Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.5117 del 16/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17863-2016 proposto da:

I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro tempere, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso lo studio degli avvocati EMILIA FAVATA e LUCIANA ROMEO, che lo rappresentano e difendono;

– ricorrente –

e contro

C.R.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2831/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 17/05/2016 R.G.N. 5728/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/11/2021 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO;

il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VISONA’

STEFANO, visto il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 2831 del 2016, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha accolto la domanda di C.R. per il riconoscimento della rendita, in godimento, per aggravamento dei postumi conseguenti all’infortunio sul lavoro occorsogli il *****, corrispondente alla percentuale di menomazione del 20 per cento, in luogo della percentuale del 18 per cento riconosciuta, dall’INAIL, in sede di revisione (in data *****), con effetto dal *****.

2. Avverso tale sentenza ricorre l’INAIL, con ricorso affidato a un motivo, avverso il quale C.R. non ha svolto attività difensiva.

3. L’Ufficio del Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni scritte chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. L’INAIL, deducendo violazione di legge, lamenta che la Corte d’Appello abbia violato il D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 83, comma 8, che non consente la revisione della rendita quando l’aggravamento dei postumi si verifichi oltre il decennio dalla data della sua costituzione.

5. Il ricorso è fondato.

6. Il D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 83, commi 1 e 7, rispettivamente, prevedono: “La misura della rendita di inabilità può essere riveduta, su domanda del titolare della rendita o per disposizione dell’Istituto assicuratore, in caso di diminuzione o di aumento dell’attitudine al lavoro ed in genere in seguito a modificazione nelle condizioni fisiche del titolare della rendita, purché, quando si tratti di peggioramento, questo sia derivato dall’infortunio che ha dato luogo alla liquidazione della rendita. La rendita può anche essere soppressa nel caso di recupero dell’attitudine al lavoro nei limiti del minimo indennizzabile” nonché: “Trascorso il quarto anno dalla data di costituzione della rendita, la revisione può essere richiesta o disposta solo due volte, la prima alla fine di un triennio e la seconda alla fine del successivo triennio”.

7. Con la richiamata disposizione il legislatore ha adottato un modello di protezione assicurativa dal rischio lavorativo non fisso e predeterminato ma dotato di una certa elasticità, tant’e’ che questa Corte di legittimità ha, in proposito, affermato che il predetto termine di complessivi dieci anni, per la revisione della rendita per infortunio sul lavoro, non è di prescrizione né di decadenza, ma delimita soltanto l’ambito temporale di rilevanza dell’aggravamento o del miglioramento delle condizioni dell’assicurato che fa sorgere il diritto alla revisione, sicché è ammissibile la proposizione della domanda di revisione oltre il decennio, a condizione che la parte interessata provi che la variazione (in meglio o in peggio) si sia verificata entro il decennio, e purché l’Istituto, entro un anno dalla data di scadenza del decennio dalla costituzione della rendita, comunichi all’interessato l’inizio del relativo procedimento che consente la revisione della prestazione economica della rendita per aggravamento o miglioramento (fra tante, Cass. 22 gennaio 2018, n. 1497 e la giurisprudenza ivi richiamata).

8 Il miglioramento, in particolare, può anche derivare da cause extra lavorative e il sistema non distingue la posizione dell’assicurato da quella dell’Inail, quanto alla facoltà di richiedere l’accertamento di revisione e alla operatività dei limiti temporali di cui al comma 7, e si fonda sull’implicita operatività di una presunzione assoluta di stabilizzazione dei postumi derivanti dall’infortunio nel periodo massimo di dieci anni che deriva dalla somma dei periodi indicati nel comma 7.

9. Il dies a quo del termine di dieci anni previsto dal citato D.P.R. n. 1124, art. 83, comma 8, – entro il quale può procedersi, a domanda dell’assicurato o per disposizione dell’Istituto, alla revisione della rendita – è costituito dalla data di maturazione del diritto alla prestazione, e non già da quella del provvedimento di liquidazione o di inizio della materiale corresponsione della rendita, posto che l’atto formale ha natura meramente dichiarativa e ricognitiva (fra tante, Cass. n. 10790 del 2020, Cass. n. 1497 del 2018 e ulteriori precedenti ivi richiamati).

10. Nella vicenda all’esame l’aggravamento dei postumi dell’infortunio occorso all’assicurato risale ad agosto 2015 (la Corte d’Appello, infatti, ha liquidato la nuova rendita con effetto dal primo settembre 2015), ad oltre dieci anni dal *****, data di decorrenza della rendita, per cui la revisione della rendita per aggravamento non poteva essere disposta.

11. La sentenza impugnata va, pertanto, cassata e, per non essere necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa va decisa nel merito con il rigetto dell’originaria domanda.

12. L’alterno esito dei giudizi di merito consiglia la compensazione delle spese del giudizio di merito.

13. Segue coerente la condanna alle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originaria domanda; compensa le spese dei gradi di merito; condanna la parte intimata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfetario del 15 per cento.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2022

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