Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.5129 del 16/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. CENICCOLA Aldo – est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 28222/2015 proposto da C.M., (CF *****), rapp.ta e difesa per procura in calce al ricorso dall’avv. Andrea Audino, con il quale elettivamente domicilia in Roma alla via Gregorio VII n. 474 presso lo studio dell’avv. Guido Orlando;

– ricorrente –

contro

MANU s.r.l., (CF *****), in persona del legale rapp.te p.t., rapp.ta e difesa per procura in calce al controricorso dall’avv. Gabriella Papeschi, con la quale elettivamente domicilia in Roma alla v. Guido d’Arezzo n. 32, presso lo studio dell’avv. Isidoro Cavaliere;

– controricorrente –

avverso il decreto del 22 settembre 2015, della Corte d’appello di Bologna;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 2 dicembre 2021 dal relatore Dott. Aldo Ceniccola.

RILEVATO

che:

Con decreto del 22 settembre 2015 la Corte di Appello di Bologna, in riforma del decreto del Tribunale di Ferrara del 5 maggio 2015, non approvava il conto della gestione presentato da C.M. che si era dimessa dalla carica di curatore del fallimento ***** s.r.l.

Osservava la Corte di Appello, per quanto ancora rileva, che dall’esame degli atti e dalle dichiarazioni rese nel corso dell’udienza emergeva che la curatrice avrebbe dovuto porre in essere tempestivamente comportamenti, esigibili secondo l’ordinaria diligenza, che invece non vennero adottati, con potenziale danno per la massa dei creditori.

In particolare, la curatrice non aveva segnalato alcune vicende (pur desumibili da una semplice visura ai RRII) riguardanti un leasing immobiliare, stipulato dalla fallita e poi ceduto all’amministratore unico (che, dopo soli due giorni dalla cessione, provvedeva al riscatto del bene, allorché la maggior parte dei canoni erano stati già pagati dalla società fallita), che avrebbero potuto fondare una più tempestiva azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore unico.

Inoltre, la curatrice non aveva provveduto a verificare la titolarità in capo alla società di un sito web, i cui costi pur risultavano dal libro degli inventari, non operando dunque una valutazione o stima di tale sito in vista della sua possibile acquisizione o del suo eventuale abbandono.

Infine, la curatrice non aveva provveduto a verificare l’attendibilità e la completezza delle scritture contabili, che addebitavano alla società alcune spese per beni in realtà incorporati ad immobili di proprietà dell’amministratore unico.

L’obiezione mossa dall’appellata, secondo cui tali condotte non erano state produttive di alcun danno, in quanto la nuova curatrice aveva provveduto ad esercitare verso l’amministratore unico l’azione di responsabilità, era, secondo la Corte, infondata, in quanto, fermo restando che ai fini della non approvazione del conto della gestione è sufficiente che le condotte siano potenzialmente produttive di danno, in ogni caso nella specie un danno si era pur sempre verificato.

Infatti, prima dell’esercizio dell’azione di responsabilità, che aveva portato ad un sequestro conservativo per Euro 500 mila, l’amministratore aveva ricevuto somme (che pure avrebbero potuto essere sequestrate) a titolo di compenso per collaborazioni occasionali, somme non più aggredibili al momento della proposizione dell’azione di responsabilità verso l’amministratore da parte del nuovo curatore.

Avverso tale decreto C.M. propone ricorso per cassazione affidato a 5 motivi, illustrati da successiva memoria. Resiste Manu s.r.l. mediante controricorso.

CONSIDERATO

che:

1. Il primo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione della L.Fall., artt. 38 e 116 nonché dell’art. 116 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), la motivazione apparente e contraddittoria (art. 360 c.p.c., n. 4) e l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione (art. 360 c.p.c., n. 5), evidenziando che dalle ricerche storiche eseguite in prossimità della dichiarazione di fallimento, non era emersa alcuna operazione anomala a carico dell’amministratore o della fallita e l’esistenza della cessione del leasing immobiliare era emersa solo a seguito di indagini piuttosto complesse. D’altro canto, prosegue la ricorrente, il semplice fatto, rilevato dal giudice di merito, che i costi del leasing immobiliare risultassero dal libro inventari della fallita non costituiva un fatto particolarmente significativo, atteso che – da un lato – tale indicazione non precisava con quale società fosse stato stipulato il contratto, e – dall’altro – la documentazione contabile della fallita era del tutto frammentaria ed incompleta. Il fatto, poi, che dalle visure storiche eseguite dalla curatrice subito dopo la dichiarazione di fallimento non emergessero particolari anomalie od operazioni sospette, non consentirebbe di addebitare alla stessa l’omessa immediata effettuazione di ricerche presso i registri immobiliari (volte ad estrarre la nota di trascrizione dell’atto di riscatto dell’immobile concesso in leasing), posto che di tale atto la curatrice non poteva averne conoscenza sulla base della sola documentazione contabile che le era stata consegnata. In ogni caso, tale criticità non poteva essere preclusiva dell’approvazione del conto della gestione, non essendo la curatela incorsa in decadenze o preclusioni di sorta.

1.1. Il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile.

1.2. E’ infondato nella parte in cui la ricorrente si duole della violazione di legge (sul rilievo dell’assenza di dannosità dell’atto in oggetto), in quanto, come già condivisibilmente statuito da questa Corte, “Il giudizio di approvazione del rendiconto del curatore ha ad oggetto, ai sensi della L.Fall., art. 116, la correttezza e la corrispondenza dell’operato di quest’ultimo ai precetti legali ed ai canoni della diligenza professionale richiesta per l’esercizio della carica, nonché gli esiti conseguiti, la cui contestazione esige la deduzione e la prova di un pregiudizio almeno potenziale recato al patrimonio del fallito o alle ragioni dei creditori” (cfr. da ultimo, Cass. n. 6377 del 05/02/2019), laddove la Corte di appello ha, del resto, osservato che la mancata rilevazione immediata del fatto comportò un danno alla società, consistente nel pagamento della maggior parte dei canoni di locazione dell’immobile, poi riscattato dall’amministratore cessionario del contratto.

1.3. Il motivo e’, poi, inammissibile nella parte in cui si duole della motivazione apparente ovvero dell’omesso esame del fatto decisivo: non solo, infatti, la motivazione del giudice di merito è ampia ed esaustiva, ma si sofferma diffusamente proprio sulla questione della cui mancata rilevazione il ricorrente si duole (ossia l’impossibilità di avvedersi facilmente dell’operazione contrattuale), avendo la Corte di appello considerato significative, ai fini della agevole conoscibilità, sia le risultanze del libro degli inventari, sia il fatto che da una “semplice, economica ed elementare visura ai RRII poteva emergere, ed emergeva con immediatezza” che l’amministratore, potenziale destinatario dell’azione di responsabilità, aveva riscattato un immobile, subentrando dunque nel contratto di leasing stipulato dalla fallita (circostanza che, del resto, emergeva esplicitamente dal contratto intercorso tra l’amministratore e la Fraer Leasing).

2. Il secondo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione della L.Fall., artt. 38 e 116, nonché dell’art. 116 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), la motivazione apparente e contraddittoria (art. 360 c.p.c., n. 4) e l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione (art. 360 c.p.c., n. 5). Secondo la ricorrente, la Corte di appello avrebbe errato nell’imputare alla curatrice la mancata rilevazione del sito web. Il fatto che dal libro inventari emergesse, nel 2007 e quindi 5 anni prima della dichiarazione di fallimento, il costo di manutenzione di tale sito, non sarebbe affatto significativo, in quanto tale indicazione era oltremodo risalente e d’altronde presente una sola volta e senza alcuna ulteriore specificazione. Tanto più che nemmeno il successivo curatore ebbe modo di appurare la reale titolarità del sito in capo alla società: l’unica omissione addebitata, in realtà, riguarderebbe il fatto di non aver eseguito indagini volte ad accertare se tale sito, per altro dal titolo contraddittorio (in quanto riferito al nome dell’amministratore), fosse realmente di proprietà della fallita, nemmeno risultando precisato il suo valore o le modalità della sua liquidazione.

2.1. Anche tale mezzo è in parte infondato ed in parte inammissibile.

2.2. La Corte di appello ha osservato al riguardo che, emergendo l’esistenza del sito web dal libro degli inventari (in quanto i costi riguardanti la sua manutenzione erano stati addebitati alla società), sarebbe stato naturale adempimento del curatore verificarne tempestivamente la titolarità attuale (se della fallita o di altri), quantomeno assumendo informazioni dall’amministratore (o dall’altra società a lui collegata), ovvero effettuare ricerche on line al fine di risalire alla registrazione della titolarità dei nomi di dominio.

2.3. Tali argomenti non incappano né nella denunciata violazione di legge, venendo in rilievo un’omissione suscettibile di integrare uno scostamento dai parametri di diligenza richiesti al professionista e dunque preclusiva dell’approvazione del conto della gestione, né nella motivazione apparente (essendo ampiamente integrato il c.d. minimo costituzionale), né nell’omesso esame di un fatto decisivo, avendo la Corte di appello preso in considerazione, sia pure valutandoli diversamente, gli stessi fatti esposti dal ricorrente con il motivo in oggetto.

2.4. Ne’ diversa sorte avrebbe il motivo considerando la circostanza che, secondo la ricorrente, non vi era alcuna certezza circa la titolarità del sito in questione, posto che il giudice di merito ha considerato rilevante proprio la mancata attivazione del potere-dovere, da parte del curatore, di contribuire a fare luce sull’effettiva titolarità del bene in capo alla società.

3. Il terzo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione della L.Fall., artt. 38 e 116 nonché dell’art. 116 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), la motivazione apparente e contraddittoria (art. 360 c.p.c., n. 4) e l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione (art. 360 c.p.c., n. 5). La Corte di appello avrebbe ascritto, infatti, alla ricorrente la mancata rilevazione di alcune spese addebitate alla società in relazione a beni incorporati ad immobili di proprietà dell’amministratore (una piscina o vasca antincendio ed una tettoia), senza considerare, però, che tali beni erano appostati in contabilità come beni di proprietà della società fallita e che gli stessi si trovavano proprio presso la sua sede originaria, sicché l’addebito alla società dei relativi costi non rappresentava affatto un’operazione anomala.

3.1. Il motivo è inammissibile.

3.2. Esaminando attentamente la motivazione resa sul punto dalla Corte di appello (cfr. specificamente pag. 4 del decreto impugnato) emerge come essa non abbia mai negato la titolarità dei beni in questione in capo alla società fallita: il giudice di merito, correttamente non affrontando la questione (irrilevante ai fini che intessano) della regolarità catastale dei beni o dell’individuazione del titolare catastale, ha focalizzato le proprie osservazioni sul piano sostanziale, imputando alla curatrice la mancata rilevazione del fatto che alla società venivano imputati dei costi in relazione a “beni in realtà incorporati ad immobili di proprietà” dell’amministratore, fatto che prescinde ovviamente dalla questione dell’individuazione del reale titolare e rileva, piuttosto, nell’ottica dell’azione di responsabilità a carico dell’amministratore che, in realtà, “scaricava” sulla società costi relativi a beni di cui egli disponeva liberamente e per le proprie private esigenze. Il motivo, dunque, è inammissibile, non confrontandosi con il rilievo considerato dirimente dal giudice di merito.

4. Il quarto ed il quinto motivo lamentano la violazione e falsa applicazione della L.Fall., artt. 38 e 116 nonché dell’art. 116 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), la motivazione apparente e contraddittoria (art. 360 c.p.c., n. 4) e l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione (art. 360 c.p.c., n. 5): la ricorrente deduce, per un verso, che l’inosservanza delle regole di diligenza, desunta dalla Corte dal rilievo delle omissioni sopra indicate, non ha arrecato alla procedura sostanzialmente alcun danno, in quanto, rilevando tali omissioni nell’ottica dell’azione di responsabilità verso l’amministratore, tale azione non si era affatto prescritta, tanto è vero che venne poi esercitata dal successivo curatore; per altro verso, sottolinea l’assenza non solo di un danno potenziale, ma anche del danno effettivo ravvisato dal giudice del merito, non essendovi alcuna prova del fatto che il ritardo nell’esercizio dell’azione di responsabilità consentì all’amministratore di percepire, da altra società da lui amministrata, compensi non aggredibili con l’azione successivamente intrapresa.

4.1. I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi, sono infondati.

4.2. Deve osservarsi in proposito che le contestazioni rivolte al conto della gestione, oltre ad essere sufficientemente specifiche, devono enunciare le conseguenze, anche solo potenzialmente dannose, che ne siano derivate, così da consentire la corretta individuazione della materia del contendere e l’efficace esplicazione del diritto di difesa del curatore cui gli addebiti siano rivolti.

4.3. La sufficienza del “danno potenziale” (ravvisato dal giudice di merito nel ritardo nell’esercizio dell’azione di responsabilità) implica che debba prescindersi dalla verifica dell’impatto realmente pregiudizievole che le condotte hanno avuto, dovendosi semmai verificare, secondo una prospettiva “ex ante”, se le omissioni contestate avrebbero potuto, in astratto, determinare dei danni.

4.4. Tanto è vero che, come l’approvazione del conto della gestione non preclude uno specifico ed autonomo accertamento da parte del giudice di merito investito dell’azione di responsabilità (cfr. Cass. n. 529 del 2016 e Cass. n. 6377 del 2019 in parte motiva), l’assenza di pregiudizialità tra le due prospettive vale anche nel caso inverso, allorché, come nel caso in esame, a fronte della mancata approvazione del conto della gestione, il danno sia stato però evitato dal fatto che l’azione di responsabilità, trascurata dal precedente amministratore a causa di omesse verifiche o controlli irregolari, sia stata poi esercitata dal successivo curatore.

4.5. Ne consegue che la sufficienza del danno potenziale, nell’ottica della mancata approvazione del conto della gestione, rende ovviamente irrilevante l’ulteriore questione, sulla quale invano si sofferma la ricorrente, circa l’esistenza o meno di un danno concreto, avendo la Corte di appello rilevato, solo ad abundantiam, che nelle more, l’amministratore aveva percepito a titolo di compenso somme che sarebbero state oggetto di sequestro se esso fosse intervenuto più celermente.

5. Le considerazioni che precedono impongono, in definitiva, il rigetto del ricorso. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

PQM

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in Euro 6.200,00 per compenso ed Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 2 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2022

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