Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.4971 del 15/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 420/2021 R.G., proposto da D.V. e P.C., rappresentati e difesi dall’avv. Bianca Salvatore, elettivamente domiciliati in Roma, Via Monte Zebio n. 19, presso l’avv. Russo Ornella;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI NOTO, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Barbiera Antonino, elettivamente domiciliato in Roma, alla Via Lungotevere dei Mellini n. 44, presso l’avv. Dragna Nicola;

– controricorrente –

avverso La sentenza della Corte d’appello di Catania n. 584/2020, depositata in data 9.3.2020.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 27.1.2022 dal Consigliere Fortunato Giuseppe.

RAGIONI IN FATTO IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. La Corte di appello di Catania ha respinto l’appello di D.V. e P.C., confermando la pronuncia con cui il tribunale aveva accolto l’opposizione del Comune di Noto e revocato i decreti ingiuntivi nn. 98/2010 e 99/2010, ottenuti dai ricorrenti per il pagamento delle competenze professionali relative – quanto alla prima ingiunzione – allo svolgimento di un incarico di progettazione di un impianto di crossodromo, conferito con delibera di giunta municipale n. 503/1983, e, quanto al secondo decreto monitorio, al progetto di adeguamento tecnico del primo elaborato, oggetto della nota n. 24502/2003.

La pronuncia ha evidenziato che sia l’iniziale l’incarico di progettazione, che quello di adeguamento progettuale erano carenti della forma scritta ad substantiam imposta a pena di nullità per la conclusione dei contratti con la pubblica amministrazione. In particolare, la nota 24502/2003, riguardante il secondo incarico, poteva al più integrare, se non un nuovo contratto, una mera modifica dell’incarico originario, parimenti nullo per vizio di forma.

Non sussisteva – secondo il giudice distrettuale – neppure la denunciata omissione di pronuncia sulla domanda di condanna al pagamento dell’indennizzo per ingiustificato arricchimento (domanda che il tribunale aveva implicitamente respinto, avendo stabilito che i progetti non erano stati utilizzati), né sulla domanda di pagamento oggetto dell’ingiunzione n. 9872010, che era stata revocata sempre per difetto della forma scritta del contratto professionale.

La cassazione della sentenza è chiesta da D.V. e da P.C. con ricorso affidato a tre motivi, cui resiste con controricorso il Comune di Noto.

Su proposta del relatore, secondo cui il ricorso, in quanto manifestamente inammissibile, poteva esser definito ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5, il Presidente ha fissato l’adunanza in camera di consiglio.

2. Il ricorso risulta notificato al Ministero della giustizia presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato e non presso l’Avvocatura generale. Non occorre disporre la rinnovazione della notifica, poiché, dato l’esito negativo dell’impugnazione, l’esigenza di contenere la durata del processo entro un termine ragionevole esonera dal compimento di attività processuali superflue e non necessarie per garantire il pieno dispiegamento dei diritti di difesa dell’amministrazione, che non risulta pregiudicata dalla decisione adottata.

3. Il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 1362 c.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, sostenendo che il compenso era stato richiesto in relazione ad un adeguamento progettuale reso necessario da sopraggiunte modifiche normative, sicché non si era in presenza di un nuovo incarico, ma del prolungamento (o rinnovo e/o proroga) di quello preesistente, per il quale non era necessaria la stipula di un nuovo contratto formale.

La censura è inammissibile.

Anzitutto, la sentenza di appello ha risolto le questioni in fatto in senso conforme alla pronuncia di primo grado, sicché, a norma dell’art. 348-ter c.p.c., comma 4, è preclusa in cassazione la denuncia di omesso esame di un fatto decisivo.

Quanto alla denunciata violazione di legge, il motivo è parimenti inammissibile ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1.

La Corte di merito ha evidenziato che già l’originario incarico di progettazione era privo della forma scritta ad substantiam, poiché alla delibera di incarico adottata dalla Giunta municipale, non aveva fatto seguito la conclusione di un contratto sottoscritto da entrambe le parti, e ha correttamente precisato che, anche a voler ritenere che il successivo incarico di adeguamento costituisse una mera integrazione o modifica, occorreva anche per quest’ultimo il rispetto della forma scritta.

Non era difatti possibile rinnovare o prolungare il contratto inizialmente nullo, occorrendo quantomeno, anche solo riguardo all’incarico di adeguamento progettuale, un accordo rispettoso dei requisiti formali imposti per la validità: ogni impegno contrattuale della p.a. è soggetto alla forma scritta, non rilevando che si tratti di proroga o rinnovo (Cass. 5179/1995; Cass. 14099/2004).

La stessa delibera di giunta, di cui all’originario incarico di progettazione, sostanziava un atto meramente interno dell’amministrazione comunale, non avendo rilievo né che detta delibera fosse immediatamente esecutiva, né che fosse stata portata a conoscenza della controparte (Cass. 6555/2014; Cass. 12316/2015; Cass. 13656/2013; Cass. 1167/2013; Cass. 8000/2010; Cass. 15296/2007; Cass. 1752/2007).

Il requisito della forma prescritto a pena di nullità, quale strumento di garanzia dell’imparzialità e del buon andamento della Pubblica Amministrazione, al fine di prevenire eventuali arbitrii e consentire l’esercizio della funzione di controllo, non può essere surrogato dalla deliberazione con cui l’organo competente a formare la volontà dell’ente abbia autorizzato il conferimento dell’incarico professionale, non essendo tale atto qualificabile come una proposta contrattuale (suscettibile di accettazione anche per fatti concludenti), ma come provvedimento ad efficacia interna, avente quale unico destinatario l’organo legittimato a manifestare all’esterno la volontà dell’ente (Cass. 6555/2014; Cass. 24679/2013; Cass. 1167/2013).

4. Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 2041 e 2042 c.c., D.L. n. 66 del 1989, art. 23, sostenendo che l’amministrazione aveva utilizzato il nuovo progetto, avendolo ricevuto, e che non poteva invocarsi la normativa in tema di debiti fuori bilancio, poiché l’incarico era precedente all’entrata in vigore della norma, dovendosi riconoscere ai ricorrenti quantomeno l’indennizzo per ingiustificato arricchimento.

Il motivo è inammissibile.

La circostanza che l’amministrazione avesse utilizzato i progetti e perciò conseguito un vantaggio economicamente apprezzabile, è stata esclusa dalla pronuncia, con accertamento che attiene al giudizio di fatto, incensurabile in cassazione.

Nessun arricchimento poteva ritenersi indebitamente conseguito dal Comune di Noto per effetto della mera consegna degli elaborati.

I ricorrenti non avevano – quindi – titolo a richiedere il pagamento dell’indennizzo ex art. 2041 c.c.: come hanno precisato le sezioni unite, la regola di carattere generale secondo cui non sono ammessi arricchimenti ingiustificati, né spostamenti patrimoniali ingiustificabili trova applicazione paritaria nei confronti del soggetto privato come dell’ente pubblico.

L’attore deve sempre provare il fatto oggettivo dell’arricchimento, senza che l’amministrazione possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso, potendo essa, piuttosto, eccepire e dimostrare che l’arricchimento non fu voluto o non fu consapevole (Cass. s.u. 10798/2015; Cass. 22182/2015; Cass. 15937/2017; Cass. 11209/2019; Cass. 24642/2020).

Perde rilievo anche l’eccepita inapplicabilità del D.L. n. 66 del 1989, art. 89, a fronte della ritenuta insussistenza dell’utilitas della prestazione, mancando i presupposti applicativi dell’art. 2041 c.c..

5. Il terzo motivo denuncia la violazione della L. n. 143 del 1949, artt. 10-18, art. 115 c.p.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, esponendo che il ricorrente aveva chiesto il pagamento dei compensi per l’incarico parziale, oggetto della delibera di giunta poi sospesa, e che la Corte di merito abbia erroneamente respinto le domande per la ritenuta nullità del contratto, pur in assenza di contestazioni e senza tener conto che la delibera di giunta aveva approvato anche il disciplinare di incarico.

Il motivo è inammissibile, poiché, anzitutto, la nullità dell’incarico per difetto di forma era rilevabile d’ufficio, non potendo valere la non contestazione dell’amministrazione opponente (Cass. 19251/2019; Cass. 15050/2018; Cass. s.u. 26243/2014).

L’assenza ab origine di un valido titolo contrattuale non dava diritto neppure al pagamento del compenso per incarico parziale: la radicale invalidità del rapporto per difetto di forma non legittimava alcun pagamento, restando ininfluente la sospensione della delibera di incarico, disposta dall’amministrazione, non potendo configurarsi un’esecuzione anche solo parziale del contratto nullo.

Si è poi già precisato che il contratto d’opera professionale con la pubblica amministrazione deve rivestire la forma scritta “ad substantiam” e l’osservanza di tale forma richiede la redazione di un atto recante la sottoscrizione del professionista e dell’organo dell’ente legittimato ad esprimerne la volontà all’esterno, nonché l’indicazione dell’oggetto della prestazione e l’entità del compenso, dovendo escludersi che, ai fini della validità del contratto, la sua sussistenza possa ricavarsi dalla delibera dell’organo collegiale dell’ente che abbia autorizzato il conferimento dell’incarico o approvato il relativo disciplinare, trattandosi di un atto di rilevanza interna di natura autorizzatoria (Cass. 11465/2020; Cass. 1167/2013).

Il ricorso è quindi inammissibile, con aggravio delle spese processuali liquidate in dispositivo.

Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti il solido al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5000,00 per compensi, oltre ad accessori di legge e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2022

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