LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –
Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –
Dott. ROSSI Raffaele – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 6913-2015 R.G., proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, cf *****, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis;
– Ricorrente –
contro
D.C.B.;
– Intimato –
Avverso la sentenza n. 7566/12/2014 della Commissione tributaria regionale della Campania, sez. staccata di Salerno, depositata l’11.08.2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio l’11 novembre 2021 dal Consigliere Dott. Francesco FEDERICI.
PREMESSO che:
l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso avverso la sentenza n. 7566/12/2014, depositata l’11.08.2014 dalla Commissione tributaria regionale della Campania, sez. staccata di Salerno, con la quale, in riforma della decisione assunta dal giudice di primo grado, era riconosciuta la legittimità degli avvisi di accertamento notificati a D.C.B., ad eccezione delle sanzioni comminate.
Ha riferito che al contribuente erano stati notificati due atti impositivi, relativi agli anni d’imposta 2005 e 2006, a seguito di verifica eseguita ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d). Con essi erano recuperati ad imponibile costi non deducibili o non documentati, con conseguente determinazione di un maggior reddito ai fini Iva, Irpef ed Irap. Con gli avvisi di accertamento furono comminate sanzioni ai sensi del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, e del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 32.
Il contribuente, contestando gli esiti degli accertamenti, impugnò con separati ricorsi i due avvisi. La Commissione tributaria provinciale di Salerno, previa riunione dei medesimi, con sentenza n. 479/16/2011 accolse parzialmente le doglianze del contribuente, riducendo il maggior reddito contestato. Entrambe le parti, ciascuna per quanto soccombente, appellarono la sentenza dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Campania, sez. staccata di Salerno, che con la pronuncia ora al vaglio della Corte confermò nella sua interezza gli avvisi di accertamento, ad eccezione delle sanzioni. Il giudice d’appello ha sostenuto che il meccanismo costruito dal professionista, esercente l’attività di architetto, avesse finalità puramente elusive, e che non fossero giustificati i costi dedotti, né che fossero inerenti alla sua attività professionale. Ha invece ritenuto che non trovassero applicazione le sanzioni comminate, non previste dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis.
L’Amministrazione finanziaria ha censurato con due motivi la decisione, chiedendone la cassazione. Il contribuente, cui tempestivamente risulta eseguita la notifica presso il domicilio dichiarato e riportato in sentenza il ricorso, non ha inteso resistere.
Nell’adunanza camerale dell’11 novembre 2021 la causa è stata trattata e decisa.
CONSIDERATO
che:
con il primo motivo la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 324 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, perché il giudice regionale, nell’annullare le sanzioni, pur confermando integralmente l’impianto degli atti impositivi, ha pronunciato ultra petita;
con il secondo motivo l’Agenzia delle entrate ha denunciato la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis e art. 39, comma 1, nonché del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 1 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Il primo motivo, con il quale il ricorrente ufficio si duole della nullità della sentenza nella parte in cui il giudice regionale ha annullato le sanzioni comminate con gli atti impositivi, è fondato. Con le ragioni dell’appello incidentale, riportate nel ricorso per cassazione in osservanza del principio di autosufficienza, il contribuente, cui pure la decisione del giudice di primo grado aveva ridotto le pretese fiscali dell’Amministrazione finanziaria, aveva insistito sulle carenze della sentenza relativamente alla normativa regolante l’attività accertativa posta in essere dall’Agenzia delle entrate, nonché sulle censure proposte in ordine alla notifica degli atti impositivi. Nessuna critica invece era stata sollevata sul fondamento delle sanzioni comminate. Ora, sebbene l’accoglimento parziale delle doglianze del contribuente avesse avuto riflessi sulla quantificazione delle sanzioni, dal contenuto dell’appello incidentale non emerge, né la sentenza ora impugnata ne attesta la presenza, che il contribuente abbia mai messo in discussione il fondamento giuridico delle sanzioni, ossia che queste fossero state illegittimamente comminate, per carenza di una previsione normativa riconducibile alla dichiarazione di costi non deducibili o non inerenti, con violazione del D.P.R., art. 37 bis e art. 39, comma 1. La pronuncia del giudice regionale, limitatamente alle statuizioni sulle sanzioni, è ultra petita, con conseguente vizio radicale della stessa.
E’ comunque fondato anche il secondo motivo, con il quale l’Agenzia delle entrate si duole dell’errore di diritto in cui il giudice regionale è incorso nel sostenere la mancanza di riferimenti normativi per le sanzioni comminate. Nella pronuncia si è affermato che “il Collegio, pur riconoscendo la legittimità e la fondatezza degli avvisi di accertamento, non condivide l’applicabilità, nel caso di specie, delle sanzioni, in quanto il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis non prevede sanzioni e risulta quindi illegittimo “punire” il contribuente per effetto della sola violazione della norma antielusiva generale. In altre parole, il potere sanzionatorio dell’amministrazione finanziaria può essere legittimamente esercitato solo in presenza di una “specifica disposizione di legge che ricolleghi a un dato comportamento una determinata sanzione amministrativa””.
La motivazione del giudice d’appello è priva di pregio, atteso che con gli avvisi di accertamento l’ufficio contestò la deducibilità ed inerenza dei costi. Ritenne pertanto quei costi indeducibili, per l’effetto rideterminando l’imponibile e le maggiori conseguenti imposte. Ebbene, il D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 1 per quanto qui di interesse, così recita “1…… 2. Se nella dichiarazione è indicato, aì fini delle singole imposte, un reddito o un valore della produzione imponibile inferiore a quello accertato, o, comunque, un’imposta inferiore a quella dovuta o un credito superiore a quello spettante, si applica la sanzione amministrativa dal novanta al centoottanta per cento della maggior imposta dovuta o della differenza del credito utilizzato. La stessa sanzione si applica se nella dichiarazione sono esposte indebite detrazioni d’imposta ovvero indebite deduzioni dall’imponibile, anche se esse sono state attribuite in sede di ritenuta alla fonte. 3. La sanzione di cui al comma precedente è aumentata della metà quando la violazione è realizzata mediante l’utilizzo di documentazione falsa o per operazioni inesistenti, mediante artifici o raggiri, condotte simulatorie o fraudolente. 4. Fuori dai casi di cui al comma 3, la sanzione di cui al comma 2 è ridotta di un terzo quando la maggiore imposta o il minore credito accertati sono complessivamente inferiori al tre per cento dell’imposta e del credito dichiarati e comunque complessivamente inferiori a Euro 30.000. La medesima riduzione sì applica quando, fuori dai casi di cui al comma 3, l’infedeltà è conseguenza di un errore sull’imputazione temporale di elementi positivi o negativi di reddito, purché il componente positivo abbia già concorso alla determinazione del reddito nell’annualità in cui interviene l’attività di accertamento o in una precedente. Se non vi è alcun danno per l’Erario, la sanzione è pari a Euro 250. 5. Per maggiore imposta si intende la differenza tra l’ammontare del tributo liquidato in base all’accertamento e quello liquidabile in base alle dichiarazioni ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 36-bis e 36-ter”. La norma disciplina dunque le sanzioni amministrative applicabili nell’ipotesi di violazioni riguardanti le dichiarazioni delle imposte sui redditi e quelle in materia di Irap. Il D.Lgs. n. 471, art. 5 regola le sanzioni in materia di Iva. Del tutto erronea è dunque la decisione, che ha ritenuto come mancasse una specifica previsione normativa a fronte delle violazioni contestate dall’Amministrazione finanziaria nei riguardi del D.C..
La sentenza va in definitiva cassata limitatamente alle statuizioni assunte dal giudice regionale sulle sanzioni. Poiché per decidere la causa non vi è necessità di procedere ad ulteriori accertamenti in fatto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, u.p., la causa può essere decisa nel merito. A tal fine, poiché all’esito della controversia, già in sede d’appello, ha trovato piena conferma la rideterminazione dell’imponibile e delle imposte, come pretese dall’Amministrazione finanziaria, gli avvisi di accertamento impugnati vanno confermati anche in ordine alle sanzioni comminate.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, e vanno liquidate nella misura specificata in dispositivo, mentre, con riferimento ai gradi di merito, si ritiene corretta la loro compensazione.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza limitatamente al capo di essa impugnato e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente anche in ordine alle sanzioni amministrative comminate con gli avvisi di accertamento. Condanna il D.C. alla rifusione in favore della Agenzia delle entrate delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano nella misura di Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito. Compensa le spese processuali dei gradi di merito.
Così deciso in Roma, il 11 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2022