LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
Dott. CENICCOLA Aldo – est. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 22453/2020 proposto da I.K., rapp.to e difeso per procura in calce al ricorso dall’avv. Francesco Perone, presso il quale elettivamente domicilia in Pignola (PZ) alla Trav. A. Moro n. 17;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’interno, in persona del Ministro p.t. (*****), rapp.to e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12, costituito al solo fine di partecipare ex art. 370 c.p.c., comma 1, all’eventuale udienza di discussione della controversia;
– resistente –
avverso la sentenza n. 855/19, depositata in data 9 dicembre 2019, dalla Corte di Appello di Potenza;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 26 ottobre 2021 dal relatore Dott. Aldo Ceniccola.
RILEVATO
che:
La Corte di Appello di Potenza respingeva l’appello proposto da I.K., nato ad ***** (*****) il *****, avverso il provvedimento con la quale il Tribunale di Potenza aveva rigettato la domanda volta, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, la protezione sussidiaria e quella umanitaria.
Il richiedente, originario della ***** del sud, aveva dichiarato di aver aderito ad una setta segreta, di cui non conosceva il nome, avente l’obiettivo di combattere altro gruppo non meglio precisato. Avendo manifestato l’intenzione di abbandonare la setta, gli altri membri avevano deciso di ucciderlo, sicché, avvertito di tale proposito da un amico, aveva deciso di lasciare il Paese.
La Corte escludeva la credibilità del racconto, in quanto il richiedente non era stato nemmeno in grado di precisare i nomi della presunta setta di appartenenza e del gruppo avverso, osservando che il fenomeno delle sette, pur presente per tradizione locale in *****, non è necessariamente collegato a fenomeni di violenza tra bande.
Inoltre l’area di provenienza del ricorrente non risultava tra le più pericolose del Paese, non potendosi perciò ravvisare i requisiti per la protezione sussidiaria.
Quanto alla protezione umanitaria, non solo il ricorrente non aveva documentato la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, nemmeno a tempo determinato, ma alcuna prova aveva fornito circa lo stabile e positivo inserimento in Italia.
Avverso tale sentenza I.K. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi. Il Ministero dell’interno ha depositato una memoria al solo dichiarato fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione.
CONSIDERATO
che:
1. Il primo motivo (articolato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) evidenzia che, pur avendo il ricorrente compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda e reso dichiarazioni coerenti e plausibili, la Corte d’appello avrebbe violato il dovere di cooperazione rispetto all’acquisizione della prova, omettendo di svolgere un esame completo, rigoroso ed approfondito della domanda.
1.1. Il motivo è inammissibile.
1.2. Secondo l’orientamento costantemente espresso da questa Corte, “In materia di protezione internazionale, la valutazione di affidabilità del richiedente è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione che deve essere svolta alla luce dei criteri specifici, indicati dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, oltre che di quelli generali di ordine presuntivo, idonei ad illuminare circa la veridicità delle dichiarazioni rese; sicché, il giudice è tenuto a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda, i cui esiti in termini di inattendibilità costituiscono apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, se non nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5” (cfr. tra le tante Cass. 19/06/2020, n. 11925).
1.3. A tali criteri generali la Corte d’appello si è correttamente attenuta, escludendo la credibilità intrinseca delle dichiarazioni, a cagione del fatto che il richiedente non era stato nemmeno in grado di indicare il nome del presunto gruppo di appartenenza e di quello contrapposto.
1.4. Tale valutazione, effettuata secondo i criteri previsti dalla legge, dà luogo pertanto ad un apprezzamento di fatto, riservato al giudice del merito.
2. Il secondo motivo (svolto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5) si duole del mancato riconoscimento della protezione umanitaria, evidenziando, da un lato, come la situazione della ***** sia ben diversa da quella tenuta presente dai giudici di merito e, dall’altro, che andava verificato il livello di integrazione raggiunto dal richiedente asilo, operando una comparazione tra l’attuale situazione di vita e quella che il ricorrente si troverebbe ad affrontare in caso di rimpatrio.
2.1. Il motivo è inammissibile.
2.2. Da un canto, infatti, la doglianza, laddove opera un riferimento alla situazione generale della *****, si traduce in censure di merito, prospettate in termini di mero dissenso, attraverso la prospettazione di una situazione (degrado e persistenza di lotte fra bande armate), opposta a quella accertata dalla Corte d’appello attraverso l’esame dei rapporti internazionali più aggiornati (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata); d’altro canto, il ricorrente ha omesso di indicare eventuali fatti significativi, alternativi a quelli indicati dal giudice di merito, e decisivi ai fini delle sorti della controversia, desumibili da fonti più aggiornate rispetto a quelle tenute presenti dal provvedimento impugnato.
2.3. Quanto alla necessità di procedere al giudizio di comparazione ai fini della protezione umanitaria, il ricorrente ha invocato solo in astratto l’esigenza di un’approfondita indagine sull’integrazione del ricorrente in Italia, senza però indicare né quali circostanze concrete siano state omesse o trascurate dalla Corte, né in quali sedi di merito esse siano state ritualmente rappresentate.
3. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile e, in assenza di svolgimento di difese effettive da parte del Ministero, nessuna statuizione deve essere adottata sulle spese di lite.
PQM
dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2022