilizzate per ritenere insussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria.
1.1. Il motivo è inammissibile.
1.2. Il ricorrente, partendo dal presupposto che la Corte avrebbe trascurato che gli attacchi terroristici si erano verificati in una zona diversa da quella di provenienza del ricorrente, sostiene che incombeva sul giudice di merito l’onere di verificare se, nella zona degli eventi e dunque nella parte settentrionale del Paese di origine, si fossero o meno verificati degli attacchi terroristici.
1.3. Il giudice di merito, tuttavia, non è affatto incorso nell’errore denunciato.
1.4. In primo luogo ha puntualmente accertato che della presenza del gruppo terroristico non vi era traccia nella regione dove si sarebbe svolto l’attentato, ponendo a fondamento di tale affermazione la consultazione di fonti internazionali acquisite d’ufficio.
1.5. Ne’ risponde al vero la circostanza secondo cui la Corte avrebbe omesso di indicare le fonti informative, risultando, al contrario, citato il rapporto Easo, risalente al 2016, data assai prossima a quella dell’abbandono del Paese, avvenuto nel 2015.
1.6. Inoltre il giudice di merito ha, invero, negato la presenza del gruppo terroristico con riferimento alla zona di provenienza del ricorrente, ma solo al fine di escludere un legame effettivo tra una concreta situazione di pericolo e la situazione individuale del richiedente.
2. Il secondo motivo (svolto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3), 4) e 5) si duole del mancato riconoscimento della protezione umanitaria, evidenziando, da un lato, come la situazione della ***** sia ben diversa da quella tenuta presente dai giudici di merito e, dall’altro, che andava indagato il livello di integrazione raggiunto dal richiedente asilo, effettuando una comparazione tra l’attuale situazione di vita e quella che si troverebbe ad affrontare in caso di rimpatrio.
2.1. Il motivo è inammissibile.
2.2. La doglianza, infatti, si risolve in una contestazione del tutto generica delle fonti informative utilizzate dal giudice di merito (senza nemmeno indicare l’esistenza di fonti alternative); inoltre il ricorrente invoca solo in astratto l’esigenza di indagine su detta integrazione, ovvero sulla comparazione tra le due condizioni alternative, senza però indicare quali circostanze siano state omesse o trascurate dalla Corte ed in quali sedi di merito esse siano state ritualmente rappresentate.
3. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile e, in assenza di svolgimento di difese effettive da parte del Ministero, nessuna statuizione deve essere adottata sulle spese di lite.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2022