Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.4962 del 15/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

Dott. CENICCOLA Aldo – est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 24887/2020 proposto da E.E., rapp.to e difeso per procura in calce al ricorso dall’avv. Francesco Tartini, con il quale elettivamente domicilia in Roma alla v. del Casale Strozzi n. 31 presso lo studio legale Barberio;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno, in persona del Ministro p.t. (*****), rapp.to e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12, costituito al solo fine di partecipare ex art. 370 c.p.c., comma 1, all’eventuale udienza di discussione della controversia;

– resistente –

avverso il decreto n. 7827/20, depositato in data 9 settembre 2020, del Tribunale di Venezia;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 26 ottobre 2021 dal relatore Dott. Aldo Ceniccola.

RILEVATO

che:

Il Tribunale di Venezia, sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, con decreto in data 9 settembre 2020, confermava il provvedimento di rigetto pronunciato dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Verona, in ordine alla istanza avanzata da E.E., nato in ***** il *****, volta, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria e del diritto alla protezione umanitaria.

Il ricorrente aveva dichiarato che il fratellastro organizzava regolarmente ogni domenica presso la comune abitazione degli incontri con i membri della confraternita dei *****, nel corso dei quali venivano pianificate delle rapine: oppostosi allo svolgimento di tali attività all’interno dell’abitazione, per il timore che la polizia lo ritenesse affiliato al culto, aveva deciso di denunciare i partecipanti. A seguito dell’arresto di tutti i presenti, il richiedente si era trasferito in altra città ma, dopo la morte in prigione di un affiliato, arrestato a seguito della denuncia, gli altri membri del culto avevano iniziato a perseguitarlo; perciò decideva di fuggire, lasciando il Paese di origine.

Il tribunale riteneva inattendibile la vicenda narrata a causa dell’estrema genericità del racconto: le attività della confraternita erano state descritte, infatti, in modo troppo generico, avendo il ricorrente semplicemente riferito che i membri della setta si riunivano dietro casa e di averli visti dalla finestra; nessuna prova vi era, inoltre, quanto all’incapacità delle autorità locali di tutelarlo da ulteriori minacce, posto che la polizia era prontamente intervenuta dopo la denuncia.

Negata, dunque, la ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, il tribunale escludeva anche le condizioni di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), in quanto dalle fonti informative consultate non emergeva alcuna situazione di violenza indiscriminata e generalizzata nel Paese di provenienza.

Quanto alla protezione umanitaria, il tribunale osservava che il ricorrente svolgeva, nel Paese di origine, la professione di elettricista, mentre in Italia non disponeva di un alloggio, non aveva dimostrato di disporre di redditi, né aveva documentato legami affettivi, sociali o lavorativi tali da far ritenere che il ritorno in ***** si traducesse in una compromissione dei suoi diritti fondamentali.

Averso tale decreto E.E. ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi. Il Ministero dell’interno ha depositato una memoria al solo dichiarato fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione.

CONSIDERATO

che:

1. Con i primi tre motivi (omesso esame di un fatto decisivo; violazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, e art. 35-bis e D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, commi 3 e 5; motivazione apparente e conseguente violazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4), il ricorrente si duole del fatto che il tribunale avrebbe omesso di prendere in considerazione l’aggressione subita dalla madre, documentata mediante la produzione di un certificato descrittivo delle lesioni subite, omettendo altresì di prendere in considerazione tutti i particolari del racconto, ossia che il fratello girava armato dopo la morte del padre, che lo sentiva parlare spesso al telefono delle rapine effettuate dalla banda e che gente del quartiere lo considerava come un piccolo boss locale. Il tribunale, inoltre, avrebbe omesso di prendere in considerazione specifiche fonti informative circa la diffusione del fenomeno dei cult *****, tema centrale del presente procedimento.

1.1. I motivi, che possono essere congiuntamente trattati in quanto connessi, sono inammissibili.

1.2. Secondo l’orientamento costantemente espresso da questa Corte, “In materia di protezione internazionale, la valutazione di affidabilità del richiedente è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione che deve essere svolta alla luce dei criteri specifici, indicati dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, oltre che di quelli generali di ordine presuntivo, idonei ad illuminare circa la veridicità delle dichiarazioni rese; sicché, il giudice è tenuto a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda, i cui esiti in termini di inattendibilità costituiscono apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, se non nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5” (cfr. tra le tante Cass. 19/06/2020, n. 11925).

1.3. A tali criteri generali il tribunale si è correttamente attenuto, sia escludendo la credibilità estrinseca del narrato attraverso la considerazione delle fonti più aggiornate, senza trascurare l’incidenza del fenomeno della diffusione delle sette nel Paese di provenienza, sia puntualmente motivando sulle contraddizioni riguardanti la storia individuale del ricorrente (riguardanti aspetti di sicuro rilievo nel contesto della vicenda narrata: cfr. pag. 4 e 5 dell’impugnato decreto).

1.4. Tale valutazione, effettuata secondo i criteri previsti dalla legge, dà luogo pertanto ad un apprezzamento di fatto, riservato al giudice del merito.

2. Il quarto e quinto motivo (rispettivamente riguardanti la mera apparenza della motivazione e la conseguente nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e la violazione di legge in relazione all’errata applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6), si dolgono della mancata valutazione della condizione di pericolo in cui verrebbe a trovarsi il ricorrente in caso di rientro in ***** e della mancata comparazione tra la prospettiva del rimpatrio e l’attuale situazione in Italia.

2.1. I motivi, che in quanto connessi possono essere congiuntamente esaminati, sono inammissibili.

2.2. Non solo, infatti, il tribunale ha correttamente trattato della situazione della ***** utilizzando COI più aggiornate (trattando delle condizioni di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), ma, esprimendo uno specifico accertamento in punto di fatto (che certamente supera il test del c.d. minimo motivazionale), ha evidenziato l’assenza di qualsiasi indice di vulnerabilità, correttamente comparando la situazione del richiedente in Italia (desunta dall’assenza di alloggio, dalla mancanza di reddito e dall’assenza di legami familiari o sociali) con quella in cui si troverebbe a seguito del rientro in Patria; non a caso, poi, il tribunale ha evidenziato che prima della partenza il richiedente svolgeva un’attività lavorativa.

2.3. Attraverso, dunque, la prospettazione del vizio di violazione di legge e con deduzioni peraltro generiche, il motivo si traduce, nella richiesta di un nuovo giudizio di merito in relazione alla sussistenza del profilo di vulnerabilità soggettiva, invece escluso in radice dal giudice di merito, con apprezzamento in fatto che può essere censurato in questa sede solo nei ristretti limiti del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

3. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile e, in assenza di svolgimento di difese effettive da parte del Ministero, nessuna statuizione deve essere adottata sulle spese di lite.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2022

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