LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MOCCI Mauro – Presidente –
Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –
Dott. DELLI PRISCOLI Lorenz – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 24832-2020 proposto da:
CORSO DEL POPOLO IMMOBILIARE SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domicilia in ROMA, VIALE DEI PARIOLI, 98, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO POLLARI MAGLIETTA, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI TERNI, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO GENNARI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 378/2/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE dell’UMBRIA, depositata il 16/12/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 27/01/2022 dal Consigliere Relatore Dott. LORENZO DELLI PRISCOLI.
FATTI DI CAUSA
Rilevato che:
la parte contribuente, una società che costruisce e vende immobili, proponeva ricorso avverso un avviso di accertamento riguardante l’IMU relativo all’anno d’imposta 2015 emesso dal comune di Terni, lamentando per un verso che tale avviso avrebbe ad oggetto immobili che costituiscono c.d. beni merce in quanto realizzati dalla stessa società e che come tali, ai sensi del D.L. n. 102 del 2013, art. 2, a partire dal primo gennaio 2014, sono esenti dall’imposta fintanto che permanga la destinazione alla vendita e sempre che gli immobili non vengano locati e per un altro verso che l’omessa dichiarazione IMU sarebbe irrilevante non essendo intervenute variazioni rispetto alla dichiarazione originaria;
la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso della parte contribuente ma la Commissione Tributaria Regionale accoglieva l’appello del comune di Terni, affermando che: la parte contribuente non ha presentato la dichiarazione con la quale attesta il possesso dei requisiti, prescritta a pena di decadenza dal beneficio dal D.L. n. 102 del 2013, art. 2, comma 5-bis; è principio consolidato quello per cui le norme che prevedono esenzioni di imposta sono di stretta interpretazione; il principio della emendabilità delle dichiarazioni fiscali incontra il limite delle dichiarazioni a cui sono collegate decadenze; non risulta dimostrata dal contribuente la ricorrenza del requisito sostanziale, rispetto al quale non è sufficiente la produzione del bilancio di esercizio, documento che non permette il riscontro puntuale con gli identificativi catastali dei numerosi immobili posseduti.
La società contribuente proponeva ricorso affidato a due motivi di impugnazione e in prossimità dell’udienza depositava memoria insistendo per l’accoglimento del ricorso mentre il comune di Terni si costituiva con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la società contribuente denuncia violazione e falsa applicazione del D.L. n. 102 del 2013, art. 2, in quanto la L. n. 160 del 2019, art. 1, comma 769, (c.d. legge di Bilancio 2020) stabilisce che è sufficiente che il soggetto passivo attesti nel modello di dichiarazione il possesso dei requisiti prescritti dalle norme, senza alcuna decadenza, e quest’ultima norma sarebbe applicabile retroattivamente in ragione del principio del favor rei in quanto più favorevole al contribuente.
Il primo motivo di impugnazione è infondato.
Infatti secondo il D.L. 31 agosto 2013, n. 102, art. 2, comma 2 (altre disposizioni in materia di IMU), (Disposizioni urgenti in materia di IMU, di altra fiscalità immobiliare, di sostegno alle politiche abitative e di finanza locale, nonché di cassa integrazione guadagni e di trattamenti pensionistici) “a decorrere dal 1 gennaio 2014 sono esenti dall’imposta municipale propria i fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita, fintanto che permanga tale destinazione e non siano in ogni caso locati”, mentre secondo l’art. 2, art. 5-bis, “ai fini dell’applicazione dei benefici di cui al presente articolo, il soggetto passivo presenta, a pena di decadenza entro il termine ordinario per la presentazione delle dichiarazioni di variazione relative all’imposta municipale propria, apposita dichiarazione, utilizzando il modello ministeriale predisposto per la presentazione delle suddette dichiarazioni, con la quale attesta il possesso dei requisiti e indica gli identificativi catastali degli immobili ai quali il beneficio si applica”.
Nel caso di specie la parte contribuente non ha presentato la dichiarazione prevista dal citato art. 5-bis, attestante il possesso dei requisiti per godere dell’esenzione dell’imposta, né può ritenersi che l’omessa dichiarazione IMU sarebbe irrilevante non essendo intervenute variazioni rispetto alla dichiarazione originaria.
Secondo questa Corte infatti tale dichiarazione è un requisito imprescindibile per godere dell’esenzione:
“il D.L. n. 102 del 2013, art. 2, prevede l’esenzione dall’imposta municipale per i fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita, fintanto che permanga tale destinazione e non siano in ogni caso locati.
Ai sensi dello stesso art., comma 5-bis, “ai fini dell’applicazione dei benefici di cui al presente articolo, il soggetto passivo presenta, a pena di decadenza entro il termine ordinario per la presentazione delle dichiarazioni di variazione relative all’imposta municipale propria, apposita dichiarazione, utilizzando il modello ministeriale predisposto per la presentazione delle suddette dichiarazioni, con la quale attesta il possesso dei requisiti e indica gli identificativi catastali degli immobili ai quali il beneficio si applica. Con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze sono apportate al predetto modello le modifiche eventualmente necessarie per l’applicazione del presente comma”.
Dalla lettura della disposizione normativa sopra indicata emerge che condizione necessaria per l’ottenimento del beneficio fiscale in oggetto, è l’obbligo dichiarativo. Si tratta di un preciso e specifico onere formale, espressamente previsto a pena di decadenza, che non può sostituito da altre forme di denunce o superato dalla circostanza che il Comune fosse a conoscenza aliunde dei fatti che comportano l’esenzione dal pagamento dell’imposta.
Secondo il costante indirizzo giurisprudenziale (Cass. n. 15407 del 2017, Cass. n. 4333 del 2016, Cass. n. 2925 del 2013, Cass. n. 5933 del 2013) le norme che stabiliscono esenzioni o agevolazioni sono di stretta interpretazione ai sensi dell’art. 14 preleggi, sicché non vi è spazio per ricorrere al criterio analogico o all’interpretazione estensiva della norma oltre i casi e le condizioni dalle stesse espressamente considerati.
Non è quindi praticabile l’operazione ermeneutica compiuta dalla CTR che in sostanza ha reputato non doveroso lo specifico e formale onere del contribuente di comunicare all’Ente impositore gli estremi degli immobili, oggetto di beneficio fiscale, avendo già il Comune, sin dalla dei permessi di costruire “contezza dello stato e dei dati degli immobili oggetto di esenzione IMU”.
L’omessa presentazione della dichiarazione comporta quindi la non spettanza del beneficio (Cass. n. 21465 del 2020)”.
Il principio della decadenza da un beneficio fiscale in assenza del compimento di un onere di comunicazione espressamente previsto dalla legge è del resto un principio generale del diritto tributario, come pure lo è quello secondo cui le norme di esenzione, in quanto norme che fanno eccezione rispetto a principi generali, non sono applicabili in via analogica.
Secondo questa Corte, infatti:
in tema di credito d’imposta L. n. 244 del 2007, ex art. 2, comma 539, l’omessa comunicazione annuale attestante il mantenimento del livello occupazionale prevista dal D.M. 12 marzo 2008, determina, in attuazione della indicata legge, la decadenza del beneficio il quale, protraendosi per più anni, presuppone il perdurare per tutto il periodo in cui esso è riconosciuto dei requisiti relativi al numero complessivo dei lavoratori dipendenti (Cass. n. 31858 del 2021);
l’esenzione dal contributo unificato di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 10, comma 1, nel testo anteriore alla modifica apportata dalla L. n. 191 del 23 dicembre 2009, è applicabile ai solo al giudizio di opposizione alla ordinanza ingiunzione L. n. 689 del 1981, ex art. 22, stante la specialità del rito e l’eccezionalità della previsione di un trattamento tributario di favore, e non anche all’opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c. (Cass. n. 23877 del 2020).
Inoltre, il principio del favor rei è previsto dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, comma 3, (secondo cui “se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole, salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo”) si applica solo limitatamente alle sanzioni e non comporta una generale retroattività delle norme tributarie più favorevoli al reo, cosicché non è applicabile al caso di specie la L. n. 160 del 2019, art. 1, comma 769, (c.d. legge di Bilancio 2020).
In effetti, secondo questa Corte, “non vi sono nella specie ragioni per disattendere i principi già fissati da questa corte di legittimità (sebbene con riguardo ad altri tributi, ma sulla scorta di considerazioni di ordine generale), in base ai quali l’abrogazione di un tributo e la sua sostituzione con un altro non comporta il venir meno dell’obbligo del contribuente di provvedere al pagamento del tributo soppresso relativamente agli anni in cui quest’ultimo era dovuto; con conseguente perdurante applicazione, in caso di inadempimento, delle relative sanzioni.
Ciò perché “di abolitio criminis in relazione agli illeciti connessi all’accertamento ed alla riscossione di un’imposta, infatti, può correttamente parlarsi soltanto quando questa venga radicalmente meno, di guisa che essa non possa essere più pretesa e riscossa neppure in riferimento alle annualità pregresse (come a seguito della dichiarazione di incostituzionalità); quando, invece, la legge istitutiva di un’imposta venga abrogata a far tempo da una data stabilita dal legislatore, ma l’imposta continui ad essere dovuta per i fatti verificatisi anteriormente, in relazione ad essi l’obbligo di corrispondere l’imposta rimane in vigore, sicché non sono abrogate le norme sanzionatorie che tale obbligazione tributaria assistono” (Cass. n. 25053 del 2006, in tema di Ilor). Si è inoltre osservato (Cass. n. 2226 del 2015, in tema di Invim) che l’intervenuta abolizione del tributo non comporta, in base al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 3, alcuna conseguenza riguardo all’irrogabilità delle sanzioni derivanti da comportamenti posti in essere nel periodo di vigenza del tributo; atteso che l’omesso (o incompleto) versamento dell’imposta, nel periodo in cui questa era dovuta, continua ad integrare un’ipotesi di violazione punibile.
Nel caso di specie, in definitiva, la circostanza che per le imprese costruttrici di immobili sia stata introdotta (a fini Imu) una particolare forma di esenzione a decorrere dal 1 gennaio 2014, non esclude – in assenza di diversa previsione legislativa volta ad attribuire efficacia scriminante allo jus superveniens – la permanente debenza del tributo (Ici), e delle relative sanzioni, in relazione ai pregressi periodi di piena vigenza dell’imposta” (Cass. n. 8555 del 2016).
Peraltro, il summenzionato della L. n. 160 del 2019, art. 1, comma 769, (c.d. legge di Bilancio 2020) non abroga del D.L. n. 102 del 2013, art. 2, il summenzionato comma 5-bis, limitandosi a stabilire che “i soggetti passivi, ad eccezione di quelli di cui al comma 759, lett. g), devono presentare la dichiarazione o, in alternativa, trasmetterla in via telematica secondo le modalità approvate con apposito decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, sentita l’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI), entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello in cui il possesso degli immobili ha avuto inizio o sono intervenute variazioni rilevanti ai fini della determinazione dell’imposta. La dichiarazione ha effetto anche per gli anni successivi, sempre che non si verifichino modificazioni dei dati ed elementi dichiarati cui consegua un diverso ammontare dell’imposta dovuta. Con il predetto decreto sono altresì disciplinati i casi in cui deve essere presentata la dichiarazione. Restano ferme le dichiarazioni presentate ai fini dell’IMU e del tributo per i servizi indivisibili, in quanto compatibili. Nelle more dell’entrata in vigore del decreto di cui al primo periodo, i contribuenti continuano ad utilizzare il modello di dichiarazione di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 30 ottobre 2012, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 258 del 5 novembre 2012. In ogni caso, ai fini dell’applicazione dei benefici di cui al comma 741, lett. c), nn. 3) e 5), e al comma 751, terzo periodo, il soggetto passivo attesta nel modello di dichiarazione il possesso dei requisiti prescritti dalle norme”.
La Commissione Tributaria Regionale si è dunque confermata alle predette norme e ai predetti principi laddove – affermando che: la parte contribuente non ha presentato la dichiarazione con la quale attesta il possesso dei requisiti, prescritta a pena di decadenza dal beneficio dal D.L. n. 102 del 2013, art. 2, comma 5 bis; è principio consolidato quello per cui le norme che prevedono esenzioni di imposta sono di stretta interpretazione; il principio della emendabilità delle dichiarazioni fiscali incontra il limite delle dichiarazioni a cui sono collegate decadenze; non risulta dimostrata dal contribuente la ricorrenza del requisito sostanziale, rispetto al quale non è sufficiente la produzione del bilancio di esercizio, documento che non permette il riscontro puntuale con gli identificativi catastali dei numerosi immobili posseduti – ha correttamente negato l’esenzione IMU in assenza della dichiarazione di cui al D.L. n. 102 del 2013, art. 2, comma 5-bis.
Con il secondo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la società contribuente denuncia il vizio di ultrapetizione in quanto la sentenza impugnata afferma che la società contribuente non ha dimostrato la ricorrenza del requisito sostanziale per ottenere l’esenzione IMU non essendo a tal fine sufficiente la produzione del bilancio di esercizio ma il comune di Terni non ha mai contestato la sussistenza del requisito sostanziale della ricondicibilità degli immobili in questione alla categoria tipologica degli “immobili-merce”.
Il secondo motivo di impugnazione è parimenti infondato.
Secondo questa Corte, infatti:
il dovere imposto al giudice di non pronunciare oltre i limiti della domanda, né di pronunciare d’ufficio su eccezioni che possono essere proposte soltanto dalle parti, non comporta l’obbligo di attenersi all’interpretazione prospettata dalle parti in ordine ai fatti, agli atti ed ai negozi giuridici posti a base delle loro domande ed eccezioni, essendo la valutazione degli elementi documentali e processuali, necessaria per la decisione, pur sempre devoluta al giudice, indipendentemente dalle opinioni, ancorché concordi, espresse in proposito dai contendenti. Al riguardo non è configurabile un vizio di ultrapetizione, ravvisabile unicamente nel caso in cui il giudice attribuisca alla parte un bene non richiesto, o maggiore di quello richiesto (Cass. n. 16608 del 2021).
La motivazione della Commissione Tributaria Regionale, lungi dall’essere inficiata da un vizio di ultrapetizione, è volta a dimostrare l’assenza del requisito sostanziale per l’ottenimento del beneficio dell’esenzione dell’IMU beneficio che costituisce il petitum sostanziale del contribuente – requisito che non e’, come sostenuto dal ricorrente, l’essere l’immobile qualificabile all’interno della categoria degli immobili-merce (che è semmai un prerequisito) ma è l’avere presentato la dichiarazione di cui al D.L. n. 102 del 2013, art. 2, comma 5-bis.
Ritenuti pertanto infondati entrambi i motivi di impugnazione, il ricorso va conseguentemente rigettato; le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 5.600, oltre a spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 gennaio 2022.
Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2022