LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SANGIORGIO Maria Rosaria – Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. VANNUCCI Marco – rel. Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. RUSSO Rita – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 36312/2018 proposto da:
H.S., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la cancelleria civile della Corte di cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Alessio Bianchini, per procura speciale alla lite estesa in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Prefettura di Siena, in persona del Prefetto pro tempore;
– intimato –
avverso il decreto del Giudice di Pace di Siena depositato il 4 maggio 2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11 settembre 2020 dal relatore Dott. Marco Vannucci.
FATTI DI CAUSA
1. Il 6 aprile 2017 i Carabinieri della Stazione di Piancastagnaio, ove il sig. H.S. (di nazionalità *****) si recò spontaneamente al fine di denunciare lo smarrimento del titolo di soggiorno, notificarono a tale persona il provvedimento di espulsione dal territorio nazionale emesso in pari data dal Prefetto della Provincia di Siena; nello stesso giorno venne altresì notificato a H. il provvedimento emesso dal Questore della Provincia di Siena con il quale gli si ordinava di lasciare il territorio nazionale entro sette giorni dalla notifica.
Tale provvedimento di espulsione si fondava sull’omesso rinnovo, da parte dell’odierno ricorrente, del permesso di soggiorno scaduto di validità da oltre sessanta giorni non avendo egli proceduto al rinnovo; pertanto, il medesimo appariva irregolare sul territorio italiano.
1.1 Con ricorso del 26 aprile 2017, H. propose opposizione al tale provvedimento avanti il Giudice di Pace di Siena.
Con decreto emesso il 4 maggio 2018, il Giudice di Pace di Siena respinse tale opposizione.
Questa, in sintesi, la motivazione della decisione: dopo lo smarrimento del permesso di soggiorno l’opponente non aveva alcuna domanda, neppure tardiva, per il rinnovo di tale titolo; con riferimento alla doglianza relativa alla mancata attestazione di conformità all’originale della copia del provvedimento notificato, la Questura di Siena consegna allo straniero un originale dei due che vengono sottoscritti dal Prefetto o dal delegato; non era possibile la partenza volontaria dello straniero che, se pure privilegiata dal legislatore comunitario rispetto al rimpatrio coatto, nel caso di specie non poteva trovare supporto per il sussistente “rischio di fuga”, non risultando il ricorrente in possesso di passaporto o altro documento equipollente; trovando applicazione la L. n. 1423 del 1956, art. 1 e successive modifiche per cui non è previsto l’allontanamento volontario ai sensi del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, si ritenne necessaria l’espulsione con accompagnamento alla frontiera secondo quanto previsto dall’art. 12, comma 4 decreto da ultimo menzionato; la Questura aveva rappresentato l’impossibilità di applicare la misura alternativa al trattenimento presso un C.I.E. ai sensi dell’art. 14, comma 1 bis T.U.I.
2. Per la cassazione di tale decreto, H. ha proposto ricorso affidato a due motivi.
3. L’intimato Prefetto di Siena non ha svolto attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 4, (di seguito indicato come “t.u. immigrazione” in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5).
In particolare, egli impugna il capo del decreto di rigetto con cui il Giudice di Pace di Siena respinse il ricorso in quanto, a suo dire, l’odierno ricorrente non aveva inoltrato domanda di rinnovo del titolo, neppure tardivamente, motivando che la mancata presentazione deriva da “una mera dimenticanza e che nessuna domanda è stata presentata, neppure tardivamente, per il rinnovo del permesso di soggiorno”.
Secondo il ricorrente, il giudice in tal caso non ha correttamente valutato i motivi di ricorso e ha palesemente violato e falsamente applicato l’art. 5, comma 4 t.u. immigrazione poiché il termine concesso ai sensi di tale norma ha carattere ordinatorio e non perentorio, con la conseguenza che l’interessato può anche successivamente presentare domanda di rinnovo, a condizione che sussistano i presupposti richiesti dalla normativa in materia (nel caso di specie sussistenti vista anche la regolare attività lavorativa svolta dal medesimo);
Inoltre, il giudice non ha considerato minimamente che esso ricorrente si era recato presso la caserma dei Carabinieri di Piancastagnaio per denunciare lo smarrimento del permesso di soggiorno e che il possesso di tale documento era necessario per procedere al rinnovo.
Infine, a detta del ricorrente, il Giudice ha omesso l’esame circa un fatto decisivo del giudizio, non vagliando le motivazioni poste a fondamento dell’opposizione, nella parte in cui si erano specificate le ragioni del ritardo nella presentazione della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno; non dipeso da una “mera dimenticanza” di esso ricorrente, come opinato dal Giudice di Siena, bensì da una oggettiva impossibilità dello stesso di potervi provvedere atteso che, vista l’assenza del padre per visita alla moglie malata nel Paese d’origine, aveva dovuto badare a propri fratelli, essendogli dunque impossibile recarsi presso gli Uffici della Questura di Siena.
2. Con il secondo motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 445 del 2000, art. 18 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.
Il ricorrente deduce, infatti, che l’atto a lui consegnato era “una semplice copia, notificata, come si evince dalla relata, dai Carabinieri della Stazione di Piancastagnaio i quali avevano ricevuto l’atto stesso dalla Prefettura di Siena via fax”.
Pertanto, non si tratta di un originale dei due che vengono sottoscritti dal Prefetto o dal delegato” come affermato dal decreto impugnato, bensì di una copia fotostatica priva di attestazione di conformità all’originale.
3. Il secondo motivo, da trattare con priorità logica rispetto alla prima censura, è fondato; con conseguente assorbimento del primo motivo.
Il D.P.R. n. 445 del 2000, art. 18 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa) dispone che “1. Le copie autentiche, totali o parziali, di atti e documenti possono essere ottenute con qualsiasi procedimento che dia garanzia della riproduzione fedele e duratura dell’atto o documento. Esse possono essere validamente prodotte in luogo degli originali. 2. L’autenticazione delle copie può essere fatta dal pubblico ufficiale dal quale è stato emesso o presso il quale è depositato l’originale, o al quale deve essere prodotto il documento, nonché da un notaio, cancelliere, segretario comunale, o altro funzionario incaricato dal sindaco. Essa consiste nell’attestazione di conformità con l’originale scritta alla fine della copia, a cura del pubblico ufficiale autorizzato, il quale deve altresì indicare la data e il luogo del rilascio, il numero dei fogli impiegati, il proprio nome e cognome, la qualifica rivestita nonché apporre la propria firma per esteso ed il timbro dell’ufficio”.
In ragione della natura della censura, la Corte è abilitata all’esame diretto dell’atto notificato al ricorrente.
Nel caso di specie, la copia del decreto di espulsione consegnata al ricorrente in sede di notificazione appare priva di qualsiasi certificazione di conformità all’originale della copia consegnata.
Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare il principio secondo cui “in tema di espulsione dello straniero dal territorio dello Stato sussiste il radicale vizio della nullità del relativo provvedimento prefettizio, per difetto della sua necessaria formalità comunicatoria, tutte le volte in cuì all’espellendo venga comunicata una mera copia, libera e informale, dell’atto, non sottoscritta dal Prefetto né recante attestazione di conformità all’originale, e senza che, neanche successivamente, gli venga consegnata altra copia debitamente autenticata…irrilevante essendo, ai fini dell’eventuale sanatoria della detta nullità, che tale copia venga invece prodotta soltanto in giudizio, e al solo fine di attestare al Giudice che, nell’ufficio depositarlo, giace l’originale dell’atto opposto. Tale produzione persegue, difatti, finalità estranee a quella delineata dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 13, comma 3 e 7 e L. n. 15 del 1968, art. 14 e risulta del tutto inidonea a sanare il vizio di nullità dell’atto, non rappresentando tempestivo esercizio di autotutela da parte dell’organo amministrativo” (così, Cass. n. 17960 del 2004).
Nella stessa ottica si è precisato che “ove il provvedimento prefettizio di espulsione dello straniero, comunicato all’interessato, sia sprovvisto dell’attestazione della conformità all’originale… esso e’, se non inesistente, illegittimo, ed insuscettibile di sanatoria, attraverso la produzione di una copia conforme all’originale nel corso del procedimento giurisdizionale per la sua impugnazione” (così, Cass. n. 8427 del 2004).
Tale principio è da ultimo ribadito da Cass. n. 17572 del 2010, secondo cui “il decreto di espulsione è nullo se all’immigrato viene consegnata una copia priva dell’attestazione di conformità all’originale dell’atto, trattandosi di carenza di un requisito di esternazione essenziale ai fini della validità del procedimento comunicatorio”.
A tali principi il decreto impugnato non si è attenuto.
In conclusione: il decreto impugnato è da cassare senza rinvio; il decreto di espulsione sopra indicato è nullo e tale decisione di merito può in questa sede essere assunta, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto.
L’amministrazione intimata deve essere condannata a rimborsare al ricorrente le spese relative al giudizio di cassazione nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, cassa senza rinvio il decreto impugnato e, decidendo nel merito, annulla il provvedimento di espulsione. Condanna l’amministrazione intimata a rimborsare al ricorrente le spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 200 per esborsi e in Euro 2.000 per compenso di avvocato, oltre spese forfetarie pari al 15% del compenso, I.V.A. e c.p.A. come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 11 settembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2022