Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.5154 del 16/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1910/2014 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato e presso i cui uffici domicilia in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

F. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, anche disgiuntamente tra loro, dall’Avv. Guglielmo Maisto e dall’Avv. Marco Cerrato, giusta procura speciale in calce al controricorso, elettivamente domiciliata presso il loro studio, in Roma, Piazza d’Aracoeli, n. 1.

– controricorrente-ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte, n. 81/1/2012, depositata il 27 novembre 2012.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 10 febbraio 2022 dal Consigliere Luigi D’Orazio.

RILEVATO

che:

1. Questa Corte, con sentenza depositata il 23 settembre 2004, n. 19180, accoglieva il ricorso per cassazione presentato dalla F. s.p.a. avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte (n. 4/2001, depositata il 14 febbraio 2001), che aveva accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Cuneo (n. 17/3/2000 del 9 marzo 2000), che aveva accolto il ricorso presentato dalla F., per l’anno 1997, contro il silenzio-rifiuto dell’Agenzia delle entrate sulla istanza di rimborso presentata il 22 gennaio 1999, per l’erronea ritenuta alla fonte pari al 5% dei dividendi erogati alla propria controllante totalitaria F. International BV, sia a titolo di distribuzione di utili sia a titolo di maggiorazione di conguaglio, ai sensi della Convenzione tra l’Italia e i Paesi Bassi, art. 10, paragrafo 2, lett. a, sub i, stipulata a L’Aia il 18 maggio 1990, ratificata e resa esecutiva in Italia con la L. 26 luglio 1993, n. 305. In particolare, questa Corte rigettava il ricorso per cassazione della società con riferimento al diritto al rimborso della ritenuta alla fonte operata sui dividendi, in quanto la Dir. madre-figlia, art. 7, n. 2., (n. 90/435/CEE), previsto dalla convenzione sull’importo dei dividendi erogati in favore della società controllante, consentiva l’applicazione della Convenzione, che tassava i dividendi distribuiti alla società Olandese nella misura del 5%. Al contrario, accoglieva il ricorso per cassazione in relazione al diritto al rimborso delle ritenute operate sulla maggiorazione di conguaglio, rinviando la controversia alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, sul presupposto che il diritto al rimborso della ritenuta operata sulla somma corrisposta dalla contribuente a titolo di maggiorazione di conguaglio costituiva ritenuta alla fonte, in contrasto con il divieto di cui alla Dir. n. 90/435/CEE, art. 5, n. 1, e non era ispirato alla finalità di sopprimere o attenuare la doppia imposizione economica dei dividendi. Ne’ poteva trovare applicazione la deroga prevista dalla medesima Dir., art. 7, n. 2.

2. La Commissione tributaria regionale del Piemonte, dopo la pronuncia della Corte di giustizia UE, sez. IV, 24 giugno 2010, n. 338, adita ai sensi del Trattato UE, art. 267, rigettava l’appello dell’Agenzia delle entrate, limitatamente alla maggiorazione da conguaglio, dichiarando il diritto al rimborso dell’imposta operata nella maggiorazione di conguaglio; fermo restando il giudicato sul diniego di rimborso dell’imposta versata sui dividendi.

3. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate.

4. Resiste con controricorso la società, proponendo anche ricorso incidentale e depositando memoria scritta.

5. La società ha provveduto alla rinotificazione del controricorso, contenente il ricorso incidentale, presso l’Avvocatura Generale dello Stato in data 21 dicembre 2021.

CONSIDERATO

che:

1. Anzitutto, si rileva che ritualmente la società controricorrente, ricorrente incidentale, ha provveduto a notificare nuovamente il controricorso presso l’Avvocatura Generale dello Stato, mentre originariamente tale atto processuale era stato notificato all’Agenzia delle entrate, nella sua sede di *****.

Avendo presentato ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate, difesa dall’Avvocatura dello stato, ed ivi elettivamente domiciliata, è chiaro che il controricorso, contenente il ricorso incidentale, doveva lì essere notificato, e non presso la sede della Agenzia delle entrate (Cass., sez. un., 29 ottobre 2007, n. 22641; Cass., sez. un., 14 febbraio 2006, n. 3116).

Trattasi di nullità relativa, che può essere sanata con la rinnovazione della notificazione, come ritenuto da questa Corte con riferimento alla notifica del controricorso, effettuata presso domicilio inesatto, ma pur sempre riferibile alla parte (Cass., sez. 2, 29 gennaio 2004, n. 1666), ed anche con la rinnovazione spontanea della notificazione (Cass., sez. un., 23 febbraio 2021, n. 4845), senza il limite temporale di cui alla pronuncia di questa Corte a sezioni unite, 15 luglio 2016, n. 14594, che riguarda solo la notificazione di atti processuali non andata a buon fine.

2. Con il primo motivo di ricorso principale l’Agenzia delle entrate deduce la “violazione e falsa applicazione dell’art. 267 TFUE; della Dir. n. 90/435/CEE, art. 5, n. 1, e art. 7, n. 2; della Convenzione Italia-Paesi Bassi contro le doppie imposizioni, art. 10, parr. 1, 2, 3, e art. 24, par. 3, ratificata con L. 26 luglio 1993, n. 305; D.P.R. n. 917 del 1986, art. 105, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. Muovendo dalla sentenza della Corte di giustizia del 24 giugno 2010, n. 338, l’Agenzia rileva che la Commissione regionale non ha effettuato l’analisi che le era stata richiesta, ossia se il rimborso della maggiorazione di conguaglio previsto dalla Convenzione costituisse una “rinuncia sistematica” dell’Amministrazione italiana alla parte di gettito costituita dalla maggiorazione di conguaglio in caso di versamento di dividendi da una società italiana ad una società olandese. Al contrario, il giudice del rinvio si sarebbe limitato a dichiarare di non potere che uniformarsi al principio affermato dalla sentenza n. 19180/2004 della Corte di cassazione. Inoltre, evidenziava che il rimborso della maggiorazione di conguaglio, previsto dalla Convenzione, art. 10, paragrafo 3, non rappresentava una rinuncia sistematica del Fisco italiano al gettito, ma rimaneva un meccanismo puramente fiscale e non si trasformava in una distribuzione di dividendi. Era necessario, infatti, per la restituzione della maggiorazione di conguaglio alla società olandese, che questa avesse dimostrato di essere la beneficiaria effettiva dei dividendi erogati dalla società italiana e che avesse detenuto da almeno 12 mesi prima della delibera di distribuzione di dividendi almeno il 50% del capitale della società erogante. Il rimborso della maggiorazione di conguaglio non costituiva una forma di pagamento di ulteriori dividendi, sicché era del tutto estraneo alla sfera di applicazione del “divieto di ritenute alla fonte” di cui alla Dir., art. 5, n. 1. Non si andava così a colpire un rendimento diretto delle azioni della società figlia possedute nella società madre. La Corte di giustizia aveva ritenuto che il rimborso della maggiorazione di conguaglio non era collegato ad una ritenuta alla fonte sui dividendi. La maggiorazione da conguaglio non costituiva un rendimento da titoli, ma rappresentava solo un meccanismo fiscale di tutela del dividendo dalla doppia imposizione economica.

3. Con il secondo motivo di ricorso principale la ricorrente lamenta la “violazione e falsa applicazione dell’art. 267 TFUE; della Dir. n. 90/435/CEE, art. 5, n. 1, e art. 7, n. 2; della Convenzione Italia-Paesi Bassi contro le doppie imposizioni, art. 10, paragrafi 1, 2, 3, e art. 24, par. 3, ratificata con L. 26 luglio 1993, n. 305; del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 105, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. La sentenza sarebbe errata anche sotto il profilo dell’eventuale natura di distribuzione di dividendi da attribuire al rimborso della maggiorazione di conguaglio. Il giudice del rinvio non ha operato le verifiche richieste dalla Corte di giustizia. Se, infatti, si configura il rimborso della maggiorazione di conguaglio come una distribuzione della parte dei dividendi della società figlia che, altrimenti, sarebbero stati assorbiti dal pagamento di tale imposta, la ritenuta convenzionale applicata su tale distribuzione sarebbe conforme al combinato disposto della Dir., art. 5, n. 1, e art. 7, n. 2. La ritenuta, in tal caso, costituirebbe una ritenuta alla fonte ai sensi della Dir. madre-figlia, art. 5, n. 1, ma sarebbe applicata in un contesto normativo (quello della convenzione) atto ad evitare che essa si traduca in una doppia imposizione. L’applicazione della ritenuta sarebbe allora ammessa dalla Dir., art. 7, n. 2, che fa salve le convenzioni bilaterali, che prevedano sistemi di eliminazione della doppia imposizione internazionale. Da un lato, infatti, l’aliquota della ritenuta è di livello particolarmente basso (5%); e dall’altro, anche l’importo della tassazione così sopportata dalla società madre olandese è da questa integralmente deducibile nei confronti della propria amministrazione fiscale, ai sensi della Convenzione, art. 24, paragrafo 3.

3. I motivi, primo e secondo, che vanno congiuntamente esaminati per ragioni di stretta connessione, sono infondati.

3.1. Vanno sinteticamente riportati i fatti di causa; il ***** la società F. s.p.a. erogava in favore della propria controllante totalitaria F. International BV, con sede nei Paesi Bassi l’importo complessivo di Euro 103.014.752,59, di cui Euro 39.037.169,40, a titolo di distribuzioni di utili a titolo di maggiorazione di conguaglio; sia sugli utili distribuiti in favore della società madre che sulla somma corrisposta a titolo di maggiorazione di conguaglio, sempre in favore della società madre, la contribuente operava e versava all’Erario la ritenuta alla fonte pari al 5%, per un importo complessivo di Euro 5.421.829,08, ai sensi della Convenzione tra l’Italia e i Paesi Bassi, art. 10, paragrafo 2, lett. a), sub paragrafo(i), stipulata all’Aia il 18 maggio 1990, ratificata e resa esecutiva in Italia con la L. 26 luglio 1993, n. 305. La società in data 24 giugno 1998, ritenendo di avere diritto all’applicazione del regime di esenzione (dalla ritenuta) previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27-bis, comma 1, ha inoltrato all’Amministratore finanziaria l’istanza volta ad ottenere il rimborso di tale ritenuta, sia sulle somme distribuite a titolo di utili, sia sulle somme corrisposte a titolo di maggiorazione di conguaglio. Il motivo di ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate attiene, ovviamente, esclusivamente all’insussistenza del diritto al rimborso da parte della società con riferimento alle somme distribuite alla società madre a titolo di maggiorazione di conguaglio, in quanto il diritto al rimborso della ritenuta praticata sui dividendi corrisposti alla società madre è stato escluso con sentenza di questa Corte n. 19180/2004.

4. Per comprendere il significato e la portata della “maggiorazione da conguaglio” è necessario menzionare la normativa dell’epoca, in tema di tassazione dei dividendi distribuiti ai soci, prima delle modifiche al TUIR, in vigore dal 1 gennaio 2014.

4.1. Il D.P.R. n. 917 del 1986, Art. 14, in vigore dal 24 marzo 1995 al 19 gennaio 1998 (credito di imposta per gli utili distribuiti da società ed enti), prevede “se alla formazione del reddito complessivo concorrono utili distribuiti in qualsiasi forma e sotto qualsiasi denominazione dalle società o dagli enti indicati all’art. 87, comma 1, lett. a) e b), al contribuente è attribuito un credito di imposta pari a 9/16 dell’ammontare degli utili stessi”.

Pertanto, come si esporrà in seguito, al fine di evitare una doppia tassazione in capo ai soci che ricevevano i dividendi, il legislatore aveva optato per il riconoscimento di un credito d’imposta in favore dei soci beneficiari dei dividendi.

4.2. Il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 105, in vigore dal 1 gennaio 1988 sino al 19 gennaio 1998 (maggiorazione dell’imposta a titolo di conguaglio) dispone che “se la somma distribuita ai soci o partecipanti sull’utile dell’esercizio, diminuita della parte assegnata alle azioni di risparmio al portatore, è superiore al 64% del reddito dichiarato, al lordo delle perdite riportate da precedenti esercizi, l’imposta è aumentata di un importo pari a 9/16 della differenza”. Al comma 2 si prevede, poi, che “se vengono distribuite somme prelevate da riserve o altri fondi formati con utili o proventi non assoggettate all’imposta a decorrere dall’esercizio in corso alla data del 1 dicembre 1983, l’imposta dovuta per l’esercizio nel quale ne è stata deliberata la distribuzione è aumentata di un importo pari a 9/16 del relativo ammontare, diminuito della parte assegnata alle azioni di risparmio al portatore”.

5. Per quanto attiene alla tassazione sui “dividendi”, dunque, in precedenza, la disciplina risultava fondata sul modello dell’imputazione, che prevedeva la tassazione in via definitiva dell’utile, non nel momento della sua “maturazione”, direttamente in capo alla società che lo aveva prodotto, ma solo successivamente, nel momento della sua “distribuzione”, in capo al socio “percipiente”. La tassazione alla società si configurava, dunque, quale mera “anticipazione finanziaria” del definitivo prelievo Irpef che avveniva, invece, in capo ai soci, mediante il riconoscimento di un credito d’imposta di ammontare pari alle imposte anticipate dalla società. Pertanto, il sistema del credito d’imposta rendeva di fatto neutrale la tassazione del reddito in capo alla società nella misura in cui il medesimo veniva distribuito ai soci, prevedendosi il riconoscimento a questi ultimi di una cifra a titolo di credito d’imposta Irpef in misura tale per cui, ove sommato al dividendo distribuito, il valore risultante equivaleva all’utile distribuito dalla società al lordo dell’Irpeg. In tal modo si produceva l’effetto di neutralizzare, sotto il profilo economico, il prelievo gravante sulla società. Per tale ragione, l’Irpeg gravante sulle società era considerata come un tributo non definitivo, ossia come una forma di anticipazione della tassazione di una parte del reddito complessivo della persona fisica (quello derivante dalla partecipazione all’impresa societaria). Tale tassazione diveniva poi un prelievo definitivo solo in sede di Irpef, quindi nel momento in cui il socio, vero titolare della manifestazione reddituale sottoposta prelievo, veniva colpito nel suo reddito complessivo.

Con il D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, però, si è abbandonato il modello dell’imputazione con il conseguente passaggio al modello dell’esclusione, in base al quale gli utili societari vengono tassati solo in capo alla società che li ha prodotti, mentre sono fiscalmente irrilevanti in capo ai soci che li hanno ricevuti, anche se detta rilevanza non è totale, ma solo per il 95% (la percentuale è mutata nel corso degli anni).

La concentrazione della tassazione degli utili societari in capo esclusivamente alla società che li produce ha avuto come diretta conseguenza l’eliminazione del sistema del credito d’imposta (per i soci) sui dividendi distribuiti e l’introduzione per le società di una parziale esenzione per le plusvalenze realizzate relativamente ad azioni o quote di partecipazione in società od enti aventi determinati requisiti (Pex D.P.R. n. 917 del 1986, ex art. 87).

6. L’istituto della maggiorazione da conguaglio, sorto con la L. 25 novembre 1983, n. 349, art. 2, in vigore dal 1 gennaio 1983, è poi confluito nel D.P.R. n. 917 del 1986, art. 105, ed è stato successivamente abrogato a decorrere dal 1998 a seguito del D.Lgs. n. 467 del 1997, (Cass., sez. 5, 28 giugno 2021, n. 18361).

La ratio dell’istituto era quella di disciplinare il rapporto tra le imposte pagate dalla società ed il credito d’imposta spettante ai soci, al fine di evitare o di attenuare la doppia imposizione, per gli stessi, a prescindere quindi dalla circostanza che i soci percettori dei dividendi avessero sede legale in Italia o all’estero.

7. Una volta chiariti i rapporti tra il credito d’imposta spettante ai soci in relazione ai dividendi erogati in loro favore dalla società e la maggiorazione da conguaglio, prevista proprio per contemperare gli interessi della società e dei soci, devono essere esaminate le disposizioni sulla distribuzione dei dividendi e della maggiorazione da conguaglio relative alla Direttiva madre-figlia ed alla Convenzione Italia-Paesi Bassi.

7.1. Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27, commi 1 e 3, all’epoca vigente, prevede: “gli utili in qualsiasi forma e sotto qualsiasi denominazione distribuiti dalle società per azioni…sono soggetti ad una ritenuta a titolo di acconto del 10% dell’imposta sul reddito dovuta dai soci (….) La ritenuta è operata nella misura del 30% e a titolo d’imposta sugli utili corrisposti a soggetti non residenti”.

Tuttavia, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27-bis,comma 1, che comporta il recepimento delle disposizioni della Dir. madre-figlia (n. 90/435/CEE), dispone, nella disciplina all’epoca vigente, che “le società indicate al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 96-bis, comma 2, che detengono una partecipazione diretta non inferiore al 25% del capitale della società che distribuisce gli utili, hanno diritto, a richiesta, al rimborso della ritenuta di cui all’art. 27, comma 3, a condizione che la partecipazione sia detenuta ininterrottamente da almeno un anno”.

7.2. La Dir. madre-figlia (23 luglio 1990, n. 435), art. 5, comma 1, stabilisce che, sempre nella disciplina all’epoca vigente, “gli utili distribuiti da una società figlia alla sua società madre sono esenti dalla ritenuta alla fonte”. Tale norma è pacificamente applicabile ai dividendi, ma resta da esaminare se la medesima disposizione ricomprenda anche le somme da maggiorazione da conguaglio che la società figlia deve versare alla società madre, che sono state oggetto di ritenuta.

7.3. La Dir. madre-figlia, art. 7, comma 2, dispone, poi, che “La presente direttiva lascia impregiudicata l’applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali intese a sopprimere o ad attenuare la doppia imposizione economica dei dividendi, in particolare le disposizioni relative al pagamento di crediti di imposta ai beneficiari dei dividendi”.

Anche in questo caso, si dovrà esaminare se la compatibilità relativa esistente tra la Direttiva madre-figlia e le convenzioni bilaterali tra Stati, con facoltà di deroga da parte delle seconde, possa trovare applicazione nell’ambito delle somme elargite a titolo di maggiorazione da conguaglio.

8. La Convenzione Italia-Paesi Bassi, di cui alla L. 26 luglio 1993, n. 305, si occupa di evitare la doppia imposizione dei dividendi. Si prevede, dunque, a tale Convenzione, art. 10, che i dividendi pagati da una società residente di uno degli Stati ad un residente dell’altro Stato sono imponibili in detto altro Stato; sicché i dividendi erogati dalla F. s.p.a. alla controllante F. International sono imponibili nei Paesi Bassi.

All’art. 10, comma 2, però, si chiarisce che “tuttavia, tali dividendi sono imponibili anche nello Stato di cui la società che paga i dividendi è residente (in Italia), ed in conformità della legislazione di detto Stato, ma, se la persona che riceve dividendi ne è l’effettivo beneficiario, l’imposta così applicata non può eccedere: a) il 5% dell’ammontare lordo dei dividendi se il beneficiario effettivo è una società che ha detenuto oltre il 50% delle azioni con diritto di voto della società che paga i dividendi durante un periodo di 12 mesi precedenti la data della delibera di distribuzione dei dividendi…”.

La decisione di questa Corte, n. 19180/2004, che ha ormai definito la questione relativa alla ritenuta sui dividendi, con il passaggio in giudicato della decisione, comporta l’irrilevanza della norma sopra richiamata.

Diventa essenziale, invece, la L. n. 305 del 1993, art. 10, comma 3, (Convenzione Italia-Paesi Bassi) il quale prevede che “una persona residente dei Paesi Bassi che riceve dividendi distribuiti da una società residente dell’Italia ha diritto al rimborso dell’ammontare corrispondente alla maggiorazione di conguaglio afferente tali dividendi, se dovuta da detta società, previa deduzione dell’imposta prevista paragrafo 2. Il rimborso deve essere richiesto, nei termini stabiliti dalla legislazione italiana, per il tramite della stessa società che in questo caso agisce a suo nome e per conto di detto residente dei Paesi Bassi”. Si prevede anche che “la società distributrice può pagare l’ammontare suddetto a un residente dei Paesi Bassi al momento del pagamento dei dividendi a lui spettanti e detrarre, nella prima dichiarazione dei redditi successiva a detto pagamento, lo stesso ammontare dall’imposta da essa dovuta”. E proprio l’ipotesi che si è verificata nella specie, in quanto la società distributrice F. s.p.a., società figlia, ha pagato l’intero ammontare delle somme da maggiorazione di conguaglio in favore della F. International (Euro 39.037.169,40), con sede nei Paesi Bassi, operando poi la ritenuta del 5% e versando la somma all’Erario italiano, e chiedendo, quindi, il rimborso della ritenuta.

La Convenzione Italia-Paesi Bassi, art. 24, comma 3, stabilisce, poi, che “i Paesi Bassi accorderanno una deduzione dall’imposta olandese così calcolata sugli elementi di reddito imponibili in Italia ai sensi della presente convenzione, art. 10, paragrafo 2, art. 11, paragrafo 2, art. 12, paragrafo 2, e art. 17, nella misura in cui tali elementi siano compresi nella base prevista paragrafo 1”.

9. Una volta enucleate le disposizioni normative che dovranno essere applicate, si rende necessario valutare l’impatto sulla controversia in questione, non solo della sentenza della Corte di cassazione n. 19180 del 2004, che ha accolto in parte il ricorso proposto dalla F. s.p.a., ma anche della pronuncia della Corte di giustizia sulla medesima controversia depositata il 24 giugno 2010, n. 338.

9.1. La prima questione dirimente attiene alla natura giuridica delle somme da maggiorazione da conguaglio erogate dalla società figlia F. s.p.a. in favore della società madre F. International, con sede nei Paesi Bassi; è fondamentale valutare se le somme erogate a titolo di maggiorazione da conguaglio possano essere identificate negli “utili distribuiti da una società figlia alla sua società madre”, per i quali ultimi la Dir. madre-figlia (23 luglio 1990, n. 435), art. 5, prevede l’esenzione dal ritenuta alla fonte, invece praticata dallo Stato italiano.

10. Sul punto la Cassazione ha ritenuto che le somme erogate a titolo di maggiorazione da conguaglio abbiano una peculiare natura che le porta alla esenzione dalla ritenuta alla fonte. La Corte, con riferimento specifico all’Irpeg di conguaglio (maggiorazione di conguaglio), prevista dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 105, (vecchio Tuir), qualifica tale maggiorazione come “imposta aggiuntiva”, applicata in occasione della distribuzione dei dividendi per “allineare” il credito di imposta, riconosciuto al socio, all’onere fiscale effettivamente sostenuto dalla società partecipata, il cui reddito poteva inglobare componenti esenti o soggetti ad un prelievo agevolato. Tale meccanismo impediva che i soci godessero di un credito per imposte che la società, in realtà, non aveva pagato. Il credito d’imposta per gli utili distribuiti dalle società, ai sensi dell’art. 14 Tuir, all’epoca vigente, riconosciuto ai percettori dei dividendi per evitare che questi subissero una doppia imposizione, prima sulla quota degli utili della società partecipata e poi a seguito delle imputazione dei dividendi nella formazione del reddito complessivo, in mancanza di correttivi, poteva generare un effetto erosivo o elusivo; proprio nelle ipotesi in cui la società partecipata avesse goduto di esenzioni o agevolazioni fiscali, in quanto l’ammontare del credito era calcolato, in percentuale, sull’ammontare degli utili della società partecipata, e non sull’imposta pagata.

Il cuore della motivazione di questa Corte si rinviene nella affermazione per cui la società partecipata si accollava un’imposta “virtuale” per una finalità che non era però quella di evitare la doppia imposizione economica (alla quale restava soltanto geneticamente connessa, in quanto intesa ad eliminare una disfunzione del meccanismo del credito d’imposta), ma quella di evitare fenomeni di erosione o elusione fiscale. Pertanto, le norme, interne o convenzionali, sulla maggiorazione di conguaglio non potevano considerarsi rientranti tra quelle la cui applicazione restava “impregiudicata” dalla Direttiva madre figlia, in base alla stessa, art. 7, comma 2. In tale materia il primato della normativa comunitaria assumeva tutta la sua prevalenza rispetto alle disposizioni interne o convenzionali, senza alcuna forma di “affievolimento” derivante dalla clausola di riserva di cui alla Dir. madre-figlia, art. 7, n. 2. Nella specie, la ritenuta era stata operata in applicazione di norme che non erano “intese a sopprimere o ad attenuare la doppia imposizione economica dei dividendi”, ai sensi della Dir. madre-figlia, art. 7, comma 2, ma solo ad evitare l’utilizzo di crediti di imposta maggiori di quelli realmente spettanti. Il prelievo del 5%, operato dalla società figlia all’atto del rimborso della somma corrispondente alla maggiorazione di conguaglio, era in contrasto con il divieto di cui alla Dir. madre-figlia, art. 5, comma 1. Si ribadiva che l’imposta di conguaglio non aveva la funzione di evitare la doppia imposizione economica, ma di “allineare” il credito virtuale a quello reale; pertanto, questa Corte ha accolto il ricorso della società nella parte in cui ha censurato la sentenza impugnata per avere disconosciuto il diritto al rimborso delle ritenute operate sulla somma corrisposta a titolo di rimborso della maggiorazione di conguaglio in quanto il prelievo del 5%, effettuato ai sensi della Convenzione Italia-Paesi Bassi, dell’art. 10, dei paragrafi 3 e 2, lett. a), sub i, contro le doppie imposizioni, costituiva ritenuta alla fonte ai sensi della Dir. madre-figlia, art. 5, e non appariva ispirato alla finalità di sopprimere o attenuare la doppia imposizione economica i dividendi. La ritenuta del 5% operata sulla somma rimborsata commisurata alla maggiorazione di conguaglio, ai sensi della Convenzione, art. 10, comma 4, è in contrasto con il divieto di ritenute alla fonte sancito dalla Dir., art. 5, art. 1; né poteva trovare applicazione la deroga prevista dalla medesima Dir., art. 7, art. 2.

11. La Corte di giustizia, nella sentenza del 24 giugno 2010, n. 338 ha, dapprima, indicato le verifiche in di merito che il giudice italiano avrebbe dovuto effettuare per stabilire se le maggiorazioni da conguaglio fossero identificabili nei dividendi, con conseguente esenzione dalla ritenuta ai sensi della Dir. madre-figlia (23 luglio 1990, n. 435), art. 5, comma 1. Nella seconda parte della sentenza la Corte UE, ha disposto l’ulteriore verifica, nel caso in cui le maggiorazioni da conguaglio fossero effettivamente identificabili nei dividendi, in ordine alla possibile deroga da parte della normativa convenzionale (Convenzione Italia-Paesi Basi) rispetto alla Direttiva madre-figlia, che prevede l’esenzione dalla ritenuta e, quindi, sulla operatività della clausola di salvezza di cui alla Dir. madre-figlia, art. 7, comma 2, (“la presente direttiva lascia impregiudicata l’applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali intese a sopprimere o ad attenuare la doppia imposizione economica dei dividendi, in particolare delle disposizioni relative al pagamento di crediti di imposta ai beneficiari dei dividendi”).

11.1. La Corte di giustizia (n. 338/2010 cit.) muove, al paragrafo 23 della motivazione, dal terzo considerando della Direttiva madre-figlia, il quale prevede che “le attuali disposizioni fiscali che disciplinano le relazioni tra società madri e società figlia di Stati membri diversi variano sensibilmente da uno Stato membro all’altro e sono, in generale, meno favorevoli di quelle applicabili alle relazioni tra società madri e società figlia di uno stesso Stato membro” con la precisazione che “la cooperazione tra società di Stati membri diversi viene perciò penalizzata rispetto alla cooperazione tra società di uno stesso Stato membro”; sicché occorre eliminare questa penalizzazione instaurando un regime comune e facilitare in tal modo il raggruppamento di società a livello comunitario. La Direttiva mira ad eliminare, instaurando un regime fiscale comune, qualsiasi penalizzazione della cooperazione, facilitando così il raggruppamento di società su scala comunitaria. Proprio a tal fine è prevista l’esenzione dalla ritenuta alla fonte nello Stato della controllata al momento della distribuzione degli utili alla sua società controllante, quando quest’ultima detiene una partecipazione minima del 25% nel capitale della società controllata (analogamente paragrafo 45 della sentenza 25 settembre 2003, n. 58, Oce’ van der Grinten).

La Corte di giustizia citata (n. 338/2010) precisa ancora che costituisce ritenuta alla fonte sugli utili distribuiti, ai sensi della Dir. madre-figlia, art. 5, n. 1, ogni imposta sui redditi percepiti nello Stato in cui i dividendi sono distribuiti, il cui “fatto generatore” è il versamento di dividendi o di altro rendimento dei titoli, quando la “base imponibile” di tale imposta è il “rendimento” dei detti titoli e il “soggetto passivo” è il detentore dei medesimi titoli (le medesime indicazioni si rinvengono nella motivazione della sentenza della Corte di giustizia 25 settembre 2003, n. 58, Oce’ Van der Grinten, paragrafo 47, nonché della sentenza 26 giugno 2008, n. 284, Burda, al paragrafo 52). Pertanto, osserva la Corte di giustizia, al paragrafo 27, che “per verificare se la seconda condizione posta dalla giurisprudenza, ossia quella relativa alla base imponibile di cui trattasi, sia soddisfatta, occorre chiedersi se la base imponibile nelle cause principali, ossia il rimborso della maggiorazione di conguaglio che ha dato luogo all’applicazione del tasso del 5%, possa essere considerata una distribuzione di utili “, con la precisazione che la circostanza che la Convenzione bilaterale Italia-Paesi Bassi qualifica espressamente, nell’art. 10, n. 5, come “dividendi” il rimborso della maggiorazione di conguaglio “non può avere influenza determinante per la qualificazione da attribuirgli nel diritto dell’unione “. La Corte di giustizia, dunque, si sofferma sulla “qualificazione della maggiorazione di conguaglio” (paragrafo 28). Nel paragrafo 29 la Corte di giustizia esamina la ragione della introduzione in Italia della maggiorazione da conguaglio, giungendo alla conclusione che la stessa è stata istituita per evitare che la società beneficiaria di una distribuzione di dividendi ottenga, al momento del versamento dei dividendi, un credito di imposta per un’imposta che, per qualunque ragione, non sia stata pagata dalla società distributrice. Attraverso tale “meccanismo” si procede alla tassazione degli utili della società distributrice che non sono stati in precedenza tassati, o che lo sono stati solo in misura ridotta, in capo alla società distributrice. Trattasi, allora, di un’imposta complementare posta a carico della società distributrice. La Corte di giustizia ha anche osservato che tale imposta complementare (maggiorazione da conguaglio) “trova applicazione indifferentemente, a prescindere dal fatto che i dividendi siano versati a società residenti o a società non residenti, come una società olandese, che non godono del credito di imposta istituito dalla normativa italiana” (paragrafo 32). Tale affermazione è di particolare importanza, sia perché precisa che la maggiorazione da conguaglio si applica alle società che beneficiano della distribuzione dei dividendi, a prescindere che siano residenti o meno in Italia e ciò ha particolare importanza con riferimento alla normativa sulla doppia imposizione, che invece si riferisce proprio al tentativo di eliminare distonie tra società residenti e società non residenti, sia perché chiarisce che la F. International non godeva del credito d’imposta previsto dalla normativa italiana.

La Corte di giustizia, poi, muove dalla premessa che, in realtà, le maggiorazioni da conguaglio, considerate in astratto, non possono essere parificate ai dividendi sui quali non può essere applicata la ritenuta ai sensi della Dir. madre-figlia, art. 5, n. 1;

successivamente, però, demanda al giudice di merito di effettuare verifiche in concreto per valutare se, ciononostante, possa trattarsi di una posta contabile parificabile ai dividendi.

11.2. Pertanto, inizialmente, al paragrafo 34, in modo tranciante la Corte di giustizia afferma che “la maggiorazione di conguaglio stessa non può essere considerata una ritenuta alla fonte vietata dalla Dir., art. 5, n. 1, poiché il suo soggetto passivo non è il titolare dei titoli, bensì la società distributrice”.

Allo stesso modo, nel paragrafo 35, chiarisce che “si deve pertanto-fatte salve le verifiche che il giudice del rinvio deve effettuare al riguardo – muovere dalla premessa che la maggiorazione di conguaglio sia un complemento di imposta sugli utili delle società poste a carico della società distributrice, al quale la direttiva non si oppone”.

Prosegue, nel paragrafo 36, nel senso che “ne consegue che il rimborso dell’importo di tale maggiorazione al quale hanno diritto delle società olandesi in forza della Convenzione bilaterale, art. 10, n. 3, deve essere considerato come trasferimento di una parte di un’entrata tributaria che risulta dalla rinuncia, da parte dello Stato italiano, alla sua riscossione definitiva allo scopo, convenuto dei due Stati parti della convenzione, di limitare la doppia imposizione economica dei dividendi versati ad una società olandese dalla sua controllata italiana”.

Si esamina anche la portata della Convenzione, art. 10, n. 3, laddove prevede che qualora detto trasferimento finanziario sia realizzato direttamente dalla società distributrice, quest’ultima possa detrarre successivamente tale importo dall’imposta dovuta all’amministrazione fiscale italiana.

11.3. Nel paragrafo 38 la Corte di giustizia torna, poi, sulla verifica che dovrà effettuare in concreto il giudice di merito per stabilire se le somme erogate a titolo di maggiorazione da conguaglio possano essere parificate ai dividendi, ed in tal caso con il divieto di ritenuta alla fonte. Pertanto, si prevede che “e’ compito tuttavia del giudice del rinvio valutare i diversi elementi e verificare, in particolare, se l’amministrazione fiscale italiana non rinunci sistematicamente, in pratica, alla parte di gettito fiscale costituita da una maggiorazione di conguaglio in caso di versamento di dividendi da una società italiana ad una società olandese, segnatamente nell’ipotesi in cui la maggiorazione di conguaglio non sia riscossa da detta amministrazione, ma le somme corrispondenti a tale maggiorazione siano trasferite direttamente dalla società italiana alla società olandese. Se una rinuncia di questo tipo dovesse essere constatata, detto trasferimento, allorché realizzato, potrebbe essere infatti considerato una distribuzione di utili”.

Nel paragrafo 39 si individuano le verifiche che dovranno essere effettuate dal giudice di merito per valutare se le maggiorazioni da conguaglio siano assimilabili dividendi, con divieto di ritenuta alla fonte; sicché si chiarisce che “in tale ipotesi, si dovrebbe perciò considerare che sia soddisfatta la condizione attinente alla base imponibile, menzionata al punto 26 della presente sentenza ed esaminata a proposito della qualificazione di una ritenuta alla fonte sugli utili distribuiti ai sensi della Dir., art. 5, n. 1. Laddove siano soddisfatte, con riferimento ad una ritenuta fiscale come quella di cui trattasi nelle cause principali, anche le altre 2 condizioni – anch’esse ricordate a tale punto – necessarie per qualificare come ritenuta alla fonte una tassazione, attinenti, rispettivamente al fatto generatore dell’imposta esaminata e alla determinazione del soggetto passivo, si dovrebbe concludere che una ritenuta fiscale del genere costituisce una ritenuta alla fonte sugli utili ai sensi della direttiva, art. 5, n. 1”.

Tre, dunque, erano le verifiche da effettuarsi: se la rinuncia al gettito da parte dell’Amministrazione fiscale italiana sulle maggiorazioni da conguaglio fosse sistematica; se il fatto generatore dell’imposta era costituito dal versamento di dividendi o di ogni altro rendimento dei titoli; se il soggetto passivo della ritenuta era il detentore dei medesimi titoli, quindi la società madre percipiente.

11.4. Pertanto, la Corte di giustizia conclude nel senso che la prima questione ossia quella relativa alla qualificazione delle maggiorazioni da conguaglio quali dividendi o meno, va risolta dichiarando che “con riserva, in particolare, della verifica, ad opera del giudice del rinvio nei termini esplicitamente indicate al punto 38 della presente sentenza – circa la natura del rimborso della maggiorazione dell’imposta a titolo di conguaglio di cui trattasi nelle cause principali, effettuato da una società italiana nei confronti di una società olandese, in forza della Convenzione bilaterale, art. 10, n. 3, si deve considerare che, nei limiti in cui si applica ha detto rimborso, una ritenuta fiscale come quella di cui trattasi nelle cause principali non costituisce una ritenuta alla fonte sugli utili distribuiti, vietata in linea di principio della Dir., art. 5, n. 1”.

12. Tale verifica affidata al giudice di merito può ritenersi effettuata dalla Commissione regionale del Piemonte in sede di rinvio.

13. Anzitutto, si rileva che il giudizio di rinvio, pur essendo un giudizio “chiuso” deve però tenere conto di tutte le ipotesi in cui la norma da applicare in aderenza al principio di diritto pronunciato dalla Suprema Corte sia stata abrogata, modificata o sostituita per effetto di ius superveniens nell’ambito del quale rientrano sia i mutamenti normativi prodotti dalle sentenze della corte di giustizia dell’Unione Europea (Cass., sez. L., 12 settembre 2014, n. 19301; Cass., sez. 5, 9 ottobre 2019, n. 25278), che hanno efficacia immediata nell’ordinamento nazionale, sia l’emanazione di una norma di interpretazione autentica e la dichiarazione di illegittimità costituzionale (Cass., n. 2012/13873; Cass. n. 2007/12095). La sentenza della Corte di giustizia 24 giugno 2010, n. 388, essendo pervenuta dopo la sentenza della Corte di cassazione n. 19180/2004, ha efficacia immediata nell’ordinamento nazionale, sempre che non siano necessari nuovi accertamenti in fatto (Cass., sez. 1, 10 dicembre 2015, n. 24952), nonché efficacia retroattiva, salvo il limite dei rapporti ormai esauriti (Cass., sez. VI, 8 febbraio 2016, n. 2468; Cass., sez. un., 16 giugno 2014, n. 13676).

14. Il giudice del rinvio ha fatto espresso riferimento alla sentenza della Corte di giustizia, la quale poneva due questioni pregiudiziali: 1) se la ritenuta applicabile sulla maggiorazione di conguaglio costituisse una ritenuta alla fonte sugli utili vietata dalla Dir. madre-figlia, art. 5, n. 1; 2) subordinatamente, nel caso di risposta affermativa del primo quesito, se trovava applicazione la clausola di salvaguardia di cui alla citata Dir., art. 7, punto 2. Inoltre, in motivazione il giudice del rinvio ribadisce che “per quanto riguarda l’oggetto di questa vertenza in sede di rinvio in seguito alla pronuncia della Corte di cassazione n. 19180/2004 relativa al rimborso delle ritenute sul rimborso delle maggiorazioni di conguaglio la Corte di giustizia ha rimesso al giudice nazionale la verifica di diversi elementi relativi alla natura delle maggiorazioni di conguaglio”.

Il giudice del rinvio manifesta in modo espresso di avere proceduto a tale verifica (“effettuata la verifica”); con l’aggiunta che “questo giudice di rinvio non può che uniformarsi al principio di diritto affermato dalla Suprema Corte che condivide nella più volte richiamata sentenza n. 19180/2004 secondo il quale la ritenuta del 5% operata sulla somma commisurata alla maggiorazione di conguaglio è in contrasto con il divieto di ritenuta alla fonte sancito dalla Dir., art. 5, n. 1, né può trarre applicazione la deroga prevista dalla medesima Dir., art. 7, n. 2”.

Deve rilevarsi che l’Agenzia delle entrate non ha incentrato la sua doglianza sul vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come declinato a seguito del D.L. n. 83 2012, per le sentenze pubblicate a decorrere dall’11 settembre 2012, né ha dedotto l’apparenza della motivazione o l’inesistenza della stessa, ma si è limitata a dedurre la violazione di legge.

Pertanto, la motivazione della Commissione regionale, in sede di rinvio, sebbene lapidaria (“effettuata la verifica”) dimostra che il giudice del rinvio si è confrontato con la sentenza della Corte di giustizia che si era pronunciata sul caso specifico.

Inoltre, sussistono i tre elementi che la Corte di giustizia aveva posto a base della ricostruzione della maggiorazione da conguaglio come distribuzione di ulteriori dividendi. Infatti, la rinuncia sistematica, in concreto, alla tassazione della maggiorazione da conguaglio, deriva cristallina dal contenuto della Convenzione Italia-Paesi Bassi, art. 10, di cui alla L. 26 luglio 1993, n. 305, laddove si chiarisce che le società madri, residenti nei Paesi Bassi, che usufruiscono della distribuzione di dividendi da parte di società figlie con sede in Italia, hanno diritto sempre al rimborso della maggiorazione di conguaglio (” una persona residente dei Paesi Bassi che riceve dividendi distribuiti da una società residente dell’Italia ha diritto al rimborso dell’ammontare corrispondente alla maggiorazione di conguaglio afferente tale dividendi, se dovuta da detta società, previa deduzione dell’imposta prevista paragrafo 2"). Si aggiunge che “il rimborso deve essere richiesto nei termini stabiliti dalla legislazione italiana, per il tramite della stessa società che in questo caso agisce a suo nome e per conto di detto residente nei Paesi Bassi”.

Ne’ si può ritenere che la rinuncia al pagamento della ritenuta da maggiorazione da conguaglio sia limitata dalla Convenzione Italia Paesi Bassi. Infatti, i requisiti che danno diritto al rimborso della ritenuta da maggiorazione da conguaglio sono esclusivamente quello della qualità di “beneficiario effettivo” dei dividendi alla data della delibera di distribuzione dei dividendi stessi e la detenzione delle azioni durante un periodo di 12 mesi precedenti a detta data. Una volta constatata la sussistenza dei due presupposti, che nella specie non sono stati mai contestati, vi è effettivamente una rinuncia diffusa e generalizzata da parte dello Stato all’incasso della ritenuta alla fonte sulle maggiorazioni da conguaglio.

Sussiste anche il secondo dei requisiti costituito dalla circostanza che il “fatto generatore” della maggiorazione di conguaglio è proprio il “versamento di dividendi o di ogni altro rendimento dei titoli”, in quanto l’importo della maggiorazione da conguaglio è determinato in una percentuale dei dividendi distribuiti.

Sussiste anche il terzo requisito, in quanto il soggetto passivo della maggiorazione da conguaglio è proprio il detentore dei medesimi titoli, quindi la società F. International, con sede nei Paesi Bassi.

Va anche rilevato che è pacifico che la società F. International non abbia diritto al credito d’imposta nei Paesi Bassi. Sicché non poteva essersi verificata una doppia “non imposizione”, ossia esenzione da ritenuta alla fonte in Italia (ovvero il rimborso della ritenuta alla fonte operata) ed un credito di imposta in *****.

Inoltre la stessa Agenzia delle entrate, nell’atto di costituzione in giudizio dinanzi alla commissione tributaria provinciale, ha ammesso la natura di dividendi anche per le somme erogate a titolo di maggiorazione da conguaglio (cfr. pagina 18 del ricorso per cassazione “in ordine al meccanismo di funzionamento della maggiorazione di conguaglio e delle modalità di restituzione alla società percettrice degli importi corrispondenti alla restituzione della maggiorazione di conguaglio applicata su di essi, è evidente che la somma rimborsata a tal ultimo titolo altro non è che la parte di dividendi che sarebbe stata sin da subito erogata ove non se ne fosse dovuto del conto in sede di determinazione della maggiorazione di conguaglio. Entrambi gli importi su cui è stata calcolata ritenuta-tanto i dividendi che il rimborso della parte corrispondente alla maggiorazione di conguaglio-hanno quindi natura di dividendi”).

14.1. Inoltre i riferimenti dell’Agenzia delle entrate ricorrente alla sentenza della Corte di giustizia del 25 settembre 2003 (Oce’ van der Grinten) attengono ad una questione diversa, in cui la ritenuta del 5% era riferita ai dividendi distribuiti alla società madre e alle somme aggiuntive pagate a quest’ultima a titolo di credito d’imposta; il credito di imposta, infatti, è uno strumento fiscale destinato proprio ad evitare gli effetti, in termini economici, di una doppia imposizione degli utili distribuiti sotto forma di dividendi.

15. Una volta valutato che la maggiorazione da conguaglio, nel caso concreto, dopo attenta verifica da parte del giudice di merito, può essere equiparata alla distribuzione di dividendi, con conseguente esenzione dalla ritenuta alla fonte, ai sensi della Dir. madre-figlia, art. 5, n. 1, deve essere affrontata l’ulteriore questione sull’applicabilità o meno della clausola di compatibilità di cui alla Dir. madre-figlia, art. 7, comma 2. Occorre cioè stabilire se il divieto di ritenuta alla fonte di cui alla Dir. madre-figlia, art. 5, n. 1, possa essere superato da una diversa disposizione interna o derivante da convenzione tra Stati, nel caso di specie tra Italia e i Paesi Bassi, ai sensi della Dir. n. 435 del 1990, madre-figlia, art. 7, comma 2.

La Corte di giustizia, nel paragrafo 43, afferma che occorre valutare, nell’ipotesi in cui si rinvengono una ritenuta fiscale tale da costituire una ritenuta alla fonte sugli utili distribuiti ai sensi della Dir., art. 5, n. 1, se essa “possa comunque rientrare nell’ambito di applicazione della medesima Dir., art. 7, n. 2”. Nel paragrafo 45 la Corte di giustizia scolpisce il principio per cui “costituendo una deroga al principio generale di divieto di ritenute alla fonte sugli utili distribuiti dettata dalla Dir., art. 5, n. 2, la medesima Dir., art. 7, n. 2, va interpretato restrittivamente”. Al paragrafo 46 si chiarisce che “pur se la convenzione bilaterale persegue lo scopo…di evitare le doppie imposizioni in materia di imposta sul reddito e sul patrimonio, la ritenuta fiscale di cui trattasi nelle cause principali potrebbe essere considerata rientrante nell’ambito di applicazione della Dir., art. 7, n. 2, solo qualora, da un lato, la convenzione bilaterale prevedesse disposizioni dirette ad eliminare o ad attenuare la doppia imposizione economica dei dividendi e, d’altro lato, l’applicazione di tale ritenuta non potesse annullarne gli effetti…. circostanza che competerebbe al giudice del rinvio valutare”.

Su questo, il giudice del rinvio fornisce la sua motivazione, anch’essa lapidaria, laddove afferma, dopo aver ritenuto che la ritenuta del 5% operata sulla somma commisurata alla maggiorazione di conguaglio era in contrasto con il divieto di ritenuta alla fonte di cui alla Dir., art. 5, comma 1, che “né può trarre applicazione la deroga prevista dalla medesima Dir., art. 7, n. 2”. In tal caso vi è un rimando espresso alla pronuncia della Corte di cassazione n. 19180 del 2004.

Entrambi i presupposti di cui al paragrafo 47 della motivazione della sentenza della Corte di giustizia 24 giugno 2010, n. 338, non sussistono. Invero, la Convenzione bilaterale Italia-Paesi Bassi quando tratta nell’art. 10, della “maggiorazione da conguaglio” non mira ad eliminare o attenuare la doppia imposizione, ma si riferisce, invece, all’ipotesi di bilanciamento del rapporto tra società e soci in tema di distribuzione di dividendi. La stessa Corte di cassazione, nella sentenza n. 19180 del 2004 ha precisato che la società partecipata (la società figlie italiana), si accollava una imposta “virtuale” per una finalità che non era quella di evitare la doppia imposizione economica, alla quale restava soltanto geneticamente connessa, in quanto intesa ad eliminare una disfunzione del meccanismo del credito d’imposta, ma quella di evitare fenomeni di erosione o elusione fiscale; con la conseguenza che le norme, interne o convenzionali, sulla maggiorazione di conguaglio non potevano considerarsi rientranti tra quelle la cui applicazione restava “impregiudicata” dalla Dir. n. 90/435/CEE, ai sensi della stessa, art. 7, n. 2. Ne emerge il primato della normativa comunitaria in tutta la sua prevalenza rispetto alle disposizioni interne o convenzionali, senza alcuna forma di “affievolimento” derivante dalla clausola di riserva, Dir., ex art. 7, n. 2. La Corte di cassazione ha precisato anche che la ritenuta “e’ stata operata in applicazione di norme che non sono intesi a sopprimere o ad attenuare la doppia imposizione economica dei dividendi” (Dir., art. 7, n. 2).

16. Con l’unico motivo di ricorso incidentale la società deduce la “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27-bis, e della Dir., art. 5, e art. 7, paragrafo 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3". La sentenza del giudice del rinvio ha errato nel mancato riconoscimento del diritto della società al rimborso della ritenuta alla fonte operata sui dividendi erogati dalla società alla propria controllante F. International.

17. Con il secondo motivo di ricorso incidentale la società chiede il rinvio pregiudiziale dinanzi alla Corte di giustizia, ai sensi del Trattato UE, art. 234, (quesito 1" se violi la Dir. del consiglio 23 luglio 1990, n. 90/435/CEE, art. 5, n. 1, l’applicazione di una ritenuta alla fonte sugli utili distribuiti da parte della società figlia residente in Italia in favore della propria madre residente nei Paesi Bassi laddove risulti che la società madre residente nei Paesi Bassi non benefici in tale stato di un credito d’imposta con riferimento alla ritenuta alla fonte assolta in Italia”; quesito 2 “se violi il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, art. 18, l’applicazione di una ritenuta alla fonte sugli utili distribuiti da parte di una società residente in Italia in favore della propria madre residente nei Paesi Bassi laddove risulti per contro che tale ritenuta non sarebbe stata applicabile laddove gli utili fossero stati corrisposti in favore di società madri residenti in Germania e in Francia”).

18. Il ricorso incidentale è infondato, mentre sono irrilevanti i quesiti formulati dalla società ai fini del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia.

18.1. Infatti, la questione relativa alla imposizione della ritenuta alla fonte sui dividendi distribuiti dalla società F. s.p.a., con sede in Italia, in favore della società F. International, con sede nei Paesi Bassi, è coperta da giudicato, dopo la sentenza della Corte di cassazione n. 19180 del 2004. Ciò si ricava non solo dal dispositivo della Corte di cassazione che accoglie il ricorso dell’Agenzia delle entrate “per quanto di ragione”, ma soprattutto dalla motivazione della sentenza della Corte di cassazione laddove afferma che “la sentenza impugnata va confermata nella parte in cui ha respinto l’istanza di rimborso della società ricorrente sul presupposto, coerente con la giurisprudenza della C.G.E., della compatibilità con la normativa comunitaria del prelievo del 5% operato sui dividendi, ai sensi della Convenzione tra Italia e Paesi Bassi, art. 10, paragrafo 10, lett. a), i)”. Nel paragrafo 2.6. della sentenza della Corte di cassazione richiamata si evidenzia che “il problema è stato già affrontato e risolto dalla stessa corte, con specifico riferimento alla ritenuta sui dividendi erogati dalla società figlia alla società madre, residente in altro Stato dell’UE. Recentemente, infatti, con sentenza 25 settembre 2003, pronunciata nella causa C-58/01, in fattispecie analoga a quella in esame, la corte ha affermato che la Dir. n. 90/435/CEE, art. 7, n. 2, va interpretato nel senso che consente un’imposizione come il prelievo del 5% previsto dalla convenzione sulla doppia imposizione, anche se tale prelievo, in quanto si applica ai dividendi versati dalla società controllata alla sua società capogruppo, costituisce una ritenuta alla fonte ai sensi della medesima Dir., art. 5, n. 1”.

Del resto, che sulla questione relativa alla tassazione dei dividendi ed alla ritenuta applicabile, si fosse formato il giudicato, era pienamente consapevole anche la Corte di giustizia n. 338 del 24 giugno 2010 laddove al paragrafo 20 ha specificato che “a titolo preliminare, va constatato che risulta esplicitamente dalla formulazione delle questioni pregiudiziali che esse vertono unicamente sulla compatibilità con il diritto dell’unione della ritenuta del 5% applicata dall’amministrazione fiscale italiana, in forza della convenzione bilaterale, al rimborso della maggiorazione di conguaglio effettuato dalle società italiane alle società controllanti”, mentre al paragrafo 21 ha sottolineato che “le questioni non riguardano dunque la compatibilità con il diritto dell’unione della ritenuta fiscale applicata ai dividendi versati dalle società italiane del loro società controllanti olandesi”.

Il giudice del rinvio si è collocato nel solco della Corte di cassazione e della Corte di giustizia evidenziando che “la Commissione concorda con la precisazione della Corte di giustizia circa la delimitazione della controversia alla sola questione relativa al rimborso della maggiorazione di conguaglio ed alla ritenuta su di essa operata di cui è stato chiesto il rimborso. Infatti, la questione relativa alla ritenuta sugli utili distribuiti è stata definitivamente decisa dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 19180/2004. Poiché su tale questione si è formato il giudicato essa non avrebbe potuto in ogni caso essere sottoposta al giudizio della Corte di giustizia. Rimane quindi confermato che non compete il rimborso delle ritenute sui dividendi distribuiti dalla società italiana figlia alla società madre olandesi”.

18.2. Va disattesa anche la questione di diritto unionale su cui insiste la società anche nella memoria scritta depositata, dovendosi ribadire che il principio di intangibilità del giudicato riveste una tale importanza, sia nell’ordinamento giuridico dell’Unione Europea che in quelli nazionali, che la Corte di giustizia ha ripetutamente affermato (Corte Ue, 3 settembre 2009, in causa C-2/8 Olimpiclub e 16 marzo 2006, in causa C-234/4, Kapferer) che il diritto dell’Unione Europea non impone a un giudice nazionale di disapplicare le norme procedurali interne che attribuiscono forza di giudicato a una pronuncia giurisdizionale, nemmeno se ciò permetterebbe di risolvere una situazione di contrasto tra il diritto nazionale e quello dell’Unione (Cass., sez. 1, 6 maggio 2015, n. 9127; Cass., sez. 5, 15 dicembre 2010, n. 25320; cfr. anche Corte giustizia UE, 21 dicembre 2021, C-497/2020, per la quale è garantito il rispetto dei diritti che i singoli traggono dal diritto dell’Unione se lo Stato membro conferisce al supremo organo della giustizia amministrativa di detto Stato la competenza a pronunciarsi in ultima istanza, tanto in fatto quanto in diritto, sulla controversia di cui trattasi e di impedire, di conseguenza, che quest’ultima possa ancora essere esaminata nel merito nell’ambito di un ricorso per cassazione dinanzi all’organo giurisdizionale supremo dello stesso Stato).

19. Trattandosi di questione di particolare importanza deve essere enunciato il seguente principio di diritto: “In caso di versamenti effettuati dalla società controllata italiana (figlia) alla società controllante (madre) con sede nei Paesi Bassi, mentre è dovuta la ritenuta alla fonte sulle somme distribuite a titolo di dividendi, in base alla Dir. madre-figlia (n. 90/435/CEE), attraverso la clausola di salvaguardia di cui all’art. 7, comma 2, che rimanda alla Convenzione Italia-Paesi Bassi (art. 10, commi 1 e 2), non è invece dovuta la ritenuta per le somme distribuite a titolo di maggiorazione da conguaglio, ai sensi della L. 25 novembre 1983, n. 349, art. 2, in vigore dal 1 gennaio 1983, confluito nel D.P.R. n. 917 del 1986, art. 105, poi abrogato a decorrere dal 1998 a seguito del D.Lgs. n. 467 del 1997; queste ultime, alla stregua della decisione della Corte di giustizia UE 24 giugno 2010, n. 338, sono parificate ai dividendi in caso della sussistenza di tre presupposti: rinuncia sistematica dello Stato italiano ad una parte del gettito fiscale costituito dalle stesse; fatto generatore della maggiorazione da conguaglio costituito dal versamento di dividendi; il soggetto passivo della maggiorazione da conguaglio è il detentore dei titoli; con accertamento effettuato in concreto dal giudice di merito, per il disposto della Convenzione Italia-Paesi Bassi, art. 10, comma 3, (L. 26 luglio 1993, n. 305); in tal caso, però, non si applica la clausola di “riserva” o di “salvezza” di cui alla Dir. madre-figlia, art. 7, comma 2, da interpretarsi restrittivamente, che consente il rimando alla Convenzione Italia-Paesi Bassi, con applicazione della ritenuta, perché le disposizioni in tema di maggiorazione da conguaglio, che costituisce una “imposta aggiuntiva” o “virtuale”, non mirano ad evitare o attenuare fenomeni di doppia imposizione, ma esclusivamente ad impedire che il socio possa giovarsi di benefici fiscali che non spettano invece alla società, al fine di evitare fenomeni di erosione o elusione fiscale”.

20. Le spese del giudizio di legittimità vanno integralmente compensate tra le parti, in ragione della reciproca soccombenza.

21. Non opera a carico dell’Agenzia ricorrente il raddoppio del contributo unificato (Cass., n. 890/2017; Cass., n. 5955/2014).

P.Q.M.

rigetta il ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale.

Compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di legittimità. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2022

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