LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –
Dott. CATALDI Michele – Consigliere –
Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –
Dott. NICASTRO Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12754/2018 R.G. proposto da:
M.D., rappresentato e difeso dall’Avv. Pistone Valentina, con domicilio eletto in Milano, via Larga, n. 6, presso lo studio della stessa;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 4167/15/17 depositata il 18 ottobre 2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 gennaio 2022 dal Consigliere Nicastro Giuseppe.
RILEVATO
che:
l’Agenzia delle entrate notificò a M.D. un avviso di accertamento, relativo all’anno d’imposta 2007, con il quale, rilevato che, negli anni dal 2002 al 2009, il contribuente aveva effettuato numerose compravendite e ristrutturazioni di fabbricati e qualificata tale attività come esercizio di impresa, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 2, accertò il maggior reddito d’impresa, oltre ai maggiori corrispettivi e al maggior valore della produzione netta, derivanti dalla vendita, nell’anno 2007, di cinque appartamenti in Milano, via degli Umiliati, n. 37, con le conseguenti maggiori IRPEF, IVA e IRAP, e con le corrrelative sanzioni;
M.D. impugnò l’avviso di accertamento davanti alla Commissione tributaria provinciale di Milano (hinc anche: “CTP”), che rigettò il ricorso del contribuente;
avverso tale pronuncia, M.D. propose appello alla Commissione tributaria regionale della Lombardia (hinc anche: “CTR”), che rigettò l’impugnazione del contribuente con la motivazione che “(r)isulta dagli avvisi di accertamento impugnati in primo grado il compimento da parte del contribuente, negli anni dal 2002 al 2009, di una serie di compravendite di fabbricati, comprensive di interventi di ristrutturazione, demolizione, cambio d’uso, realizzo di plusvalenze. In particolare, per l’anno d’imposta 2007, l’Ufficio ha individuato l’esistenza di proventi pari ad Euro 1.006.500,00. A seguito di richiesta dell’Agenzia, il contribuente ha dato riscontro al questionario, assumendo la mancata conservazione delle fatture per l’intervento di costruzione di via degli Umiliati, n. 37 e l’impossibilità, dato il tempo trascorso, di indicare i soggetti che avevano realizzato i lavori. Il contribuente si è limitato a depositare una relazione tecnica di stima dei costi relativi ai suddetti interventi. Considerato che le operazioni sopra descritte sono imponibili IVA, l’Ufficio ha riaperto d’ufficio la partita IVA del contribuente in data 1.11.2010, attribuendogli il codice attività “compravendita di beni immobili effettuata su beni propri” e ha quindi accertato, a carico del signor Mazzitelli, per l’annualità 2007, l’omessa indicazione del reddito d’imposta, l’omessa presentazione delle dichiarazioni IVA e IRAP, la mancata esibizione di dichiarazione richiesta con il questionario. In ipotesi quale quella di specie di mancata presentazione della dichiarazione dei redditi, l’Ufficio, sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, determina il reddito complessivo del contribuente medesimo, con facoltà di ricorso a presunzioni c. d. supersemplici, anche prive, cioè, dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, che comportano l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale può fornire elementi contrari intesi a dimostrare che il reddito (risultante algebrica di costi e ricavi) non è stato prodotto o che è stato prodotto in misura inferiore a quella indicata dall’ufficio (v. Cassazione civile, sez. trib., n. 1506/20.01.2017 Sez.5, n. 3115 del 13/02/2006). Senonché anche in questo grado di giudizio il contribuente insiste nel richiamare, fondandovi i motivi di gravame, la Relazione Tecnica di Stima predisposta e sottoscritta da un professionista abilitato, che contiene “la puntuale e analitica ricostruzione tecnica ex post, dei costi dell’intervento effettuato in Milano, Via degli Umiliati, 37”. Avrebbe così a suo dire assolto l’onere di dimostrare i costi sostenuti nel 2007 a fronte dei ricavi realizzati dalla vendita degli immobili. Il contribuente non può però sostenere di avere documentato i costi mediante la perizia, poiché le perizie stragiudiziali e le consulenze di parte non hanno alcun valore probatorio pieno e sostanziale, ma meramente indiziario, cosicché non possono essere qualificate in senso proprio come mezzi di prova sia pure atipici (Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., n. 640/20.11.2014). Del resto, le perizie giurate depositate da una parte processuale non sono dotate di efficacia probatoria nemmeno rispetto ai fatti che il consulente asserisce di avere accertato, ad esse potendosi solo riconoscere valore di indizio, al pari di ogni documento proveniente da un terzo, il cui apprezzamento è affidato alla valutazione discrezionale del Giudice, che, da un lato, non è obbligato in alcun caso a tenerne conto e, dall’altro, ove ritenga di farvi riferimento, deve motivare adeguatamente la forza probatoria che intende loro assegnare (così, condivisibile, T.A.R. Bologna, (Emilia-Romagna), sez. II, n. 929/16.11.2016). E nel caso in questione non vi sono elementi per attribuire alla perizia tale forza probatoria. E’ peraltro principio di carattere generale che in tema di accertamento delle inmposte sui redditi, nel quadro dei generali principi che governano l’onere della prova, mentre spetta all’amministrazione finanziaria dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi della maggiore pretesa tributaria azionata, fornendo quindi la prova di elementi e circostanze a suo avviso rilevatori dell’esistenza di un maggiore imponibile, grava invece sul contribuente l’onere della prova sia in ordine all’esistenza dei fatti che danno luogo a specifici oneri e/o costi deducibili, sia in ordine al requisito dell’inerenza degli stessi all’attività professionale e d’impresa svolta (così Cassazione civile, sez. trib., n. 19852/14.11.2021). Inoltre, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41-bis (richiamato nell’avviso impugnato), l’accertamento di maggiori ricavi non deve necessariamente fondarsi su dati “certi”, ma può anche ancorarsi ad elementi di carattere indiziario. Il reperimento presso terzi di documentazione probatoria legittima, pertanto, l’accertamento presuntivo di maggiori ricavi. Ne’ può essere riconosciuta la deducibilità forfetaria di maggiori costi, ove questi, come nel caso in questione, non siano documentati. Solo in memoria integrativa, il contribuente ha poi eccepito una violazione del diritto al contraddittorio effettivo. A prescindere dalla tempestività della censura, si rileva che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nella procedura improntata al principio del contraddittorio, quale quella prefigurata con la richiesta di informazioni e documenti mediante questionari, una volta che il contribuente abbia ottemperato alla richiesta di chiarimenti, grava sull’Amministrazione finanziaria l’onere di contestarne in modo specifico la completezza, la veridicità, l’idoneità probatoria, la qualificazione giuridica del fatto rappresentato e, più in generale, la correttezza in termini di effettiva deducibilità dei costi documentati. Solo dopo l’adempimento di tale onere di contestazione può sorgere, in capo al contribuente, l’onere di provare le circostanze di fatto rilevanti per smentire le contestazioni dell’ufficio (Cfr. Cassazione civile, sez. trib., n. 263/12.01.2012 e anche Cass. Sentenze n. 9892 del 05/05/2011, n. 28049 del 2009), onere nel caso di specie assolto, come sopra evidenziato, solo dall’Agenzia e non dal contribuente”;
avverso tale sentenza – depositata in segreteria il 18 ottobre 2017 – ricorre per cassazione M.D., che affida il proprio ricorso a quattro motivi;
l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso;
M.D. ha depositato una memoria.
CONSIDERATO
che:
con il primo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 55 e 56, e degli artt. 53 e 97 Cost., per non avere la CTR, “travisando ab origine la fattispecie posta alla sua attenzione” – erroneamente qualificata ora come accertamento d’ufficio, ora come accertamento parziale, anziché come accertamento induttivo cosiddetto “puro” (D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 2) – “co(lto) neppure il punto su cui è stata chiamata a decidere ovvero sulla necessità, nell’ipotesi di accertamento induttivo puro, di dovere, a fronte di accertati maggiori ricavi, ricostruire anche le componenti negative che li hanno generati, seppure non transitate in contabilità, procedendo alla loro individuazione induttiva ai fini della determinazione del maggior reddito” e per non avere, conseguentemente, riconosciuto la deducibilità dei costi per la ristrutturazione degli appartamenti venduti, come ricostruiti induttivamente sulla base della relazione tecnica prodotta sin dal giudizio di primo grado;
con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), la nullità della sentenza e del procedimento per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. c) e d), e dell’art. 112 c.p.c., in quanto, “per i medesimi errori giudiziari sopra evidenziati (con il primo motivo)”, la CTR, avendo “confuso concettualmente i diversi accertamenti sbagliando ad individuare la natura di quello oggetto del conrtenzioso e, conseguentemente, la relativa disciplina da applicare all’accertamento impugnato”, “non si è (…) occupata in alcun modo di utilizzare il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, per determinare il reddito in contestazione e per verificare la correttezza del metodo proposto dal contribuente” per la ricostruzione dei costi, di “verificare se sia necessario, in sede di accertamento induttivo, lo scomputo dei costi”, “di operare, se del caso, una diversa ricognizione dei costi per determinare induttivamente il reddito in contestazione”;
con il terzo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), la “(n)ullità ed illegittimità della sentenza (…) per omesso esame (circa) in ordine alle modalità di accertamento del reddito, al mancato riconoscimento dei costi dell’attività ed alla valutazione delle prove che li attestano, fatti oggetto di discussione tra le parti – Violazione dell’art. 111 Cost., e dell’art. 112 c.p.c.”, in quanto la CTR: a) “non si esprime sulla correttezza del metodo induttivo seguito nell’avviso di accertamento così come non spiega perché non sia rispondente a tale criterio induttivo di accertamento del reddito quello enucleato dal ricorrente”; b) “non affronta(…), nella sostanza, quale sia il criterio da utilizzare (ed utilizzato) per accertare i costi dell’attività”; c) “non riconosce ai documenti offerti dal contribuente alcun valore probatorio”, negando, in particolare, alla prodotta relazione tecnica sia il “valore di prova documentale quantomeno atipica” sia il “valore (…) di indizio”; d) non “valuta se siano praticabili altri metodi” di ricostruzione induttiva dei costi;
con il quarto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), la “(n)ullità della sentenza (…) per omessa, contraddittoria, illogica e insufficiente motivazione in ordine alle modalità di accertamento del reddito, al mancato riconoscimento dei costi dell’attività ed alla valutazione delle prove che li attestano, fatti controversi e decisivi per il giudizio – Violazione dell’art. 111 Cost., e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36”, in quanto: a) “file argomentazioni contenute nella sentenza impugnata partendo da un travisamento in fatto sul tipo di accertamento, risultano inutili ed apparenti in diritto, e non consentono, infatti, di capire perché non si debba tener conto delle componenti negative dell’attività nel caso del sig. Mazzitelli”; b) “la sentenza impugnata (…) non contiene una giustificazione del perché sia ritenuto corretto il metodo seguito da Agenzia per accertare il maggior reddito nello stesso importo dei ricavi”; c) “fila motivazione della sentenza (…) non consente di capire se vi sia stata una valutazione in merito al tipo ed all’onerosità dell’attività imprenditoriale imputata al contribuente, fatto notorio con riferimento a lavori di ristrutturazioni edilizie”; d) “fila motivazione della sentenza risulta inoltre viziata anche nella parte in cui esamina il motivo di impugnazione attinente alla violazione del diritto a un contraddittorio effettivo con Agenzia”, atteso che, “al contrario di quanto affermato nella sentenza impugnata, è Agenzia che non ha assolto all’onere di contestazione delle circostanze rappresentate dal contribuente – l’aver sostenuto e ricostruito i costi dei lavori di ristrutturazione – e sussiste il vizio di violazione del contraddittorio, (…), avendo la stessa (Agenzia) chiuso l’accertamento con adesione in maniera negativamente erronea imputando al sig. Mazzitelli una mancata collaborazione per non aver dallo stesso ottenuto i nomi dei fornitori utilizzati per le ristrutturazioni”;
il primo motivo è fondato, nei termini che seguono;
e’ pacifico tra le parti che l’avviso di accertamento per cui è causa è un avviso di accertamento induttivo cosiddetto “puro”, emesso ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2;
ciò e’, in effetti, espressamente affermato nello stesso avviso di accertamento, parzialmente riprodotto dalla controricorrente alle pagg. 2 e 3 del controricorso;
a tale riguardo, questa Corte ha affermato il principio di diritto secondo cui, “(Un tema di accertamento induttivo cd. puro, l’Amministrazione finanziaria deve ricostruire il reddito del contribuente tenendo conto anche delle componenti negative emerse dagli accertamenti compiuti ovvero, in difetto, determinate induttivamente, al fine di evitare che, in contrasto con il principio della capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., venga sottoposto a tassazione il profitto lordo, anziché quello netto” (Cass., 23/10/2018, n. 26748; nello stesso senso, Cass., 19/02/2009, n. 3995);
tale determinazione induttiva dei costi presunti può essere compiuta anche sulla base di una perizia stragiudiziale – ancorché, considerata anche l’assenza di un obbligo del giudice di tenerne conto (Cass., 27/12/2018, n. 33503), essa abbia il valore di mero argomento di prova (Cass., 09/04/2018, n. 8621), che dà luogo a semplici indizi (Cass., n. 8621 del 2018, n. 33503 del 2018) – liberamente apprezzabile dal giudice, a condizione che egli spieghi le ragioni per le quali la ritiene corretta e convincente;
nella specie, la CTR, pur avendo preso in considerazione la perizia stragiudiziale prodotta dal contribuente, non spiega in nessun modo le ragioni per le quali non l’ha ritenuta corretta e convincente, essendosi limitata ad affermare, in modo del tutto anapodittico, che “nel caso in questione non vi sono elementi per attribuire alla perizia tale forza probatoria”;
in tale modo, la stessa CTR è altresì venuta meno al proprio potere/dovere di determinare, nelle ipotesi di accertamento induttivo cosiddetto “puro”, anche i costi presunti;
da ciò la fondatezza del primo motivo;
l’esame del secondo, del terzo e del quarto motivo è assorbito dall’accoglimento del primo motivo;
pertanto, il primo motivo deve essere accolto, assorbiti il secondo, il terzo e il quarto motivo, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione all’accolto primo motivo, con rinvio della causa alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, perché provveda, altresì, alla liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo, assorbiti il secondo, il terzo e il quarto motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione all’accolto primo motivo e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2022.
Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2022