Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.5024 del 16/02/2022

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 30022/2019 proposto da:

L.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIAMBATTISTA VICO 22, presso lo studio dell’avvocato GIANLUIGI ORANGES, rappresentato e difeso dall’avvocato ALESSANDRO DI DATO;

– ricorrente –

contro

S.F., rappresentata e difesa dagli avv.ti ROBERTO COLANTONIO, MARIO ALDO COLANTONIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3728/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 04/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/12/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO;

udito L’avv. DI DATO ALESSANDRO, che chiede di poter rinnovare la notifica del ricorso alla parte personalmente, insiste sull’accoglimento del ricorso;

udito l’avv. COLANTONIO ROBERTO, che si riporta alle conclusioni in atti;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEPE Alessandro, che ha concluso per l’inammissibilità o per il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. La vicenda, per quel che qui rileva, può sintetizzarsi nei termini seguenti.

S.F., la quale aveva comprato nel ***** un immobile da L.G., citò in giudizio l’alienante. L’attrice, dopo aver premesso che il L. aveva dichiarato nell’atto di vendita che il fabbricato era conforme all’originario titolo abilitativo, di epoca anteriore al 1967, salvo che per talune successive modifiche, per le quali aveva chiesto condono, che, per contro, nel 2011 era stato revocato il provvedimento con il quale era stata accolta la domanda di sanatoria, poiché emesso in assenza della necessaria autorizzazione paesaggistica e che era stata ordinata dall’autorità amministrativa la demolizione, chiese l’annullamento per dolo e/o errore del contratto di compravendita, ovvero che lo stesso fosse risolto ai sensi dell’art. 1453 c.c., essendo rimasti violati gli artt. 1489,1490 e 1491 c.c..

1.1. Il Tribunale rigettò la domanda evidenziando che il vincolo in parola esisteva sin da prima dell’acquisto del L. (D.M. 25 gennaio 1958) ed era opponibile anche ai successivi proprietari; che l’intero fabbricato risultava sottoposto alle disposizioni di cui alla parte terza del D.Lgs. n. 42 del 2004 (art. 157), poiché insisteva all’interno del perimetro delle zone vincolate dal predetto D.M., a sua volta emesso ai sensi della L. n. 1497 del 1939, e che l’ignoranza della legge non ammette scuse; che il venditore si era limitato a riportare le dichiarazioni contrattuali del suo dante causa; che non poteva invocarsi neppure l’errore per difetto di riconoscibilità; che, infine, nessun inadempimento poteva addebitarsi all’alienante.

1.2. La Corte d’appello di Napoli, con la sentenza di cui in epigrafe, accolta l’impugnazione proposta da S.F., in riforma della sentenza di primo grado, “dichiara l’annullamento (rectius: annulla), ex art. 1429 c.c., dell’atto pubblico di compravendita” e condannò il L. a restituire all’appellante il prezzo versato.

La sentenza d’appello, per quel che qui rileva, si fonda, in sintesi, sulla “ratio decidendi” di cui appresso:

a) si era in presenza di un “errore bilaterale” (che, cioè aveva riguardato oltre la parte acquirente, anche quella alienante), di talché, secondo il principio enunciato in sede di legittimità, non assumeva rilievo il requisito della riconoscibilità, ma solo quello dell’essenzialità;

b) “i vincoli urbanistici impressi a determinati beni da atti generali aventi forza di legge risultano opponibili erga omnes, ma ad avviso della Corte, ricondurre la fattispecie de qua, sic et simpliciter, a simile affermazione di principio risulta estremamente riduttivo ed oltremodo pregiudizievole dei diritti dell’odierna appellante”, la quale, dopo aver versato l’intero prezzo, a cagione della radicalità dell’abuso edilizio era esposta alla massima sanzione della demolizione; per contro “La sussistenza di titoli abilitativi, addirittura ante 1967, in una con ben due successive pratiche di condono con esito (in prima battuta) peraltro favorevole, sono risultate senz’altro idonee a generare nell’acquirente l’errore (essenziale) in ordine alla qualità del oggetto del contratto, sulla cui legittimità e secondo l’id quod plerumque accidit, era ragionevole riporre sicuro affidamento”.

2. L.G. ricorre avverso quest’ultima statuizione sulla base di sei motivi. S.F. resiste con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente va presa in esame l’eccezione di tardività del ricorso prospettata dalla controricorrente.

1.1. Non è controverso che la sentenza d’appello venne ritualmente notificata al L. il 4 luglio 2019; da quel giorno, pertanto iniziò a decorrere il termine breve, di cui all’art. 325 c.p.c., comma 2, di sessanta giorni, che veniva a scadere il 3 ottobre 2019. Il ricorso, dopo un primo tentativo di notifica, del 3 ottobre 2019, all’avv. Renato Ruocco (difensore e procuratore della S.), in *****, andato fallito, essendo risultato sconosciuto al sito il destinatario della notificazione, venne notificato l’8 ottobre 2019 al predetto avvocato, nel suo domicilio, dichiarato in atti, in *****.

2. Il ricorso è tardivo e, quindi, inammissibile.

Invero, siccome si trae dagli atti (relate di notifica e sentenza d’appello) la prima notifica non può che dirsi radicalmente inesistente e, quindi, non suscettibile di sanatoria attraverso tempestiva rinnovazione dell’atto, essendo stata tentata presso indirizzo del tutto irrelato al domicilio dell’avvocato Renato Ruoppo, procuratore nel grado d’appello della S.. Per errore, infatti, quella prima notifica fu tentata all’indirizzo d’abitazione dello stresso ricorrente (si veda la intestazione del ricorso), cioè in *****.

Occorre partire dal principio enunciato da questa Corte, secondo il quale in tema di impugnazione, la notifica presso il procuratore costituito o domiciliatario va effettuata nel domicilio da lui eletto nel giudizio, se esercente l’ufficio in un circondario diverso da quello di assegnazione, o, altrimenti, nel suo domicilio effettivo, previo riscontro, da parte del notificante, delle risultanze dell’albo professionale, dovendosi escludere che tale onere di verifica attuabile anche per via informatica o telematica – arrechi un significativo pregiudizio temporale o impedisca di fruire, per l’intero, dei termini di impugnazione. Ove, peraltro, la notifica in detti luoghi abbia avuto ugualmente esito negativo per caso fortuito o forza maggiore (per la mancata od intempestiva comunicazione del mutamento del domicilio o per il ritardo della sua annotazione ovvero per la morte del procuratore o, comunque, per altro fatto non imputabile al richiedente attestato dall’ufficiale giudiziario), il procedimento notificatorio, ancora nella fase perfezionativa per il notificante, può essere riattivato e concluso, anche dopo il decorso dei relativi termini, mediante istanza al giudice “ad quem”, corredata dall’attestazione dell’omessa notifica, di fissazione di un termine perentorio per il completamento della notificazione ovvero, ove la tardiva notifica dell’atto di impugnazione possa comportare la nullità per il mancato rispetto dei termini di comparizione, per la rinnovazione dell’impugnazione ai sensi dell’art. 164 c.p.c., (S.U. n. 3818, 18/2/2009, Rv. 607092; conf., ex multis, Cass. nn. 10212/2010, 14494/2010, 25339/2015).

Nel caso in esame risulta escluso per “tabulas” che la notifica abbia avuto esito negativo per caso fortuito o forza maggiore, essendo stata tentata, come si è visto, presso luogo privo di qualsivoglia collegamento con il domicilio del procuratore della controparte.

La inesistenza “in rerum natura”, ossia per totale mancanza materiale dell’atto, non avendo conseguito il suo scopo consistente nella consegna di esso al destinatario, rende il tentativo inidoneo alla riattivazione del procedimento notificatorio, trattandosi di vizio imputabile al notificante in considerazione dell’agevole possibilità di accertare l’ubicazione dello studio dell’avvocato, attraverso la consultazione telematica dell’Albo (cfr. Cass. nn. 17336/2019; 23760/2020).

Ipotesi che nel caso di specie trova indubbia applicazione. Per un verso appare evidente l’inesistenza della scopo perseguito dal procedimento notificatorio, conclusosi negativamente presso luogo del tutto irrelato rispetto al domicilio dell’avvocato destinatario dell’atto. Per altro concorrente verso è del pari evidente la colpa inescusabile del notificante, al quale sarebbe bastato limitarsi a ricavare il domicilio al quale notificare l’atto dalla piana enunciazione di cui all’atto d’appello della controparte e dall’intestazione della sentenza della Corte di Napoli, senza neppure la necessità far luogo alla pur semplice consultazione telematica dell’albo degli avvocati.

Il ricorrente va condannato a rimborsare le spese in favore della controricorrente, che, tenuto conto del valore, della qualità della causa e delle attività svolte, vanno liquidate in favore dell’avv. Roberto Colantonio, dichiaratosi anticipatario, siccome in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, che, distratte in favore dell’avv. Roberto Colantonio, liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2022

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472