LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –
Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6717/2014 R.G. proposto da:
Agenzia delle Entrate in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici è domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;
– ricorrente –
contro
Santander Asset Management SGIIC, nella sua qualità di gestore e rappresentante legale dei seguenti fondi di investimento e organismi collettivi del risparmio di diritto spagnolo: Santander Top 25 Euro, Santander Special Situations, Santander Small Caps Europa, Santander Sayplus, Santander Mixto Renta Fija, Santander Mixto Acciones, Santander Financiero, Santander Euroindice, Santander Euroacciones, attualmente denominato Santander Acciones Euro FI, Santander Estrategia Local, FI, Santander Estrategia Inflacion Plus FI, Santander Dividendo Solidario, FI, attualmente denominato Santander Solidario Dividendo Europa FI, Santander Dividendo Europa, Santander Cuantitativo Europa, FI, Santander Central Hispano Mixto Renta Fija 90, 10, FIM, attualmente denominato Santander Mixto Renta Fija 90/10, FI, Santander Aggressive Europe, FI, Santander Acciones Europeas Plus FI, Santander Acciones Europeas, FI, Santander Beneficio FI, attualmente denominato Santander Beneficio Europa FI, Inverbanser, FIM, Citifondo Lider, FIM, Citifondo Agil, FIM, Bomerde FIM, Banif Rv Euro, FI, Banif Goldman Sachs Europa Valor, FIM, Banif Dividendo FIM, attualmente denominato Banif Dividendo Europa FI, Banif Acciones Espanolas FI, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Beatrice Fimiani, con domicilio eletto presso lo studio legale e tributario CMS Adonnino Ascoli & Cavasola Scamoni, con sede di Roma, Via Agostino Depretis n. 86, giusta scrittura privata autenticata dal Dott. R.M.D., N, ed apostillata in data 26 marzo 2014 (n. 022354) dalla Dott.ssa D.M.N.G.d.E.D., Decano del Collegio Notarle di Madrid;
Santander Private Banking Gestion SGIIC S.A., nella sua qualità di gestore e rappresentante legale, a decorrere dal 20 dicembre 2013, dei seguenti fondi di investimento e organismi collettivi del risparmio di diritto spagnolo:
Vasan Financiera, SIMCAV S.A., Secram Inversiones, SIMCAV S.A., attualmente denominato Secram Inversiones SICAV, Oker Inversiones, SIMCAV S.A., Modigliani Inversiones, SIMCAV S.A., poi denominato Modigliani Inversiones, SICAV S.A., e attualmente denominato Casfeb Inversiones Y Valores SICAV s.A.;
Cartera Mobiliaria, SICAV S.A.;
Entrambe rappresentate e difese nel presente giudizio, per la prima, giusta procura speciale rilasciata con scrittura privata autenticata, in data 9 aprile 2014 (prot. N. BT7133237) dal Dott. R.M.D., notaio in Madrid, ed apostillata in data 10 aprile 2014 (n. 026840) dalla Dott.ssa D.M.E.R.P., Decano del Collegio Notarile di Madrid, e per la seconda, giusta procura speciale rilasciata con scrittura privata autenticata, in data 9 aprile 2014 (Prot. N. BS7239160) dal Dott. A.D.N., notaio in Madrid, ed apostillata in data 10 aprile 2014 (n. 027006) dal Dott. D.F.F.M., Decano del Collegio Notarile di Madrid, dall’Avv. Beatrice Fimiani, ed elettivamente domiciliate presso lo Studio Legale e Tributario CMS Adonnino Ascoli
& Casavola Scamoni, con sede in via Agostino Depretis, n. 86, Roma;
– controricorrenti –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, sezione distaccata di Pescara n. 434/10/2013, depositata il 9 settembre 2013.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 febbraio 2022 dal Consigliere D’Orazio Luigi.
RILEVATO
CHE:
1. La Santander Asset Management S.A., iscritta nel registro delle imprese di Madrid, all’epoca gestore e rappresentante legale di tutti i Fondi pensione e Organismi di investimento collettivi di risparmio (OICR) residenti in Spagna sopra indicati, presentava il 13 novembre 2009, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, l’istanza di rimborso della somma di Euro 2.542.388,25, corrispondente all’applicazione da parte del fisco italiano della ritenuta del 15 % sui dividendi distribuiti in favore dei Fondi da parte di diverse società italiane nel corso dell’anno 2007, quindi in violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27, comma 3, e delle disposizioni di cui agli artt. 12, 43 e 56 del Trattato CE, quindi dei principi di non discriminazione, libertà di stabilimento e libera circolazione dei capitali. L’aliquota del 15 % era stata applicata ai sensi dell’art. 10 della Convenzione tra Italia e Spagna contro le doppie imposizioni. In particolare, si chiariva che i Fondi erano soggetti all’imposta spagnola sul reddito delle società, ancorché con aliquota O %, sicché non erano in grado di recuperare in alcun modo le imposte subite all’estero, come da documentazione depositata. Le società distributrici dei dividendi avrebbero, invece, dovuto applicare una ritenuta a titolo di imposta con aliquota dell’1,65 %, corrispondente al carico fiscale effettivamente applicato ad un dividendo percepito da una società di capitali italiana, secondo le disposizioni del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea.
2.La Commissione tributaria provinciale rigettava il ricorso, in quanto nella Convenzione Italia-Spagna, e non nel D.P.R. n. 600 del 1973, erano previsti rimedi e compensazioni per ovviare ad eventuali disparità di trattamento derivanti dalle normative interne dei singoli Stati dell’Unione. Inoltre, la sentenza della Corte di Giustizia 540/2007 riguardava solo le società di capitali e non i “fondi comuni di investimento”.
3. La Commissione tributaria regionale accoglieva l’appello della società, evidenziando che per la soluzione della controversia doveva tenersi conto della legge finanziaria n. 244/2008 e della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea540/2009. Infatti, la legge finanziaria 2008, adottata su parere motivato della Commissione CE n. C125M del 28 febbraio 2006, con l’art. 1 comma 67, nell’ambito della procedura di infrazione aperta contro lo Stato italiano, aveva apportato modifiche al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27, stabilendo la riduzione della ritenuta da applicarsi sui dividendi corrisposti da società italiane a società non residenti, portata dal 27 % all’1,375 %, prevedendo al comma 68 dell’art. 1 che tali nuove disposizioni si applicavano agli utili a partire dall’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007. Tuttavia, la sentenza della Corte di Giustizia n. 540/07 del 19 novembre 2009 aveva sanzionato l’Italia per avere mantenuto in vigore un regime fiscale più oneroso per i dividendi distribuiti a società stabilite negli altri Stati membri e negli Stati dell’Accordo SEE del 2 maggio 1992, rispetto a quello applicato ai dividendi distribuiti a società residenti, in violazione degli artt. 56 del Trattato e 40 dell’Accordo SEE, in materia di libera circolazione di capitali tra gli Stati membri e tra quelli aderenti all’accordo SEE. Infatti, l’Italia esentava dall’imposta fino al 95 % dell’importo dei dividendi distribuiti a società residenti, assoggettando il restante 5 % all’aliquota normale dell’imposta dei redditi delle società, pari al 33 %, mentre i dividendi distribuiti a società stabilite in altri Stati membri erano assoggettati ad una ritenuta alla fonte del 27 %. Ne’ valeva che le Convenzioni contro le doppie imposizioni consentissero di detrarre l’imposta trattenuta alla fonte in Italia da quelle dovute all’altro Stato membro. Pertanto, doveva disapplicarsi la norma interna, di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27. La Convenzione Italia-Spagna, pur se disciplinante la materia, tuttavia appariva necessariamente coordinata con la norma interna (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27), la quale si poneva quale presupposto per la disciplina convenzionale. Inoltre, la società aveva depositato una certificazione attestante che gli organismi collettivi gestori dei fondi di investimento erano residenti in Spagna, producendo poi un’altra certificazione, rilasciata dal Ministero dell’economia e delle finanze, da cui emergeva che “sono soggetti all’imposta dell’1% le Sicav e i fondi di investimento” e che gli stessi “non avranno diritto a deduzione alcuna della quota né alla esenzione di reddito sulla base imponibile per evitare la doppia imposizione internazionale”. Tutti gli organismi di investimento collettivo erano stati assoggettati all’imposta sulle società negli esercizi 2007, 2008 e 2009. In ordine all’accredito dei dividendi in favore della società spagnola, risultava prodotta una certificazione relativa agli utili corrisposti nell’anno 2007, rilasciata da Citybank di Milano, con l’indicazione degli estremi del soggetto emittente, del percettore degli utili (che risulta essere il singolo fondo con recapito presso la Santander), dei relativi importi e della data del pagamento. Non era necessario il deposito della contabile bancaria attestante l’avvenuto accreditamento dei dividendi. In assenza di fondate contestazioni dell’Ufficio sulla certificazione rilasciata dall’istituto bancario, la valenza probatoria della documentazione non poteva essere disattesa.
4. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate.
5. Resistono con controricorso le società Santander Asset Management SGIIC S.A. , e Is Santander Private banking Gestion SGIIC, S.A., depositando memoria scritta.
CONSIDERATO
CHE:
1. Con il primo motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27 comma 3 e della L. 29 settembre 1980, n. 663, art. 10, ex art. 360 c.p.c., n. 3, in combinato disposto con il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 18”, in quanto la sentenza della Corte di Giustizia n. 540 del 2009 aveva ad oggetto i dividendi distribuiti da società italiane e società con sede in altri Stati dell’Unione Europea, mentre la fattispecie in esame si riferisce ai dividendi distribuiti da società italiane ad una società spagnola, che però è legale rappresentante e gestore di alcuni Fondi pensione non residenti. La Commissione Europea, infatti, oltre alla procedura C540/07 aveva avviato un’altra procedura di infrazione nei confronti dell’Italia nel 2008 (la n. 2006/4094), proprio per valutare la differente tassazione dei dividendi percepiti dai Fondi pensione italiani rispetto ai fondi pensione non residenti. Tale procedura è stata, però, archiviata in data 2 ottobre 2009, perché l’ordinamento italiano non era in contrasto con quello unionale. La procedura era stata archiviata dalla commissione Europea, quindi dallo stesso organo che aveva promosso la procedura n. C-540/07, manifestando la differenza tra le due fattispecie e determinando la non estensibilità della sentenza della Corte di giustizia n. 540/07 ad altre fattispecie come quella in contestazione, perché non similari. Inoltre, il giudice d’appello ha omesso di considerare la riforma del settore dei fondi investimento effettuata in Italia nel 2011, in attuazione della direttiva UCITIS, con la specifica finalità di promuoverne la crescita rendendo più competitivi rispetto agli OICVM di tutti gli altri paesi comunitari e non. Nel passato, dunque, erano stati penalizzati proprio fondi comuni di investimento italiani rispetto a quelli di diritto estero. Solo con la riforma del 2011 i fondi comuni di investimento italiano hanno recuperato competitività rispetto agli omologhi fondi esteri. Non essendovi contrasto tra la normativa nazionale e il Trattato CE non vi era obbligo da parte dello Stato italiano di applicare i principi della sentenza n. C-540/07 in materia di rimborsi delle ritenute subite dai fondi comuni di investimento non residenti. Ciò avrebbe dovuto impedire alla società la possibilità di adire la commissione tributaria per mancanza della causa petendi. La piena conformità del nostro ordinamento con quello comunitario, comportava la perfetta validità della tassazione subita, escludendo il diritto al rimborso in capo ai fondi comuni di investimento.
2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27, comma 3 e della L. 7 gennaio 1992, n. 20, art. 10, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 “. Il giudice d’appello ha erroneamente ritenuto applicabile al caso in esame il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27, comma 3, in luogo dell’art. 10 della Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra Italia e Spagna, senza motivare adeguatamente sul punto e con affermazioni contraddittorie. La fonte normativa che disciplina la tassazione dei dividendi in uscita verso i paesi comunitari è rappresentata dalle singole convenzioni bilaterali, stipulate con lo stato di residenza del beneficiario; solo in assenza di Trattato o in caso questo sia inapplicabile per carenza dei requisiti soggettivi e oggettivi, le norme interne speciali dispongono gli obblighi di imposta. Inoltre, il trattamento fiscale subito dai fondi comuni di investimento italiani da parte del proprio Stato non può essere paragonato a quello che lo stesso Stato della fonte opera nei confronti dei Fondi ivi residenti. Il legislatore, dunque, ha inteso trattare in modo differente le due situazioni proprio perché erano “differenti”. Insomma, è ribadita nel 2011 e nel 2013 l’applicabilità del regime fiscale previsto nelle convenzioni a condizioni di reciprocità. La fonte normativa su cui si fonda l’impugnazione non è il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27, comma 3, ma l’art. 10 della Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra Italia Spagna, in base al principio di specialità. Infatti, Mediobanca s.p.a., all’atto del pagamento dei dividendi, valutata la percentuale di possesso delle azioni da parte della SAM, ha applicato l’aliquota ridotta del 15% dell’imposta sostitutiva operata, e non l’aliquota prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27, comma 3. La Convenzione peraltro fornisce ad entrambi gli Stati contraenti alcuni correttivi, con la previsione, l’art. 22, della possibilità di eliminare la doppia imposizione sia per i soggetti percettori di redditi residenti in Italia, sia per quelli residenti Spagna.
La Convenzione Italia-Spagna, dunque, si struttura secondo il modello OCSE, con l’applicazione di due principi: quello della tassazione dei dividendi nel Paese del beneficiario e quello della tassazione del dividendo nel Paese della fonte (art. 10 della Convenzione), con applicazione anche dell’art. 22 della stessa per eliminare la doppia imposizione sia per i percettori di redditi residenti in Italia, sia per quelli residenti in Spagna 3. Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la “violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 56 e 58 del Trattato CE in riferimento ai principi comunitari di libera circolazione dei capitali e del principio di libertà di stabilimento”, in quanto il giudice di appello ha ritenuto applicabile alla fattispecie in esame il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27, comma 3-ter, come modificato dalla L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1, commi 67 e 68, in vigore, però dal 1 gennaio 2008, con applicazione, quindi, dell’aliquota dell’1,375 %. Inoltre, la Commissione regionale ha ignorato le modifiche intervenute in epoca successiva, a partire del 29-7-2009, con cui il legislatore italiano ha modificato con la L. 7 luglio 2009, n. 88, art. 24, commi 2 e 3 il trattamento fiscale operato sui dividendi dai fondi pensione limitandolo all’aliquota 11%. La legge finanziaria del 2008 non è poi applicabile per l’esercizio 2006, sicché la tassazione dei dividendi, portata dal 27 % all’1,375 % (il 5 % – la quota dei dividendi che partecipa al reddito – del 27,5 % – l’aliquota Ires), opera solo dal 1 gennaio 2008. Per il Trattato gli Stati membri possono, nella loro legislazione tributaria, stabilire una distinzione tra i contribuenti residenti e i contribuenti non residenti, purché tale distinzione non costituisca né un mezzo di discriminazione arbitrario né una restrizione dissimulata al libero movimento dei capitali. L’art. 10 della Convenzione Italia-Spagna consiste proprio nel tentativo di contrastare operazioni elusive, posta in essere per ottenere un indebito salto di imposta.
4.Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente si duole della “violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 56 del Trattato CE da parte del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27, comma 3 e art. 73”. Il giudice di appello ha omesso di pronunciarsi sulle eccezioni dell’Agenzia, sollevate nelle controdeduzioni all’appello, con cui si dimostrava il rispetto del principio di non discriminazione da parte del Centro operativo di Pescara (COP). La Commissione regionale si è limitata, con poche battute, a richiamare la sentenza della Corte di giustizia n. 540 del 19 novembre 2009. In realtà, con l’attuazione della direttiva UCITIS IV il 1 luglio 2011 in Italia è stata realizzata la riforma del settore dei fondi di investimento con la finalità di promuoverne la crescita rendendoli più competitivi. Il regime di tassazione in Italia è basato sull’applicazione di una imposta sostitutiva del 12,50% sul risultato di gestione maturato in ciascun periodo. Tale imposta è stata abrogata con il decreto “milleproroghe”, in quanto penalizzante rispetto a quello della maggior parte degli altri paesi Europei. Non vi può essere un rimborso generalizzato a tutti i soggetti che hanno subito una ritenuta sui dividendi percepiti dalla società italiana senza aver prima verificato se il fondo comune di investimento estero: a) sia in possesso dei requisiti soggettivi per potersi vedere riconoscere l’aliquota agevolata prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27, comma 3; b) sia in possesso del requisito oggettivo consistente in un’effettiva discriminazione rispetto a soggetti che abbiano il medesimo status giuridico.
4.1.1 motivi primo, secondo, terzo e quarto, che vanno trattati congiuntamente per ragioni di connessione, sono infondati.
Invero, va premesso che l’Agenzia delle entrate, pur contestando la motivazione della sentenza del giudice d’appello, non ha però cesellato un motivo di impugnazione con riferimento specifico alla motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come modificato dal D.L. n. 83 del 2012, in vigore per le sentenze pubblicate a decorrere dall’11 settembre 2012. Ne’ è stato dedotto l’omesso esame di fatti decisivi, in alcun modo indicati dall’Agenzia delle entrate nel suo ricorso per cassazione.
4.2. Inoltre, si rileva che questa Corte si è già pronunciata sulla applicabilità della pronuncia 540 del 2009 della Corte di Giustizia alle ritenute alla fonte applicate dall’Italia sui dividendi distribuiti da società italiane ai fondi pensione del Regno Unito (Cass., 28573/2017; Cass., 18926/2018; Cass., 26357/2018) ed anche sui fondi pensione spagnoli (Cass., sez. 5, 29 gennaio 2020, n. 1967).
In particolare, si è affermato che, in ossequio al principio per cui l’interpretazione del diritto comunitario fornita dalla Corte di giustizia delle comunità Europee è immediatamente applicabile nell’ordinamento interno ed impone al giudice nazionale di disapplicare le disposizioni di tale ordinamento che, sia pure all’esito di una corretta interpretazione, risultino in contrasto o incompatibili con essa, legittimamente la Commissione tributaria regionale ha ritenuto che la decisione resa il 19 novembre 2009 nella causa C-540/2007 dalla Corte di giustizia UE fosse applicabile nel caso di specie benché la questione non fosse stata dedotta dalle parti.
Si tratta, infatti, di qualificazione giuridica della fattispecie sulla base di sentenza che consentiva di addivenire alla decisione della causa in senso favorevole alla contribuente, in quanto la Corte di giustizia UE aveva statuito che la Repubblica italiana aveva violato l’art. 56 del Trattato e l’art. 40 dell’Accordo SEE, avendo mantenuto in vigore un regime fiscale più oneroso per i dividendi distribuiti da società residenti negli altri Stati membri e negli Stati aderenti all’accordo SEE rispetto a quello applicato ai dividendi distribuiti da società residenti.
Ciò in quanto la legislazione italiana esentava dall’imposizione fino al 95% i dividendi distribuiti da società residenti, mentre i dividendi distribuiti a società stabilite in altri Stati membri erano assoggettati a ritenuta alla fonte nella misura del 27%. In forza di tale sentenza, dunque, lo Stato italiano non aveva titolo per assoggettare ad imposta i dividendi percepiti in Gran Bretagna poiché l’imposizione tributaria era avvenuta sulla base di una norma illegittima. Ne conseguiva che l’istanza di rimborso presentata dalla contribuente avrebbe dovuto essere accolta per tale ragione.
4.3.Deve, poi, chiarirsi che la fattispecie in esame non può essere disciplinata dalla direttiva madre-figlia 90/435/CEE, in assenza dei relativi presupposti.
Invero, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27-bis, che ha introdotto in Italia la direttiva madre-figlia, prevede proprio che “Le società che detengono una partecipazione diretta non inferiore al 20% del capitale della società che distribuisce gli utili, hanno diritto, a richiesta, al rimborso della ritenuta di cui all’art. 27, commi 3, 3-bis e 3-ter se: a) rivestono una delle forme previste nell’allegato della direttiva n. 435/90/CEE del consiglio del 23 luglio 1990; b) risiedono, ai fini fiscali, in uno Stato membro dell’Unione Europea; c) sono soggette, nello Stato di residenza, senza fruire di regimi di opzione o di esonero che non siano territorialmente o temporalmente limitati, ad una delle imposte indicate nella presente direttiva; d) la partecipazione sia detenuta ininterrottamente per almeno un anno”. Infatti, i soggetti in possesso dei requisiti richiesti dalla direttiva madre-figlia hanno il diritto di chiedere all’amministrazione il rimborso della ritenuta eventualmente operata dalla società che effettua la distribuzione (art. 27 bis, comma 1), o, in alternativa possono chiedere direttamente alla società figlia la non applicazione della ritenuta alla fonte sugli utili distribuiti (art. 27 bis, comma 3).
4.4. Va ancora, precisato che, in base all’art. 89 Tuir, i dividendi corrisposti a soggetti passivi Ires residenti concorrono alla formazione della base imponibile Ires soltanto per il 5% del loro ammontare. Pertanto, fino al 31 dicembre 2007, il carico fiscale complessivamente gravante sui dividendi percepiti da soggetti Ires residenti era pari all’1,65 % (5 % del 33 %). A partire dal 1 gennaio 2008, in conseguenza della riduzione dell’aliquota ordinaria Ires dal 33 al 27,50%, il carico fiscale complessivamente gravante sui dividendi percepiti da soggetti Ires residenti è pari all’1,375 % (5 % del 27 %; in tal senso anche Circolare della Agenzia delle entrate 26/E del 21 maggio 2009).
4.5. La legge finanziaria 24 dicembre 2007, n. 244 (finanziaria 2008) ha, infatti, modificato il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27, con l’aggiunta del comma 3-ter, dedicato alle società ed agli enti che sono inclusi nella lista di cui al decreto del Ministero dell’Economia e delle finanze emanato ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 168-bis.
4.6. Pertanto, al fine di dare piena ed effettiva applicazione all’interpretazione fornita dalla Corte di giustizia, anche per i dividendi formatisi prima del 1 gennaio 2008 deve essere esclusa l’applicazione della ritenuta di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27, comma 3, dovendosi invece applicare, al pari dei dividendi distribuiti alle società residenti, il regime “ordinario”, che prevede l’assoggettamento a tassazione del solo 5% dell’imponibile. Ne consegue che ai dividendi corrisposti alle società e agli enti residenti nell’Unione Europea e nei paesi aderenti all’Accordo sullo spazio economico Europeo, anche se formatisi prima del 1 gennaio 2008, è applicabile una ritenuta ridotta rispetto a quella prevista dal citato art. 27, comma 3 (in questo senso anche Circolare Agenzia delle entrate 8 luglio 2011, n. 32/E).
Per effetto dell’aliquota di imposta Ires vigente prima del 1 gennaio 2008, pari al 33%, la misura della ritenuta ridotta da applicare ai dividendi erogati prima del 1 gennaio 2008 e pari all’1,65% (ossia pari al 5% del 33%). Le maggiori ritenute operate ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27, comma 3, devono essere rimborsate, anche se applicate sui dividendi formatisi prima del 1 gennaio 2008, purché in presenza di specifici presupposti.
4.7. Quanto alle condizioni soggettive, il campo di applicazione della sentenza della Corte di giustizia va limitato alle sole partecipazioni transfrontaliere non “qualificate” ai sensi della Direttiva madre-figlia 90/435/CE, applicandosi in tal caso il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27-bis.
Se, dunque, i beneficiari UE dei dividendi non possiedono i requisiti di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27-bis, trova applicazione il regime ordinario e la misura della ritenuta ridotta, da applicare in sede di esame delle istanze di rimborso relative ai dividendi erogati prima del 1 gennaio 2008, per effetto dell’aliquota di imposta Ires vigente prima del 1 gennaio 2008, che è pari all’1,65%.
4.8. Quanto alle condizioni oggettive, vanno considerate soltanto le istanze relative a ritenute sui dividendi soggetti al nuovo regime tributario in vigore dal 1 gennaio 2004, ma non per il periodo precedente, avendo la sentenza della Corte di Giustizia 540 del 2009 considerato solo gli effetti discriminatori derivanti dalle regime della “partecipation exemption” per i dividendi distribuiti da società italiane.
Inoltre, per beneficiare della ritenuta ridotta, gli enti e società esteri devono essere soggetto passivo ai fini della locale imposta sul reddito delle società, ma tale condizione va interpretata come “assoggettabilità” di carattere generale ad imposizione, soddisfatta da tutte quelle società “potenzialmente” soggette all’Ires, indipendentemente dalla circostanza che “godono, di fatto, di agevolazioni comunque compatibili con la normativa comunitaria” (in tal senso anche Circolare della Agenzia delle entrate 32/E dell’8 luglio 2011).
Possono, allora, usufruire della ritenuta ridotta tutte le società o enti ai quali è riconosciuta soggettività passiva ai fini delle imposte societari, inclusi quelli che non pagano imposte in virtù di particolari esenzioni oggettive collegate alla tipologia del reddito da loro prodotto, o del luogo in cui è svolta l’attività (in tal senso anche Circolare n. 32/E dell’Agenzia delle entrate. Qualora, invece la società percipiente non fosse assoggettata all’imposta sul reddito nello Stato di residenza, potrebbe ritenersi che la ritenuta in uscita applicata in Italia non abbia costituito un disincentivo ad effettuare investimenti in Italia.
Nella specie è pacifico che i fondi pensione sono assoggettati potenzialmente all’imposta sui redditi in Spagna, pure se con aliquota dello O %.
Per questa Corte, in tema di doppia imposizione internazionale, la nozione di persona fisica residente in uno Stato contraente, utilizzata ai fini della applicazione della minore imposta dalla Convenzione Italia-Svizzera – ratificata e resa esecutiva in Italia con L. n. 943 del 1978 – deve essere intesa nel senso di potenziale assoggettamento della stessa ad imposizione in modo illimitato nello Stato di residenza, indipendentemente dall’effettivo prelievo fiscale subito, essendo lo scopo delle convenzioni bilaterali quello di eliminare la sovrapposizione dei sistemi fiscali nazionali ed agevolare l’attività economica internazionale, come affermato dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza 19 novembre 2009, n. 540 (Cass., 17 aprile 2019, n. 10706).
5. L’art. 10 della Convenzione Italia-Spagna di cui alla L. 29 settembre 1980, n. 663 prevede che “i dividendi pagati da una società residente di uno Stato contraente ad un residente dell’altro Stato contraente sono imponibili in detto altro Stato”, in base al principio della tassazione nel paese del beneficiario (cfr. Modello Ocse art. 10). Al comma 2, però, si prevede, secondo il principio della tassazione nello Stato della fonte, che “tuttavia, tali dividendi possono essere tassati nello Stato contraente di cui la società che paga i dividenti è residente ed in conformità alla legislazione di detto Stato, ma, se la persona che percepisce i dividendi ne è l’effettivo beneficiario, l’imposta così applicata non può eccedere il 15 % dell’ammontare lordo di tali dividendi”.
L’art. 22 della Convenzione (disposizioni per evitare le doppie imposizioni) stabilisce, poi, che “La doppia imposizione sarà eliminata in conformità ai seguenti paragrafi del presente articolo Per quanto concerne la Spagna: se un residente della Spagna possiede elementi di reddito che, in conformità alla Convenzione, sono imponibili in Italia, la Spagna accorda sull’imposta gravante sui redditi di detto residente una deduzione pari all’ammontare dell’imposta pagata in Italia”.
5.1.Una volta chiarito che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27, comma 3, contrasta con i principi del Trattato, in base alla sentenza della Corte di Giustizia Ue 540 del 2009, deve valutarsi se, comunque, la Convenzione bilaterale Italia-Spagna, possa restare immune dalla disapplicazione della norma nazionale.
La Corte di Giustizia, più volte, ha chiarito che il diritto dei Trattati prevale anche sulle convenzioni tra gli Stati. In particolare con la sentenza 14 dicembre 2006 n. 170 la Corte di Giustizia UE (Dankevit), in un caso anteriore alla direttiva madre-figlia 90/435, ha chiarito che “la Repubblica francese non può invocare la Convenzione franco-olandese per sfuggire agli obblighi su di essa incombenti in forza del trattato” (paragrafo 53), affermando che “gli artt. 43 e 48 CE devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale che prevede, solo per le società madri non residenti, un’imposizione mediante ritenuta alla fonte sui dividendi distribuiti dalle consociate residenti, quand’anche una convenzione fiscale tra lo stato membro interessato ed un altro Stato membro che autorizza tale ritenuta alla fonte preveda la possibilità di imputare all’imposta dovuta in tale altro Stato l’onere sostenuto in base a tale normativa nazionale, quando la società madre versa nell’impossibilità, in quest’ultimo Stato, di procedere all’imputazione prevista dalla detta convenzione”. Poiché le società madri olandesi erano dispensate, dal Regno dei Paesi Bassi, dall’imposta sui dividendi di fonte straniera, e quindi di fonte francese, non era accordata nessuna riduzione a titolo di ritenuta alla fonte francese; sicché l’applicazione combinata della convenzione olandese e della legislazione olandese pertinente non permetteva di neutralizzare gli effetti della restrizione alla libertà di stabilimento rilevata (cfr. paragrafi 46 e 47 della sentenza della Corte di Giustizia 170 del 2006).
Gli stessi principi si rinvengono nella sentenza della Corte di Giustizia 8 novembre 2007, n. 379 (Amurta) in un caso in cui non si applicava la direttiva madre-figlia 345/90, in assenza della partecipazione del 25 %. Si è affermato, infatti, che “il regno dei Paesi Bassi non può invocare la CDI (Convenzione sulla doppia imposizione) per sottrarsi agli obblighi ad esso incombenti in forza del trattato”; con la precisazione che “uno Stato membro non può invocare una convenzione volta ad evitare la doppia imposizione al fine di sottrarsi ai propri obblighi” (paragrafo 74), sicché gli Stati membri non possono trasferire il proprio obbligo di rispettare il diritto comunitario ad un altro Stato membro, nemmeno stipulando una convenzione. Pertanto, si è affermato che ” un trattamento fiscale sfavorevole contrario ad una libertà fondamentale non può essere giustificato dall’esistenza di altri vantaggi fiscali, anche supponendo che tali vantaggi esistano” (paragrafo 75).
5.2.Pertanto, correttamente il giudice di appello ha ritenuto che la pronuncia della Corte di Giustizia 540 del 2009 impone la disapplicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27, comma 3, che discriminava le società estere dell’Unione Europea in relazione ai dividenti erogati da società italiane, precisando che “era poi intervenuta la Corte di Giustizia UE – causa C-540/07 – che, con sentenza del 19 novembre 2009, stabiliva che l’applicazione ai soggetti residenti di una ritenuta più favorevole rispetto a quella applicata a soggetti non residenti, violava l’art. 56 del trattato CE, per cui l’Amministrazione finanziaria, adeguandosi all’indirizzo giurisprudenziale comunitario, decideva di applicare anche ai dividendi formatisi prima del 1 gennaio 2008-come nel caso di specie-una ritenuta ridotta rispetto a quella di cui all’art. 27, comma 3, pari all’1,65% equivalente al 5% dell’aliquota Ires del 33% prevista prima del 1 gennaio 2008”.
La disapplicazione è stata correttamente prospettata in relazione alla norma interna di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27, comma 3, e non in relazione alla Convenzione Italia-Spagna, in quanto la Convenzione si innesta proprio sul contenuto sostanziale della norma interna, semplicemente riducendo l’ammontare della aliquota per evitare in qualche misura la doppia imposizione. L’elemento centrale, ai fini della disapplicazione, è però il contrasto della norma interna con i principi espressi dalla sentenza della Corte di giustizia (cfr. motivazione della CTR “peraltro, non osta al riconoscimento del diritto al rimborso la circostanza che la ritenuta sia stata operata non in base all’art. 27 citato, ma in applicazione della Convenzione Italia-Spagna contro le doppie imposizioni, giacché anche in tale ipotesi verrebbe tutelato il principio di non discriminazione in relazione ad un rimborso che non potrebbe essere accordato se la norma convenzionale riconoscesse un credito di imposta in grado di neutralizzare la ritenuta “).
L’art. 10 della Convenzione Italia-Spagna, allora, non introduce una specifica ed autonoma disciplina prevalente su quella statale, ma si innesta proprio sulla disposizione di legge nazionale, per porre un limite massimo all’aliquota della ritenuta alla fonte applicabile in virtù di una norma interna. I presupposti oggettivi e soggettivi di applicazione della ritenuta sui dividendi, però, si rinvengono esclusivamente nella norma interna, di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27, comma 3. La sentenza 340 del 2009 della Corte di Giustizia ha dichiarato l’incompatibilità con il trattato del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27, anche nel caso, quindi, in cui sulle previsioni di tale norma si fossero eventualmente innestate le disposizioni convenzionali tese a temperare l’aliquota della ritenuta alla fonte, ove tale rimedio non fosse stato sufficiente a sanare in concreto la discriminazione.
6. Deve aggiungersi, poi, l’irrilevanza delle questioni sollevate dall’Agenzia delle entrate in relazione alla disciplina sopravvenuta relativa alla tassazione dei fondi di investimento italiani. Invero, già nella circolare dell’Agenzia delle entrate n. 26/E del 21 maggio 2009 si prevedeva che “i soggetti beneficiari delle suddette disposizioni sono(…) tutte le società o enti ai quali è riconosciuta soggettività passiva ai fini delle imposte societari, inclusi quelli che non pagano imposta in virtù di particolari esenzioni oggettive collegate alla tipologia del reddito da loro prodotto (esenzione sui passive income) o del luogo in cui è svolta l’attività”. Pertanto, qualsiasi ente, costituito nell’unione Europea, che sia considerato soggetto passivo ai fini delle imposte sul reddito delle società, ha diritto all’applicazione dell’imposizione italiana sui dividendi con aliquota dell’1,375%, nel caso in esame dell’1,65%, in luogo di quella ordinariamente prevista dalle disposizioni nazionali, che all’epoca era del 27% o convenzionali, nel caso di specie 15%. Non rileva, dunque, la forma giuridica dell’ente, società di capitali o ente di diversa natura, ma solo la residenza fiscale dell’ente in uno Stato membro dell’Unione Europea e l’assoggettamento all’imposta sul reddito delle società in tale Stato. Non è condivisibile, allora, la tesi dell’Agenzia per cui la ritenuta ridotta sui dividendi dovrebbe essere circoscritta alle sole società di capitali.
Non si può allora procedere alla comparazione tra i fondi spagnoli e i fondi comuni di investimento italiani. Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27, che innerva la norma convenzionale tra Italia e Spagna sulla doppia imposizione, trova applicazione non solo alle società estere che ricevono dividendi, ma anche ai fondi spagnoli di investimento che ricevono i medesimi dividenti. L’esenzione dell’utile (al 95 %), evita la doppia imposizione economica, o imposizione a catena, di tale utile nello Stato di residenza della società che lo distribuisce, una prima volta in capo alla società distributrice, assoggettata all’imposta societaria al momento della sua produzione, e una seconda volta in capo al socio che riceve il dividendo al momento della sua distribuzione. Tale obiettivo concerne ogni distribuzione di dividendi, a prescindere dalla relativa “destinazione”, sia verso società residenti o non residenti, con garanzia della piena parità di trattamento. Non vi è luogo ad una discriminazione tra i percettori dei dividendi residenti, in relazione alla loro qualificazione giuridica, a seconda che siano fondi comuni di investimento o società di capitali. Ciò può aver rilievo, al più, per l’eventuale disparità di trattamento “interna” da valutarsi alla luce dei principi costituzionali, ma non ha rilevanza ai fini della osservanza dei principi comunitari, rappresentando il risultato di una libera scelta del legislatore italiano.
7. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio della soccombenza, a carico della Agenzia delle entrate e si liquidano come da dispositivo.
8. Non opera a carico dell’Agenzia ricorrente il raddoppio del contributo unificato (Cass., 890/2017; Cass., 5955/2014).
PQM
Rigetta il ricorso.
Condanna l’Agenzia delle entrate a rimborsare in favore della società le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi Euro 17.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, accessori di legge e rimborso spese generali nella misura forfettaria del 15 %.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 27 giugno 2019.
Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2022