LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. PENTA Andrea – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 28515/2017 proposto da:
MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO – DIPARTIMENTO PER LE COMUNICAZIONI ISPETTORATO TERRITORIALE VENETO, (C. F.: *****), in persona del Ministro pro tempore, rappresentata e difesa dal l’Avvocatura Generale dello Stato (C.F.: *****), presso i cui uffici, in Roma alla Via dei Portoghesi, è domiciliata;
– ricorrente –
contro
Elemedia S.p.a., (C.F. e P.IVA: *****), con sede in Roma*****, in persona del legale rappresentante pro tempore Dott. O.C., rappresentata e difesa dall’Avv. Giovanni Mangialardi, (C.F.: GNNMNG69L17A944J) e dall’Avv. Prof. Angelo Clarizia, (C.F.: CLRNGL48P06H703Z), con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Roma alla Via Principessa Clotilde n. 2, come da mandato a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1963/2017 emessa dalla Corte d’appello di Venezia in data 28/09/2017 e non notificata;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. Andrea Penta.
RITENUTO IN FATTO
La società Eiemedia S.p.a. si opponeva all’ordinanza ingiunzione n. 2/2015 del 26.2.2015 con cui l’Ispettorato Territoriale Veneto del Ministero dello Sviluppo economico le aveva ingiunto il pagamento della somma di Euro 4.006,60 a titolo di sanzione amministrativa, ai sensi del D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 98, comma 8, per l’utilizzo dell’impianto di radiocomunicazione, sito in località *****, in modo difforme dalla concessione.
In data 5.5.2016, il Tribunale di Verona depositava la sentenza n. 1314/2016 con cui rigettava l’opposizione e confermava l’ordinanza ingiunzione opposta.
Con ricorso in appello depositato in data 15.06.2016, la società Elemedia chiedeva che, in riforma dell’impugnata sentenza, l’ordinanza ingiunzione venisse annullata.
L’Amministrazione appellata, pur ritualmente citata, non si costituiva e veniva dichiarata contumace.
Con sentenza del 28.9.2017, la Corte d’appello di Venezia, in accoglimento del gravame, annullava l’ordinanza-ingiunzione opposta, sulla base delle seguenti considerazioni:
– il D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 98, comma 8, non era applicabile ad un operatore come Elemedia, atteso che sanziona l’installazione e fornitura di reti di comunicazione elettronica od offerta di servizi di comunicazione elettronica ad uso pubblico, in difformità a quanto dichiarato ai sensi del D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 25, comma 4, disciplinante il rilascio dell’autorizzazione generale alla fornitura di reti e servizi di radiocomunicazione, laddove la società appellante era titolare di “concessione” per l’esercizio della radiodiffusione in ambito nazionale disciplinata dalla L. n. 223 del 1990;
– diversamente da quanto affermato dal giudice di prime cure, non poteva ritenersi, infatti, che l’art. 98, comma 8, citato potesse intendersi riferito non solo – come espressamente stabilito dalla legge – alla denuncia prevista dall’art. 25, comma 4, ma anche al titolo concessorio di cui l’appellante era titolare, pena la violazione del principio di legalità e del divieto di applicazione analogica, contenuto nella L. n. 689 del 1981, art. 1;
– Elemedia svolgeva la propria attività non già in base ad una DIA (sicché nessuna azione in difformità dalla stessa si sarebbe potuta mai verificare), quanto in virtù di una concessione rilasciata nel 1994, ovvero in data ben anteriore a quanto disciplinato dal D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 25, comma 4, sicché la sanzione irrogata con l’ordinanza ingiunzione contestata era illegittima, perché poteva essere applicata solo agli operatori radiofonici in possesso di autorizzazione generale (che avessero presentato una DIA).
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il Ministero dello Sviluppo Economico, sulla base di un unico motivo.
La Elemedia s.p.a. ha resistito con controricorso.
In prossimità dell’adunanza la resistente ha depositato memoria illustrativa.
RITENUTO IN DIRITTO
1. Con l’unico motivo, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 177 del 2005, art. 52 e D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 98, comma 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per non aver la corte d’appello considerato che, quanto alla gestione ed utilizzo degli impianti di radiodiffusione, del D.Lgs. n. 177 del 2005, art. 1, aveva espressamente previsto che restassero ferme e si applicassero le disposizioni sanzionatorie, tra l’altro, di cui al D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 98, comma 8.
1.1. Il motivo è infondato.
Il Ministero ha, infatti, contestato alla società, per avere utilizzato l’impianto di radiocomunicazione sito in località ***** in modo difforme dalla concessione, la violazione del D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 25, comma 4, il quale appunto prevede che: “L’impresa interessata presenta al Ministero una dichiarazione resa dalla persona fisica titolare ovvero dal legale rappresentante della persona giuridica, o da soggetti da loro delegati, contenente l’intenzione di iniziare la fornitura di reti o servizi di comunicazione elettronica, unitamente alle informazioni strettamente necessarie per consentire al Ministero di tenere un elenco aggiornato dei fornitori di reti e di servizi di comunicazione elettronica, da pubblicare sul proprio Bollettino ufficiale e sul sito Internet. Tale dichiarazione costituisce segnalazione certificata di inizio attività e deve essere conforme al modello di cui all’allegato n. 9. L’impresa è abilitata ad iniziare la propria attività a decorrere dall’avvenuta presentazione della dichiarazione e nel rispetto delle disposizioni sui diritti di uso stabilite negli artt. 27, 28 e 29. Ai sensi della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 19 e successive modificazioni, il Ministero, entro e non oltre sessanta giorni dalla presentazione della dichiarazione, verifica d’ufficio la sussistenza dei presupposti e dei requisiti richiesti e dispone, se del caso, con provvedimento motivato da notificare agli interessati entro il medesimo termine, il divieto di prosecuzione dell’attività. Le imprese titolari di autorizzazione sono tenute all’iscrizione nel registro degli operatori di comunicazione di cui alla L. 31 luglio 1997, n. 249, art. 1”.
La violazione di tale norma risulta sanzionata a mente dell’art. 98, comma 8, dello stesso testo di legge il quale così dispone: “In caso di installazione e fornitura di reti di comunicazione elettronica od offerta di servizi di comunicazione elettronica ad uso pubblico in difformità a quanto dichiarato ai sensi dell’art. 25, comma 4 (la sottolineatura è dello scrivente), il Ministero irroga una sanzione amministrativa pecuniaria da Euro 3.000,00 ad Euro 58.000,00.”.
Nella fattispecie non è contestato che la società resistente fosse titolare di concessione per la trasmissione radiofonica in base alle previsioni di cui alla L. n. 223 del 1990, ma tale circostanza viene reputata irrilevante dal Ministero ricorrente, il quale invece ritiene che sia nel caso di specie applicabile del T.U. n. 177 del 2005, art. 52, il quale al comma 1 dispone che “Restano ferme e si applicano agli impianti di radiodiffusione sonora e televisiva le disposizioni sanzionatorie di cui al D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259, art. 97 e art. 98, commi 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 9”.
Deve, però, ritenersi evidente che, affinché possano applicarsi le sanzioni di cui all’art. 98 citato, è necessario che risulti realizzata la condotta sanzionata dalla norma descrittiva della fattispecie sanzionatoria, che nel caso in esame è rappresentata dalla difformità dell’utilizzo dell’impianto di radiocomunicazione rispetto a quanto prescritto dal D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 25, comma 4. L’ipotesi, invece, contestata alla resistente appare da ricondurre ad una diversa fattispecie.
Ed, infatti, se effettivamente risulta abrogato la L. n. 223 del 1990, art. 31, il successivo art. 32, non è stato interessato dall’abrogazione, essendo peraltro oggetto di richiamo anche ad opera del D.Lgs. n. 177 del 2005. Rileva a tal fine quanto previsto dall’art. 28 di tale ultima norma, il quale ai commi 2 e 3, sempre in base al testo applicabile ratione temporis, così prevede: “2. Il Ministero, attraverso i propri organi periferici, autorizza le modifiche degli impianti di radiodiffusione sonora e televisiva e dei connessi collegamenti di comunicazioni elettroniche, censiti ai sensi della L. 6 agosto 1990, n. 223, art. 32, per la compatibilizzazione radioelettrica, nonché per l’ottimizzazione e la razionalizzazione delle aree servite da ciascuna emittente legittimamente operante. Tali modifiche devono essere attuate su base non interferenziale con altri utilizzatori dello spettro radio e possono consentire anche un limitato ampliamento delle aree servite. 3. Fino alla completa attuazione del piano nazionale di assegnazione delle frequenze televisive in tecnica digitale il Ministero autorizza, attraverso i propri organi periferici, modifiche degli impianti di radiodiffusione sonora e televisiva e dei connessi collegamenti di comunicazioni elettroniche censiti ai sensi della L. 6 agosto 1990, n. 223, art. 32, nel caso di trasferimento, a qualsiasi titolo, della sede dell’impresa o della sede della messa in onda, ovvero nel caso di sfratto o finita locazione dei singoli impianti. Il Ministero autorizza, in ogni caso, il trasferimento degli impianti di radiodiffusione per esigenze di carattere urbanistico, ambientale o sanitario ovvero per ottemperare ad obblighi di legge.” (in questi termini v. Sez. 2, Ordinanza n. 10889 del 07/05/2018).
In particolare, l’art. 54, comma 1, lett. i), dispone che: “1. Sono o restano abrogate le seguenti disposizioni: (…) i) della L. 6 agosto 1990, n. 223: 1) gli artt. 2,3 e 6 ad eccezione del comma 11, limitatamente al secondo periodo; 2) all’art. 7, i commi 2 e 5; 3) l’art. 8 ad eccezione dei commi 15 e 18; 4) gli artt. 10, 12, 13, 15; 5) all’art. 16, i commi 7, 8, 9, 16, 17, 18, 19, 20 e 23; 6) l’art. 17; 7) l’art. 18, ad eccezione del comma 4; 8) l’art. 19; 9) all’art. 20, il comma 4; 10) l’art. 21; 11) l’art. 22, ad eccezione dei commi 6 e 7; 12) all’art. 24, il comma 3; 13) gli artt. 28, 29, 31 e 37; (…).
Senza tralasciare che il D.Lgs. n. 177 del 2005, art. 15, comma 1, fa salvi: “i criteri e le procedure specifici per la concessione dei diritti di uso delle radiofrequenze per la diffusione sonora e televisiva, previsti dal presente testo unico in considerazione degli obiettivi di tutela del pluralismo e degli altri obiettivi di interesse generale”, pur prevedendo che “l’attività di operatore di rete su frequenze terrestri in tecnica digitale è soggetta al regime dell’autorizzazione generale, ai sensi del D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259, art. 25”.
E l’art. 24, comma 1, stabilisce che: “Fino all’adozione del piano nazionale di assegnazione delle frequenze di radiodiffusione sonora in tecnica analogica di cui all’art. 42, comma 10, la radiodiffusione sonora privata in ambito nazionale e locale su frequenze terrestri in tecnica analogica è esercitata in regime di concessione o di autorizzazione con i diritti e gli obblighi stabiliti per il concessionario dalla L. 6 agosto 1990, n. 223, e successive modificazioni, da parte dei soggetti legittimamente operanti in possesso, alla data del 30 settembre 2001, dei seguenti requisiti: (…)”.
E, infine, l’art. 51, comma 1, lett. d), prevede che: “L’Autorità applica, secondo le procedure stabilite con proprio regolamento, le sanzioni per la violazione degli obblighi in materia di programmazione, pubblicità e contenuti radiotelevisivi, ed in particolare quelli previsti: (…) d) dalla L. 6 agosto 1990, n. 223, art. 20, commi 4 e 5, nonché dai regolamenti dell’Autorità, relativamente alla registrazione dei programmi; (…)”.
In definitiva, sebbene anche per i soggetti abilitati a trasmettere, e rientranti tra quelli contemplati dalla L. n. 223 del 1990, art. 32, sia prevista la necessità di un’autorizzazione per le eventuali modifiche agli impianti di radiodiffusione, in assenza di una previsione che imponga un obbligo di provvedere ad una nuova denuncia di inizio di attività, la pretesa del Ministero di applicare anche al caso in esame la sanzione di cui del D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 98, comma 8, risulta in contrasto con il principio di tassatività della fattispecie sanzionatoria (dovendosi per converso ritenere che l’illegittima condotta della ricorrente trovi riscontro nella diversa previsione di cui della L. n. 223 del 1990, art. 32, comma 5, che dispone che: “L’inosservanza delle disposizioni di cui al presente articolo, ovvero la radiodiffusione di trasmissioni consistenti in immagini o segnali sonori fissi o ripetitivi, comporta la disattivazione degli impianti da parte del Ministro delle poste e delle telecomunicazioni”).
Già in un recente passato, nel decidere un’analoga fattispecie, questa Corte ha statuito che, in forza del principio di tassatività della fattispecie sanzionatoria, al soggetto già abilitato a trasmettere in virtù di concessione rilasciata ai sensi della L. n. 223 del 1990, art. 32, che esegua modifiche all’impianto di radiodiffusione in assenza di autorizzazione D.Lgs. n. 177 del 2005, ex art. 28, è applicabile la sanzione della disattivazione degli impianti prevista dalla L. n. 223 del 1990, art. 32, comma 5, in luogo della diversa sanzione amministrativa pecuniaria di cui al D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 98, comma 8, poiché tale ultima sanzione è correlata all’obbligo di procedere alla denuncia di inizio attività stabilito dal D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 25, comma 4, che non è imposto nel caso di precedente abilitazione.
A sua volta, Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 11425 del 2020 ha chiarito che, “in forza del principio di tassatività della fattispecie sanzionatoria, al soggetto già abilitato a trasmettere in virtù di concessione rilasciata ai sensi della L. n. 223 del 1990, art. 32, che esegua modifiche all’impianto di radiodiffusione in assenza di autorizzazione D.Lgs. n. 177 del 2005, ex art. 28, è applicabile la sanzione della disattivazione degli impianti prevista dalla L. n. 223 del 1990, art. 32, comma 5, in luogo della diversa sanzione amministrativa pecuniaria di cui al D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 98, comma 8, poiché tale ultima sanzione è correlata all’obbligo di procedere alla denuncia di inizio attività stabilito dal D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 25, comma 4, che non è imposto nel caso di precedente abilitazione” (Cass. 10889/2018). La L. n. 223 del 1990, art. 32, che al comma 1 consente ai privati che “eserciscono impianti di radiodiffusione sonora o televisiva in ambito nazionale o locale e i connessi collegamenti di telecomunicazione” di “proseguire nell’esercizio degli impianti stessi, a condizione che abbiano inoltrato domanda per il rilascio della concessione di cui all’art. 16” e al comma 5 sanziona l’inosservanza delle disposizioni di cui all’articolo con “la disattivazione degli impianti da parte del Ministro delle poste e delle telecomunicazioni” non è d’altro canto stato abrogato dal D.Lgs. n. 177 del 2005, ed è anzi stato oggetto di richiamo dal medesimo D.Lgs. “.
Giammai si potrebbe, invece, applicare al caso di specie la sanzione prevista dal D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 98, comma 8, la quale prevede come suo presupposto la difformità rispetto a quanto dichiarato ai sensi dell’art. 25, comma 4 (a sua volta, implicante il regime giuridico dell’autorizzazione generale ottenuta tramite DIA).
In conclusione, va formulato il seguente principio di diritto: “In forza del principio di tassatività della fattispecie sanzionatoria, al soggetto già abilitato a trasmettere in virtù di concessione rilasciata ai sensi della L. n. 223 del 1990, art. 32, che esegua modifiche al sistema radiante in assenza di autorizzazione non è applicabile la sanzione amministrativa pecuniaria di cui al D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 98, comma 8, poiché tale ultima sanzione è correlata all’obbligo di procedere alla denuncia di inizio attività stabilito dal D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 25, comma 4, che non è imposto nel caso di precedente abilitazione.
2. Il ricorso non merita, pertanto, di essere accolto.
Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Non ricorrono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, essendo soccombente il Ministero, per il raddoppio del versamento del contributo unificato.
PQM
La Corte:
– rigetta il ricorso;
– condanna il ricorrente al rimborso, in favore della resistente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 1.500,00 per compensi professionali ed Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge (se dovuti).
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, tenutasi con modalità da remoto, il 27 gennaio 2022.
Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2022