Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.5196 del 17/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenz – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18742-2020 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. *****), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

LOGO SRL, – incorporante Digit.All Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati FRANCESCO MOSCHETTI, ALBERTO DE FELICE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 966/6/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del VENETO, depositata il 24/10/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 27/01/2022 dal Consigliere Relatore Dott. LORENZO DELLI PRISCOLI.

FATTI DI CAUSA

la parte contribuente impugnava una cartella di pagamento per IRES relativa all’anno d’imposta 2009;

la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso della parte contribuente e la Commissione Tributaria Regionale respingeva l’appello dell’Ufficio affermando che mentre l’Ufficio contesta, in base al controllo formale, la natura e la consistenza della perdita esposta in dichiarazione e quindi la sua detraibilità dal reddito, la società contribuente sostiene che il controllo automatizzato D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36-bis, debba limitarsi ai dati riportati in dichiarazione e non può tradursi in una valutazione sul merito dei dati stessi: il controllo formale deve limitarsi agli elementi forniti dalla parte contribuente ma non può spingersi fino alla valutazione giuridica sulla deducibilità di una voce di costo esposto in bilancio oppure sulla spettanza di un credito o di una perdita dichiarati; inoltre la società contribuente ha compiuto un investimento in leasing finanziario e ha diritto ad una deduzione del 50%, riportabile illimitatamente negli esercizi successivi e quindi ritiene che tale deduzione non trovi alcun riferimento nei canoni di leasing ma l’amministrazione non ha svolto alcuna verifica in ordine alla certezza, competenza e inerenza della perdita dichiarata, limitandosi ad affermare di non poter svolgere tale indagine, stante la scadenza dei termini di accertamento.

Avverso la suddetta sentenza proponeva ricorso l’Agenzia delle entrate, affidato ad un motivo mentre la parte contribuente si costituiva con controricorso e in prossimità dell’udienza depositava memoria insistendo per il rigetto del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

con il motivo d’impugnazione l’Agenzia delle entrate, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, per avere la sentenza impugnata erroneamente ritenuto che l’Ufficio abbia posto in essere un controllo eccedente i limiti previsti da tale norma in quanto l’Ufficio stesso avrebbe effettuato una valutazione nel “merito” dei dati indicati in dichiarazione dalla società contribuente, quando invece quest’ultima ha indicato nella dichiarazione dei redditi, modello unico, relativa al 2009, al rigo RS 89, la somma di Euro 83.972,00 quali perdite riportabili senza limiti di tempo a causa di un mero errore materiale commesso dal contribuente, come si evince dalla incongruità della dichiarazione rispetto a quelle degli esercizi precedenti: in particolare, a partire dal 2004, la parte contribuente ha attribuito il carattere di “illimitato” alle perdite fiscali originate dall’anno 2002 compilando, a differenza delle annualità precedenti, il rigo RS 46 (perdite riportabili senza limite di tempo) e la compilazione del rigo in questione ha comportato la variazione delle perdite da “limitatamente” a “illimitatamente” riportabili, cosicché la rettifica dell’Ufficio sarebbe esclusivamente formale.

Il motivo è fondato in quanto, secondo questa Corte:

in tema di accertamenti delle dichiarazioni tributarie, l’attività di controllo formale svolta ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-ter, comma 2, differisce dal cd. “controllo automatizzato” in sede di liquidazione dell’imposta di cui al precedente art. 36-bis, comma 2; infatti, quest’ultimo ha il solo scopo di evitare al contribuente la reiterazione di errori attribuendo all’Amministrazione finanziaria, all’esito di una verifica meramente cartolare, il potere di provvedere sulla base dei dati già in suo possesso, senza la possibilità di una diversa ricostruzione sostanziale dei dati esposti dal contribuente, al quale viene consentito, all’esito di apposita comunicazione la cui omissione non determina alcuna nullità, di regolarizzare gli aspetti formali; viceversa, la prima fattispecie consente una, sia pur ridotta, attività istruttoria seguita, a pena di nullità, dalla comunicazione dell’esito del controllo con conseguente potere dell’Ufficio di escludere, in tutto o in parte, le detrazioni d’imposta non spettanti in base ai documenti richiesti al contribuente (Cass. n. 24813 del 2021);

in tema di controllo automatizzato D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, è legittima l’iscrizione a ruolo della maggiore imposta, senza necessità di emettere avviso di accertamento, quando la verifica sia meramente cartolare e non implichi valutazioni, ciò che avviene quando essa si fondi sul solo riscontro obiettivo tra i dati formali contenuti nella dichiarazione dei redditi e le informazioni sul contribuente reperibili nell’anagrafe tributaria e sulle incongruità riscontrate dal suddetto raffronto. (Cass. n. 24747 del 2020).

La Commissione Tributaria Regionale non si è attenuta ai suddetti principi laddove – affermando che mentre l’Ufficio contesta, in base al controllo formale, la natura e la consistenza della perdita esposta in dichiarazione e quindi la sua detraibilità dal reddito, la società contribuente sostiene che il controllo automatizzato D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36-bis, debba limitarsi ai dati riportati in dichiarazione e non può tradursi in una valutazione sul merito dei dati stessi: il controllo formale deve limitarsi agli elementi forniti dalla parte contribuente ma non può spingersi fino alla valutazione giuridica sulla deducibilità di una voce di costo esposto in bilancio oppure sulla spettanza di un credito o di una perdita dichiarati; inoltre la società contribuente ha compiuto un investimento in leasing finanziario e ha diritto ad una deduzione del 50%, riportabile illimitatamente negli esercizi successivi e quindi ritiene che tale deduzione non trovi alcun riferimento nei canoni di leasing ma l’amministrazione non ha svolto alcuna verifica in ordine alla certezza, competenza e inerenza della perdita dichiarata, limitandosi ad affermare di non poter svolgere tale indagine, stante la scadenza dei termini di accertamento – non ha considerato che l’accertamento D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, si fonda sul concetto di una verifica meramente cartolare basato sul potere dell’Ufficio di provvedere sulla base dei dati già in suo possesso, mediante il riscontro obiettivo tra i dati formali contenuti nella dichiarazione dei redditi e le informazioni sul contribuente reperibili nell’anagrafe tributaria e sulle incongruità riscontrate dal suddetto raffronto: nella specie invece la sentenza impugnata non ha dato conto che questo raffronto da parte dell’Ufficio non vi sia stato o sia stato effettuato in maniera scorretta; al contrario l’Ufficio nel suo ricorso ha ben documentato e argomentato in ordine alla circostanza che la società contribuente ha indicato nella dichiarazione dei redditi, modello unico, relativa al 2009, al rigo RS 89, la somma di Euro 83.972,00 quale perdita riportabile senza limiti di tempo a causa di un mero errore materiale commesso dalla società contribuente stessa, come si evince dalla incongruità della sua dichiarazione rispetto a quelle degli esercizi precedenti: in particolare, a partire dal 2004, la Digit.all s.r.l. ha attribuito il carattere di “illimitato” alle perdite fiscali originate dall’anno 2002 compilando, a differenza delle annualità precedenti, il rigo RS 46 (perdite riportabili senza limite di tempo) e la compilazione del rigo in questione ha comportato la variazione delle perdite da “limitatamente” a “illimitatamente” riportabili, cosicché la rettifica dell’Ufficio risulta essere esclusivamente formale.

In effetti, seguendo la logica della sentenza impugnata, non sarebbe neppure chiaro quali sarebbero le ipotesi in cui l’Ufficio potrebbe legittimamente procedere mediante l’accertamento D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36-bis, non avendo la stessa sentenza dimostrato di essersi attenuta ai suddetti principi dal momento che non ha enunciato un criterio concreto in base al quale distinguere tra controllo dell’Ufficio formale (legittimo) e sostanziale (illegittimo) in merito alle dichiarazioni effettuate dalla parte contribuente.

Non può poi accogliersi l’argomentazione della parte contribuente, sostenuta nel controricorso e ribadita nella memoria, secondo cui la sentenza impugnata consterebbe di due distinte rationes decidendi e che il ricorso sarebbe indirizzato esclusivamente verso la prima, relativa all’ammissibilità dell’accertamento dell’Ufficio ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, mentre non sarebbe stata impugnata la seconda ratio, relativa al merito della questione: dette valutazioni infatti – secondo l’insegnamento di Cass. S.U. n. 3840 del 2007 – provengono da un giudice che, con la pregiudiziale declaratoria di inammissibilità, si è già spogliato della potestas iudicandi in relazione al merito della fattispecie controversa. Per cui quelle ultronee considerazioni relative al merito della domanda (o del gravame) non sono riconducibili alla decisione (di inammissibilità) che al riguardo egli ha adottato, ma a quella, semmai, che egli avrebbe adottato ove appunto il correlativo esame non ne fosse risultato precluso. E si muovono, pertanto, su un piano esclusivamente virtuale e non entrano nel circuito delle statuizioni propriamente giurisdizionali. Dal che, conclusivamente, la riaffermazione del principio per cui, relativamente alle argomentazioni sul merito, ipotetiche e virtuali, che il giudice impropriamente – abbia inserito in sentenza, subordinatamente ad una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di sua giurisdizione o competenza), la parte soccombente non ha l’onere, né ovviamente l’interesse, ad impugnare. Con l’ulteriore duplice e speculare, corollario che è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile (per difetto appunto di interesse) l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito svolta, per quanto detto, ad abundantiam nella sentenza gravata (nello stesso senso Cass. n. 1165 del 2022; Cass. n. 38463 del 2021; Cass. n. 33339 del 2021). Correttamente dunque, nel caso di specie, la doglianza dell’Agenzia delle entrate si è appuntata esclusivamente sulla possibilità per l’Ufficio di effettuare il controllo automatizzato D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36-bis.

Pertanto, ritenuto fondato il motivo di impugnazione, il ricorso dell’Agenzia delle entrate va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale del Veneto, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale del Veneto, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2022

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