LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –
Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 8056-2020 proposto da:
M.S., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato SANTILLI STEFANIA;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO – Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Milano, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;
– resistente con mandato –
avverso la sentenza n. 3469/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 19/08/2019 R.G.N. 4166/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/01/2022 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH.
RILEVATO
Che:
1. La Corte di appello di Milano, con sentenza pubblicata il 19.08.2019, ha respinto l’appello proposto da M.S., cittadino del Gambia, avverso il decreto con il quale il locale Tribunale ha respinto il ricorso del richiedente avverso il provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di rigetto della sua domanda volta in via gradata al riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria;
2. La Corte, in particolare:
a) ha escluso che la situazione del richiedente fuggito all’età di quindici anni per sottrarre la sorella di tredici anni alla pratica della infibulazione, con la quale però, una volta giunto in Libia, aveva perduto i contatti senza riuscire a recuperarli, e timoroso di rientrare nel Paese di origine, a rischio della vita, per aver sottratto dei soldi alla madre e per essersi posto al di fuori delle tradizioni per le quali le ragazze sono sottoposte alla menzionata pratica – potesse essere sussunta in una delle ipotesi tipiche per il riconoscimento della protezione internazionale;
b) ha escluso la sussistenza di una delle ipotesi tipiche per il riconoscimento della protezione sussidiaria, rilevando l’inattendibilità della vicenda narrata per l’età che il richiedente aveva al momento della fuga dal paese di origine, e il contesto socio-economico, che, in ogni caso, non giustificava la concessione della menzionata protezione;
c) ha escluso la sussistenza di motivi per la concessione della protezione umanitaria poiché il percorso di integrazione del richiedente era in uno stadio meramente iniziale e la domanda di protezione non era supportata da elementi individualizzanti né dall’allegazione di specifiche condizioni di vulnerabilità e di una situazione di partenza particolarmente degradata.
3. Il ricorso di M.S. domanda la cassazione di suddetta sentenza per quattro motivi.
4. Il Ministero dell’Interno intimato non resisteva con controricorso, ma depositava atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ult. alinea, cui non faceva seguito alcuna attività difensiva.
CONSIDERATO
Che:
1. Con il primo motivo si deduce omessa, insufficiente, illogica e contraddittoria Data pubblicazione 16/02/2022 motivazione, travisamento e omessa valutazione di tutti gli elementi di fatto e della situazione sociopolitica del Gambia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, avendo, la Corte territoriale, trascurato la vicenda personale del richiedente, la ribellione alle tradizioni, la sua carcerazione in Libia, le condizioni socio-politiche del paese di provenienza, le violazioni dei diritti umani e la corruzione delle forze dell’ordine, essendo il Gambia uno dei paesi più poveri del mondo che non è riuscito a lasciare alle spalle un lungo periodo dittatoriale;
2. con il secondo motivo si deduce violazione ad applicazione della Convenzione di Ginevra 28 luglio 1951, D.Lgs. n. 251 del 2007artt. 2,7, 8 e 14 del nonché omesso esame di circostanze decisive, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, avendo, la Corte territoriale, trascurato l’entità del rischio del richiedente di subire effettivamente atti di persecuzione in conseguenza della ribellione alla tradizione religiosa che impone l’infibulazione alle ragazze e del rifiuto della cultura islamica dominante nel paese;
3. con il terzo motivo si denunzia violazione ed errata applicazione D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 14, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c), nonché omesso esame della assenza di possibilità concrete di ricorso la protezione interna della comunità di appartenenza, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, avendo, la Corte territoriale, trascurato che è sufficiente tratteggiare una situazione nella quale alla violenza diffusa ed indiscriminata non sia contrapposto alcun anticorpo concreto dalle autorità statuali ed essendo mancato un accertamento del sistema legale gambiano e della effettiva capacità di protezione interna, ed avendo il giudice citato fonti internazionali non aggiornate (rapporti pubblicati tra il 2016 e inizio 2018, mentre la sentenza impugnata è stata pubblica ad agosto 2019);
4. con il quarto motivo si denunzia, in relazione alla protezione umanitaria, violazione ed errata applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 4, 7,14,16 e 17, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8,10 e 32, art. 10 Cost. avendo, la Corte territoriale, trascurato la vicenda personale del richiedente (incarcerazione in Libia, violazione dei diritti umani nelle carceri, fondato timore di ripercussioni e violenze per aver sottratto la sorella all’infibulazione) e le condizioni del paese d’origine;
5. i motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione, sono fondati per quanto di ragione;
6. questa Corte ha affermato che nei procedimenti in materia di protezione internazionale, la valutazione di inattendibilità del racconto del richiedente, per la parte relativa alle vicende personali di quest’ultimo, non incide sulla verifica dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), in quanto la valutazione da svolgere per questa forma di protezione internazionale è incentrata sull’accertamento officioso della situazione generale esistente Data pubblicazione 16/02/2022 nell’area di provenienza del cittadino straniero, e neppure può impedire l’accertamento officioso, relativo all’esistenza ed al grado di deprivazione dei diritti umani nella medesima area, in ordine all’ipotesi di protezione umanitaria fondata sulla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione raggiunto nel nostro paese ed il risultato della predetta indagine officiosa (cfr. da ultimo Cass. n. 16122 del 2020);
6.2. in particolare, questa Corte ha affermato che nel caso in cui il giudice di merito abbia reso note le fonti consultate mediante l’indicazione del loro contenuto, della data di risalenza e dell’ente promanante, il ricorrente che voglia censurarne l’inadeguatezza in relazione alla violazione del dovere di cooperazione istruttoria, è tenuto ad allegare nel ricorso le fonti alternative ritenute idonee a prospettare un diverso esito del giudizio; diversamente, nel caso in cui il richiamo alle fonti sia assente, generico o deficitario nelle sue parti essenziali, è sufficiente la censura consistente nella deduzione della carenza degli elementi identificativi (Cass. n. 7105 del 2021); 6.3. la Corte territoriale, pur non ritenendo credibile il richiedente, alla luce dei criteri offerti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, ha indagato la situazione della zona di provenienza escludendo la sussistenza di una situazione di violenza indiscriminata alla luce di fonti internazionali autorevoli ed aggiornate espressamente indicate (e non smentite né aggiornate dal ricorrente), ma non ha svolto una indagine di approfondimento – richiesta dal dovere Data pubblicazione 16/02/2022 di cooperazione istruttoria che caratterizza queste controversie -circa la divulgazione della pratica di mutilazione genitale femminile e soprattutto, per quel che concerne il richiedente (di sesso maschile), circa la tolleranza, da parte dei gruppi familiari di scelte diverse;
7. invero, questa Corte ha affermato che il rischio di assoggettamento a pratiche di mutilazioni genitali femminili (c.d. infibulazione) costituisce elemento rilevante per la concessione della tutela umanitaria nonché per il riconoscimento della protezione internazionale sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), poiché dette pratiche rappresentano, per la persona che le subisce o rischia di subirle, un trattamento oggettivamente inumano e degradante; inoltre, ove sia accertato che il fenomeno venga praticato, nel contesto sociale e culturale del Paese di provenienza, al fine di realizzare un trattamento ingiustamente discriminatorio, diretto o indiretto, della donna, in relazione alla previsione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7, lett. a) ed f), possono sussistere i presupposti anche per la concessione dello status di rifugiato; a fronte di tale allegazione, il giudice, in attuazione del dovere di cooperazione istruttoria previsto dalla legge, deve verificare tutti i fatti pertinenti che riguardano il Paese di origine del richiedente al momento dell’adozione della decisione, compresa l’esistenza di disposizioni normative o di pratiche tollerate, o comunque non adeguatamente osteggiate, nell’ambito del contesto sociale e culturale esistente nel predetto Paese di provenienza, al fine di accertare se, effettivamente, le donne siano di fatto discriminate nel libero godimento e nell’esercizio dei loro diritti fondamentali (Cass. n. 29971 del 2021);
8. è stato altresì sottolineato che: a) la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, sottoscritta ad Istanbul l’11/05/2011 e ratificata dall’Italia con L. n. 77 del 2013, definisce le mutilazioni genitali femminilei (MGF) come grave violazione dei diritti umani delle donne e delle ragazze e come principale ostacolo al raggiungimento della parità tra i sessi; b) la Risoluzione del Parlamento Europeo del 14/06/2012 sull’abolizione delle mutilazioni genitali femminili, dà atto che le MGF sono indice di una disparità nei rapporti di forza e costituisce una forma di violenza nei confronti delle donne, al pari di altre gravi manifestazioni di violenza di genere, e che è assolutamente necessario inserire sistematicamente la lotta alle mutilazioni genitali femminili in quella più generale contro la violenza di genere e la violenza nei confronti delle donne (Cass. n. 30631 del 2021);
9. d’altra parte, il fatto che non sia il ricorrente esposto al rischio di subire la suindicata pratica non esclude che egli possa essere direttamente esposto al rischio di un trattamento persecutorio di tipo religioso per aver cercato di sottrarre la sorella alla pratica stessa (arg. ex Cass. n. 4377 del 18/02/2021);
10. il ricorso va, pertanto, accolto in ragione della carenza di approfondimento sulla divulgazione nel Gambia di pratiche di mutilazioni genitali femminili (c.d. infibulazione) e sulla eventuale tolleranza (o, viceversa, punizione) di scelte religiose e tribali diverse; la sentenza va cassata, con rinvio alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, che statuirà altresì sulle spese del presente giudizio di legittimità;
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, che provvederà altresì alle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 28 gennaio 2022.
Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2022