LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –
Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 18226-2016 proposto da:
R.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO CESARE, 71, presso lo studio dell’avvocato ANTONELLA FLORITA, rappresentato e difeso dall’avvocato MASSIMO FLORITA;
– ricorrente principale –
RETE FERR0VIARIA ITALIANA S.P.A., in persona del legale rappresentante prò tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L.G.
FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la rappresenta e difende;
– controricorrente – ricorrente incidentale –
contro
R.V.;
– ricorrente principale – controricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 1662/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 04/02/2016 R.G.N. 1113/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/10/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LEO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO RITA, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, accoglimento dell’incidentale;
udito l’Avvocato GAETANO GIANNI’ per delega verbale Avvocato ARTURO MARESCA.
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza n. 1662/2015, pubblicata il 4.2.2016, la Corte di Appello di Catanzaro, in parziale riforma della pronunzia n. 376/2011, resa il 14.6.2011 dal Tribunale di Lamezia Terme, ferma nel resto, previa revoca del decreto ingiuntivo n. 67/2009 emesso da quest’ultimo Tribunale, nei confronti di Rete Ferroviaria Italiana S.p.A., in favore di R.V., ha condannato la società datrice a corrispondere a quest’ultimo la somma di Euro 87.226,27, oltre accessori come per legge, ritenuta la computabilità delle carte di libera circolazione nella determinazione delle differenze retributive spettanti, in quanto riconosciute a tutti i dipendenti, poiché connaturate al rapporto di lavoro e come forma di partecipazione all’utile aziendale.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso il lavoratore con cinque motivi ulteriormente illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 codice di rito, cui resiste con controricorso la società, che spiega ricorso incidentale affidato a due motivi e deposita memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo del ricorso principale il ricorrente deduce la “Violazione dell’art. 112 c.p.c., (primo periodo)”, perché la Corte di merito non ha considerato che R.F.I. S.p.A. non ha mai eccepito la prescrizione dei crediti nei gradi di merito; pertanto, a parere del ricorrente, vi sarebbe una palese ultrapetizione.
2. Con il secondo motivo si denunzia la “Violazione dell’art. 112 c.p.c., (secondo periodo)”, per avere la Corte di merito erroneamente rilevato d’ufficio l’eccezione di prescrizione che, in quanto eccezione in senso stretto, non può essere rilevata d’ufficio.
3. Con il terzo motivo si censura la “Violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione agli artt. 414,416,434 e 436 c.p.c., per non avere la Corte di Appello considerato acquisito il fatto, ripetutamente esplicitato negli atti di causa e non contestato, che la pretesa economica del lavoratore decorreva dall’1 marzo 1997 e non dal 1995”.
4. Con il quarto mezzo di impugnazione si lamenta la “Violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per avere la Corte ignorato il contenuto dei documenti allegati al fascicolo (conteggi non contestati) e per il metodo seguito nel ricalcolo delle spettanze retributive del lavoratore”.
5. Con il quinto mezzo di impugnazione il ricorrente assume la “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., e art. 92 c.p.c., comma 2, in ordine alla compensazione delle spese legali”, come conseguenza della rilevazione d’ufficio della prescrizione e della illegittima decurtazione delle somme spettanti al lavoratore: in assenza di questi errori in cui sarebbe incorsa la Corte di merito, a parere del ricorrente principale, quest’ultimo “sarebbe uscito del tutto vittorioso”.
6. I motivi del ricorso principale – che, per la loro interferenza, possono essere trattati insieme – non sono meritevoli di accoglimento e tendono tutti, nella sostanza, ad ottenere una nuova valutazione delle risultanze istruttorie. In generale, si osserva che, in ordine alla non computabilità a fini retributivi delle c.d. carte di libera circolazione, identiche questioni di diritto sono già state decise da questa Corte, fra le molte, con le sentenze n. 18953/2020; n. 18168/2020, con argomentazioni del tutto condivise dal Collegio, che non ravvisa ragioni per discostarsene, ed alle quali, ai sensi dell’art. 118 Disp. att. c.p.c., fa espresso richiamo.
In particolare, poi, circa i primi due motivi, si rileva che, a prescindere dalla non conferenza della norma che si assume incisa (l’art. 112 codice di rito), il ricorrente, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, non ha prodotto gli atti di primo grado dai quali potesse evincersi la veridicità di quanto dedotto; per la qual cosa, questo Collegio non è stato messo in grado di poter apprezzare la fondatezza delle doglianze mosse, sul punto, dal ricorrente alla sentenza impugnata (cfr., tra le molte, Cass. n. 10551/2016; n. 23675/2013; n. 1435/2013). Inoltre, alla stregua dei costanti arresti giurisprudenziali di legittimità (cfr., per tutti, Cass., SS.UU., 15486/2017), “La violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., può essere dedotta come vizio di legittimità solo lamentando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dai poteri officiosi riconosciutigli. A tanto va aggiunto che, in linea di principio, la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (tra le varie, Cass. n. 24434/2016), dovendosi peraltro ribadire che, in relazione al nuovo testo di questa norma, qualora il giudice abbia preso in considerazione il fatto storico rilevante, l’omesso esame di elementi probatori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo (Cass., SS.UU. n. 8053/2014)”. Infine, quanto alle spese, deve rilevarsi che, nella fattispecie, le ragioni che hanno condotto alla disposta compensazione delle stesse sono esplicitate ed appaiono chiaramente ed inequivocabilmente desumibili dal complesso della motivazione adottata dalla stessa Corte di merito, la quale fa riferimento alla “parziale, reciproca soccombenza” per giustificare “la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di appello”. Al proposito, già le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 2572/2012, avevano affermato che “l’art. 92 c.p.c., comma 2, nella parte in cui consente la compensazione delle spese di lite allorché concorrano gravi ed eccezionali ragioni, costituisce una norma elastica, quale clausola generale che il legislatore ha previsto per adeguarla ad un dato contesto storico-sociale o a situazioni speciali, non determinabili esattamente a priori, ma da specificare in via interpretativa da parte del giudice di merito, con un giudizio censurabile in sede di legittimità, in quanto fondato su norme giuridiche”, ed ancora, precedentemente, le Sezioni Unite, con la sentenza n. 20598/2008, avevano sottolineato che il provvedimento di compensazione totale o parziale delle spese deve “trovare un adeguato supporto motivazionale, anche se, a tal fine, non è necessaria l’adozione di motivazioni specificamente riferite a detto provvedimento purché, tuttavia, le ragioni giustificatrici siano chiaramente ed inequivocabilmente desumibili dal complesso della motivazione adottata a sostegno della statuizione di merito (o di rito)”: regola, questa, alla quale la Corte di Appello, nella fattispecie, si è attenuta.
7. Con il primo motivo del ricorso incidentale si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2094,2099 c.c., e art. 36 Cost., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte di Appello erroneamente considerato le c.d. concessioni di viaggio o carte di libera circolazione come veri e propri elementi della retribuzione, nonostante la stessa Corte abbia sottolineato che l’elargizione e l’utilizzo delle medesime siano “del tutto slegate dalla prestazione lavorativa”.
8. Con il secondo motivo si denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 437 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omesso esame del quantum da attribuire alle carte di libera circolazione.
9. Il primo motivo del ricorso incidentale, che attiene alla natura giuridica da attribuire alle carte di circolazione concesse dalla società ai suoi dipendenti, è fondato. Al riguardo, valga quanto anticipato sub 6 in ordine alla non computabilità a fini retributivi delle c.d. carte di libera circolazione, giacché identiche questioni di diritto sono già state decise da questa Corte, fra le molte, con le sentenze n. 18953/2020; n. 18168/2020; n. 18685/2020; n. 18167/2020, con argomentazioni del tutto condivise dal Collegio, che non ravvisa ragioni per discostarsene, ed alle quali, ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., fa espresso richiamo. In questa sede, dunque, va ribadito il consolidato indirizzo giurisprudenziale di legittimità, ai sensi del quale “Il criterio seguito dalla Corte di legittimità nell’individuare la natura retributiva di un benefit è stato individuato nella riferibilità dello stesso a spese che, se pur indirettamente collegate alla prestazione lavorativa, sono comunque a carico del lavoratore sicché la concessione del benefit si risolve, in buona sostanza, in’ un adeguamento della retribuzione (cfr. Cass. n. 14835/2009; n. 14388/2000). Ove per contro il benefit costituisca una reintegrazione di una diminuzione patrimoniale, allorché ad esempio si riferisca a spese che il lavoratore dovrebbe sopportare nell’esclusivo interesse del datore di lavoro, allora ha una funzione riparatoria della lesione subita (Cass. n. 14385/2009, cit.). Le utilità offerte al lavoratore da ricondurre alla nozione di retribuzione sono quelle che risultano intimamente connesse al sinallagma genetico e funzionale del rapporto di lavoro di cui costituiscono un corrispettivo. Il criterio per ritenere retributiva una erogazione è dato pertanto dal rapporto sinallagmatico prestazione/controprestazione propria del rapporto di lavoro…. E l’agevolazione di libera circolazione riconosciuta è ancorata allo status di dipendente o ex dipendente pensionato ed è del tutto svincolata dalla natura e dalle modalità della controprestazione lavorativa”, trattandosi di agevolazione che, se rimasta inutilizzata, non è suscettibile, alla scadenza, di essere tramutata in un controvalore economico né, tanto meno, di essere sostituita con il pagamento di una somma di denaro (cfr. Cass. n. 18168/2020, cit.).
Orbene, tutto ciò premesso, va osservato che la Corte di Appello non si è attenuta ai consolidati arresti giurisprudenziali di questa Corte nella materia e, dunque, il motivo va accolto, risultando, all’evidenza, assorbito il secondo motivo del ricorso incidentale.
10. Pertanto, rigettato il ricorso principale, la sentenza va cassata, in relazione al primo motivo del ricorso incidentale -restando assorbito il secondo -, con rinvio della causa alla Corte di Appello di Catanzaro, in diversa composizione, che si atterrà, nell’ulteriore esame del merito, ai principi innanzi affermati, provvedendo altresì alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 3.
11. Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso principale, sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, secondo quanto specificato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso incidentale; assorbito il secondo motivo. Rigetta il ricorso principale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo del ricorso incidentale accolto e rinvia alla Corte di Appello di Catanzaro, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2022
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