Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.5099 del 16/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30535/2019 proposto da:

D.M.S., rappresentato e difeso dall’avv.to Luigi Natale, ed elettivamente domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato ed elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12;

– resistente –

avverso la sentenza del TRIBUNALE di NAPOLI n. 6941/2019, depositata il 27/09/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 16/12/2021 dal Cons. ANTONELLA DI FLORIO.

RILEVATO

che:

1. D.M.S., proveniente dal Senegal, ricorre affidandosi a quattro motivi per la cassazione del decreto del Tribunale di Napoli che aveva rigettato la domanda di protezione internazionale declinata in tutte le forme gradate, in ragione del diniego a lui opposto in sede amministrativa dalla competente Commissione territoriale.

1.1. Per ciò che qui interessa, il ricorrente aveva narrato di essere stato costretto a lasciare il proprio paese in quanto era stato scoperto mentre consumava rapporti sessuali con due amici in una stanza del laboratorio appartenente ad un sarto, notoriamente omosessuale. Ha aggiunto che la sorella del proprietario che abitava in quella casa, aveva diffuso la notizia e ciò lo aveva indotto a fuggire, per evitare arresto ed altre forme di persecuzione, dirigendosi dapprima verso il Mali e, successivamente, in altri paesi dell’Africa fino a raggiungere la Libia e trasmigrare successivamente in Italia.

2. Il Ministero dell’Interno ha depositato “atto di costituzione” non notificato al ricorrente, chiedendo di poter partecipare alla eventuale udienza di discussione della causa ex art. 370 c.p.c., comma 1.

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta una motivazione apparente in punto di credibilità del suo racconto. Assume che il convincimento si era erroneamente formato sulla base della credibilità soggettiva del ricorrente e che non era stato osservato il paradigma interpretativo predicato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 3, comma 5, che si assumeva fosse stato violato.

1.1. Il motivo è inammissibile in quanto non si confronta con tutte le ratio decidendi sulle quali si fonda la statuizione di inattendibilità del racconto.

1.2. Il Tribunale, infatti, con motivazione costituzionalmente sufficiente ha dapprima esaminato gli aspetti della narrazione ritenuti contraddittori e lacunosi e, successivamente, ha affermato che, oltre tutto, il ricorrente aveva omesso di presentarsi all’udienza di comparizione fissata e, con tale condotta, non aveva cooperato all’istruttoria della domanda.

1.3. Ora, con la censura in esame, si critica soltanto la valutazione che il Tribunale ha articolato sulle dichiarazioni rese dinanzi alla Commissione Territoriale, ritenute non persuasive in relazione ad un racconto che aveva alcuni aspetti considerati non coerenti rispetto al contesto descritto ed alla notoria penalizzazione della omosessualità nel paese di origine: e già, in relazione a ciò, la censura prospetta una richiesta di rivalutazione di merito, non consentita in sede di legittimità in presenza di una motivazione costituzionalmente sufficiente, a nulla rilevando che il compendio istruttorio possa essere valutato anche in modo differente rispetto a quanto ritenuto nel provvedimento impugnato, in quanto, diversamente, il giudizio di legittimità si trasformerebbe, in un non consentito terzo grado di merito (cfr. ex multis Cass. 18721/2018; Cass. Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612747; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 13954 del 14/06/2007, Rv. 598004; Cass. Sez. L, Sentenza n. 12052 del 23/05/2007, Rv. 597230; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 7972 del 30/03/2007, Rv. 596019).

1.4. Ma, tanto premesso, il motivo ignora del tutto la seconda ratio decidendi, costituita dal rilievo secondo il quale il ricorrente non si era presentato all’udienza appositamente fissata, nella quale avrebbe potuto chiarire le circostanze oscure e contraddittorie, senza fornire alcuna giustificazione.

1.5. Al riguardo, questa Corte ha affermato il principio secondo il quale “ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza” (cfr. Cass. 22753/2011; Cass. 18641/2017).

2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 7, 8 e 11 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2.

2.1. Assume che il Tribunale aveva errato nel non ritenere sussistenti i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato trascurando la difficile situazione di sicurezza esistente nella sua zona d’origine.

3. Con il terzo motivo, deduce motivazione apparente e perplessa in relazione alla protezione sussidiaria.

4. Le due censure devono essere congiuntamente esaminate: la seconda e, parzialmente, la terza, per la parte riferita alla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), devono ritenersi assorbite in ragione della inammissibilità della precedente censura sulla credibilità del racconto che, come è noto, costituisce un presupposto fondamentale della fattispecie e rispetto alla quale la statuizione del Tribunale è divenuta ormai definitiva.

4.1. Quanto alla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), il motivo – che si fonda sull’omesso accertamento della sussistenza di un conflitto armato nella regione di provenienza – è infondato perché il Tribunale ha richiamato C.O.I. attendibili ed aggiornate dalle quale ha tratto, legittimamente, il convincimento dell’assenza del presupposto della fattispecie invocata (cfr. pag. 10 del decreto impugnato).

5. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, lett. a) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3. Denuncia, altresì, “ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, l’apparenza e perplessità della motivazione in quanto la protezione minore invocata era stata esclusa senza alcuna valutazione dei fattori di vulnerabilità dedotta e senza assumere alcuna informazione sulle condizioni di tutela dei diritti fondamentali nel paese di origine.

5.1. Il motivo è fondato.

5.1.1.Deve premettersi che la seconda parte della censura è stata erroneamente ricondotta all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 che, a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 134 del 2012, è limitata al vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, non essendo più consentita la critica della motivazione se non per nullità della stessa (comprensiva della illogicità ed apparenza) predicata dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4: in ragione di ciò, la censura prospettata, nell’ambito del potere di sussunzione del Collegio, deve essere riferita a tale ultima disposizione.

5.2. Essa deve essere esaminata unitamente all’altro vizio dedotto, e cioè la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, lett. a) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3: tali disposizioni, infatti, costituiscono il parametro normativo al quale il percorso argomentativo del giudice di merito si deve riferire nella valutazione della protezione umanitaria, ragione per cui le due critiche risultano strettamente interconnesse e meritano trattazione congiunta.

5.3. Si osserva, al riguardo quanto segue.

5.3.1. Il Tribunale, ha respinto la domanda di protezione umanitaria affermando che “il riconoscimento della misura in esame non può che dipendere dalla pregnanza dell’onere di allegazione che incombe sul richiedente al quale, soltanto, in assenza di emergenze fattuali di tipo oggettivo ricavate dalle fonti di consultazione e riguardante il paese di origine, spetta l’illustrazione delle ragioni specifiche soggettive che danno concretezza a quei seri motivi di carattere umanitario idonei a impedire la sua espulsione ed a fondare quindi correlativo suo diritto al permesso di soggiorno”.

5.3.2. Ha aggiunto, altresì, che “nel caso di specie, nei medesimi fatti per cui ha chiesto la protezione internazionale visto che il narrato è stato ritenuto non credibile è da escludere anche la ricorrenza di quella vulnerabilità che permetterebbe di conseguire il permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, atteso che anche con riguardo a tale fattispecie non può evidentemente prescindersi dalla mancanza di prove del racconto dell’interessato, quantomeno della credibilità soggettiva del medesimo analogamente a quanto è previsto quanto riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria” (cfr. pag. 10 penultimo ed ultimo cpv. ed 11 del decreto impugnato).

5.4. Tali affermazioni si collocano al di fuori dei principi affermati da questa Corte in relazione all’esame della protezione minore, c.d. “individualizzata” rispetto alla quale la credibilità del racconto (o l’inattendibilità di esso) – che rappresenta il presupposto imprescindibile, sotto il profilo logico, delle protezioni maggiori (status di rifugiato e protezione sussidiaria) – configura un elemento non centrale per decidere se ricorrono i presupposti per concederla: secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità ormai consolidata sul punto, la protezione umanitaria pone al centro della valutazione del giudice la vulnerabilità del richiedente asilo soprattutto in relazione ai rischi che potrebbe correre ove venisse rimpatriato nel paese di origine nel quale il rispetto dei diritti fondamentali si collochi al di sotto del nucleo irrinunciabile della dignità umana.

5.5. E tale valutazione postula il raffronto fra la situazione critica alla quale egli verrebbe esposto e l’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza: al riguardo, non è inutile ricordare che questa Corte ha recentemente ribadito che “in base alla normativa del testo unico sull’immigrazione anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. n. 113 del 2018, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, occorre operare una valutazione comparativa tra la situazione soggettiva e oggettiva del ricorrente con riferimento al paese di origine e la situazione d’integrazione raggiunta in Italia, attribuendo alla condizione del richiedente nel paese di provenienza un peso tanto minore quanto maggiore risulti il grado di integrazione che egli dimostri di aver raggiunto nella società italiana, fermo restando che situazioni di deprivazione dei diritti umani di particolare gravità nel paese originario possono fondare il diritto alla protezione umanitaria anche in assenza di un apprezzabile livello di integrazione in Italia; qualora poi si accerti che tale livello è stato raggiunto e che il ritorno nel paese d’origine renda probabile un significativo scadimento delle condizioni di vita privata e/o familiare tali da recare un “vulnus” al diritto riconosciuto dall’art. 8 della Convenzione EDU, sussiste un serio motivo di carattere umanitario, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per riconoscere il permesso di soggiorno.” (cfr. Cass. SU 24413/2021).

5.6. Ed è stato altresì precisato che “in tema di protezione internazionale, il difetto d’intrinseca credibilità sulla vicenda individuale e sulle deduzioni ed allegazioni relative al rifugio politico ed alla protezione sussidiaria, non estende i suoi effetti anche sulla domanda riguardante il permesso umanitario, poiché essa è assoggettata ad oneri deduttivi ed allegativi in parte diversi, che richiedono un esame autonomo delle condizioni di vulnerabilità, dovendo il giudice attivare anche su tale domanda, ove non genericamente proposta, il proprio dovere di cooperazione istruttoria” (cfr. Cass. 7985/2020); e che “il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, che è misura atipica e residuale, deve essere frutto di valutazione autonoma caso per caso, non potendo conseguire automaticamente dal rigetto delle altre domande di protezione internazionale, essendo necessario considerare la specificità della condizione personale di particolare vulnerabilità del richiedente, da valutarsi anche in relazione alla sua situazione psico-fisica attuale ed al contesto culturale e sociale di riferimento” (cfr. Cass. 34500/2021).

6. Nel caso in esame, il Tribunale ha respinto la domanda relativa alla protezione umanitaria, riferendo la propria decisione esclusivamente alla statuita inattendibilità del racconto sulla quale ha incentrato esclusivamente il passaggio motivazionale che la riguarda: a ciò si aggiunge che ha utilizzato un percorso argomentativo contraddittorio nel quale ha richiamato la rilevanza fattuale delle fonti di consultazione riguardanti il paese di origine senza acquisirle, visto che le uniche C.O.I. alle quali si è riferito (cfr. pag. 10 primo cpv. del decreto) sono relative all’accertamento svolto sulla assenza di una situazione di conflitto armato, nell’accezione coniata dalla giurisprudenza unionale, ma non riguardano il livello di tutela dei diritti fondamentali.

6.1. Pertanto, la motivazione resa risulta, in parte qua, apparente ed illogica in quanto ritiene scontata l’inesistenza di vulnerabilità, senza fondare tale elemento di comparazione sull’accertamento, basato su fonti informative attendibili ed aggiornate, predicato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3: in definitiva, il Collegio ritiene sussistente il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

7. Il decreto, pertanto, deve essere cassato in relazione al motivo accolto, con rinvio al Tribunale di Napoli in diversa composizione per il riesame della controversia in relazione ai principi sopra evidenziati ed anche per la decisione in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte;

accoglie il quarto motivo di ricorso e dichiara inammissibile il primo, assorbito il secondo ed infondato il terzo.

Cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia al Tribunale di Napoli in diversa composizione anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 16 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2022

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