Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.5100 del 16/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30610/2019 proposto da:

I.B., rappresentato e difeso dall’avv.to Ennio Cerio, ed elettivamente domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato ed elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CAMPOBASSO n. 2053/2019 depositata il 10/09/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 16/12/2021 dal Cons. Dott. ANTONELLA DI FLORIO.

RILEVATO

che:

1. I.B., proveniente dalla Nigeria ricorre affidandosi a due motivi per la cassazione del decreto del Tribunale di Campobasso che aveva rigettato la domanda di protezione internazionale declinata in tutte le forme gradate, proposta in ragione del diniego a lui opposto in sede amministrativa dalla competente Commissione territoriale.

1.1. Per ciò che qui interessa, il ricorrente aveva narrato di essere stato costretto a lasciare il proprio paese in quanto era rimasto coinvolto in una sparatoria della polizia; ha aggiunto di aver sporto denuncia contro le persone coinvolte e di essere stato oggetto di rappresaglie insieme alla madre che era deceduta dopo essere stata aggredita.

1.2. Ha pure narrato di aver subito trattamenti disumani in Libia, paese di transito dove era stato venduto per 4000 dinari.

2. Il Ministero dell’Interno ha depositato “atto di costituzione” non notificato al ricorrente, chiedendo di poter partecipare alla eventuale udienza di discussione della causa ex art. 370 c.p.c., comma 1.

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo ed il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 32.

1.1. Lamenta che il Tribunale aveva omesso di fondare la propria decisione sul paradigma interpretativo predicato dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e sul dovere di cooperazione istruttoria del giudice sancito dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, omettendo di richiamare C.O.I. attendibili ed aggiornate, con particolare riferimento alla sussistenza del conflitto armato, ragione sulla quale si fondava la domanda di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

2. Le due censure devono essere congiuntamente esaminate per la loro stretta interconnessione e sono entrambe fondate.

2.1. La decisione, infatti, è stata assunta sulla base della apodittica affermazione che il racconto fosse riferito a vicende personali non riconducibili né alla protezione sussidiaria né a quella umanitaria (“Si tratta di fatti che già a livello di allegazione esprimono la inidoneità a riempire di contenuto uno dei concetti indeterminati elastici o generali che dir si voglia, elevati dal legislatore a fatto costitutivo del diritto di protezione *****. Il timore di rientrare nel paese di Origine non trova origine alla stregua di quanto narrato dallo stesso ricorrente nella politica dello Stato di appartenenza, bensì nelle minacce e violenze subite da esso stesso e dai suoi familiari per avere denunciato un uomo ed averlo identificato ***** secondo un incedere che attrae la vicenda in un ambito personalistico e privato, con conseguente possibilità di adire le competenti autorità locali di polizia ed ottenere lì tutela giurisdizionale”): il Tribunale, tuttavia, non ha espresso alcuna valutazione, previo idoneo accertamento fondato anche su fonti informative aggiornate, sulla mancata tutela apprestata dallo Stato in favore del ricorrente rispetto a tale vicenda, visto che dal racconto riportato nello stesso decreto (cfr. pag. 2, 17 riga del secondo cpv.) – sul quale non viene formulata alcuna valutazione di inattendibilità e che, pertanto, è stato ritenuto credibile – dà conto anche dell’avvenuta denuncia alla Polizia delle violenze subite e della sparatoria nella quale egli era stato coinvolto.

2.2. Al riguardo, questa Corte ha affermato il principio, condiviso dal Collegio, secondo il quale “in tema di protezione internazionale, il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria non possono essere negati solo perché i responsabili del danno grave per il cittadino straniero siano soggetti privati, qualora nel paese d’origine non vi sia un’autorità statale in grado di fornire a costui adeguata ed effettiva tutela” (cfr. Cass. 28779/2020; ed in termini cfr. Cass. anche 23281/2020).

2.3. In buona sostanza, le liti tra privati per ragioni proprietarie o familiari possono essere addotte come causa di persecuzione o danno grave ove lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, comprese le organizzazioni internazionali, non possano o non vogliano fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi: e, nei casi, come quello in esame, in cui il ricorrente alleghi di aver denunciato i fatti e di non aver ricevuto tutela, il giudice di merito dovrà ottemperare al dovere di cooperazione istruttoria, provvedendo ad esaminare fonti attendibili ed aggiornate, al fine di accertare, sul tema specifico, se la mancata protezione denunciata nel paese di origine sia riportata come un fatto ricorrente ed una carenza endemica.

2.4. Nel caso in esame, il decreto è del tutto privo di tale accertamento, che ridonda, in primis, sulla valutazione dei presupposti della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b): ragione per cui la censura è fondata, risultando violato il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), in combinato disposto con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, che prevede che ciascuna domanda sia esaminata alla luce di informazioni precise ed aggiornate sulla situazione generale esistente nel paese di origine ed, ove occorra, nei paesi di transito.

3. Ma deve ritenersi fondato anche il secondo motivo con il quale viene articolata la medesima denuncia di omesso adempimento del dovere di cooperazione istruttoria, in relazione alla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ed in relazione alla protezione umanitaria.

3.1. Si osserva infatti che il Tribunale, in riferimento alla sussistenza di un conflitto armato nell’accezione coniata dalla giurisprudenza unionale, non ha richiamato fonti informative aggiornate sulla specifica questione, limitandosi ad affermare che l’UNHCR aveva dato indicazioni di non rimpatrio soltanto per Borno, Yobe ed Adamawa, con ciò omettendo di assegnare una collocazione cronologica all’accertamento che comunque risulta, per come espresso, del tutto generico in relazione alla circostanza da appurare.

3.2. La stessa carenza è riscontrabile in relazione all’accertamento del livello di tutela dei diritti fondamentali nel paese e nella regione di origine (in ragione della vasta dimensione dello stato Nigeriano), indispensabile per la formulazione di un corretto giudizio di comparazione sul quale deve fondarsi la valutazione dei presupposti della protezione umanitaria (cfr. Cass. 4455/2018; Cass. 8819/2020; Cass. SUU 29459/2019; Cass. 7985/2020): sulla specifica questione, infatti, non è stato svolto alcun accertamento.

3.3. Il decreto, pertanto, deve essere cassato con rinvio al Tribunale di Campobasso, in diversa composizione per il riesame della controversia sulla base dei seguenti principi di diritto e di quello sopra evidenziato:

a. “in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza che, tuttavia, non deve essere isolatamente ed astrattamente considerato; peraltro, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione che il giudice di merito deve acquisire”;

b. “il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di violazione di legge”;

c. “il riferimento alle fonti ufficiali aggiornate, attendibili e specifiche rispetto alla situazione individuale dedotta configura un dovere del giudice che giammai potrà determinare una inversione, a carico del richiedente, dell’onere postulato dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.

4. Il Tribunale di rinvio dovrà altresì decidere in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte;

accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e rinvia al Tribunale di Campobasso in diversa composizione anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 16 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2022

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