Corte di Cassazione, sez. Unite Civile, Ordinanza n.5218 del 17/02/2022

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Primo Presidente f.f. –

Dott. MANNA Felice – Presidente di Sez. –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 38267/2019 proposto da:

AMERICAN LAUNDRY OSPEDALIERA S.P.A., in proprio e quale Capogruppo mandataria dell’ATI con S.A.F. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OVIDIO 20, presso lo STUDIO LICCARDO LANDOLFI e ASSOCIATI, rappresentata e difesa dagli avvocati SABRINA MAROTTA, TOMMASO MAGLIONE, e ROBERTO LANDOLFI;

– ricorrente –

contro

HOSPITAL SERVICE S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 32, presso lo studio dell’avvocato MICHELE LIOI, che la rappresenta e difende;

AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA UNIVERSITA’ DELLA CAMPANIA *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CESARE FEDERICI 2, presso lo studio dell’avvocato MARIA CONCETTA ALESSANDRINI, rappresentata e difesa dall’avvocato VINCENZO GRIMALDI;

– controricorrenti –

e contro

SO.RE.SA. – SOCIETA’ REGIONALE PER LA SANITA’ S.P.A., REGIONE CAMPANIA, ASL NAPOLI *****, SAF S.R.L.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 6164/2019 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il 13/09/2019;

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 09/11/2021 dal Consigliere Dott. MARCO MARULLI.

FATTI DI CAUSA

1.1. L’American Laundry Ospedaliera s.p.a., nella sua veste di capofila dell’A.T.I. costituito con la SAF s.r.l., a seguito di procedura soggetta alle regole dell’evidenza pubblica indetta dalla centrale di commitenza regionale So.Re.Sa. s.p.a. era risultata aggiudicataria del servizio c.d. “lavanolo” da prestarsi in favore di alcune aziende ospedaliere dell’area napoletana, tra le quali anche l’Azienda Ospedaliera Universitaria Università Della Campania *****.

1.2. Su ricorso dell’impresa seconda classificata Hospital Service s.r.l. – che, impugnando l’aggiudicazione per eccesso di potere e violazione di legge, aveva lamentato in particolare la carenza in capo alla capogruppo del raggruppamento aggiudicatario dei requisiti di partecipazione ed aveva chiesto perciò che ne fosse pronunciato l’annullamento con subentro di essa nelle convenzioni eventualmente già stipulate – il T.A.R. per la Campania con sentenza 67/2018 del 4.1.2018 pronunciava in conformità accogliendo il primo motivo di ricorso e divisando, di conseguenza, l’illegittimità della disposta aggiudicazione per inosservanza del requisito escludente di cui al D.Lgs. 12 aprile 2006, art. 38, comma 1, lett. g). Rilevava segnatamente il decidente, in relazione alla richiamata disposizione, a tenore della quale sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento i soggetti “che hanno commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti”, nonché ai parametri a tal fine indicati dal medesimo art. 38 al comma 2, la sussistenza tanto della “gravità” delle violazioni fiscali in cui l’American Laundry Ospedaliera era incorsa omettendo il versamento delle imposte negli anni antecedenti all’aggiudicazione per un ammontare di quasi 48 milioni di Euro, quanto della “definitiviità” delle violazioni accertate, non risultando l’imponente esposizione debitoria che rateizzata in minima parte e non gravata per il resto di impugnazione giudiziale ed essendo perciò il relativo debito definitivamente accertato scaduto ed esigibile.

1.3. Appellava il deliberato tribunalizio, deducendone in principalità l’erroneità per non aver tenuto conto della regolarità fiscale attestata in corso di procedura dal sistema AvcPass, nonché delle conformi certificazioni rilasciate dall’Agenzia delle Entrate territorialmente competente, la soccombente American Laundry Ospedaliera con ricorso al Consiglio di Stato, che, disposti gli accertamenti istruttori del caso a mezzo di verificazione ex artt. 63 e 66 cod. proc. amm., con sentenza 6168/2019 del 4.7.2019 rigettava il gravame e confermava l’accoglimento del ricorso proposto in primo grado dalla Hospital Service.

Nel dettaglio, per quanto qui rileva, il decidente, richiamato il disposto del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 38, comma 1, lett. g), ritenuto fermo perché non contestato il requisito della “gravità” delle violazioni fiscali ascritte all’appellante e ricusato altresì l’argomento secondo cui le esibite certificazioni fiscali non sarebbero state sindacabili dal giudice amministrativo, osservava, quanto all’ulteriore requisito indicato dalla norma, che alla stregua delle leggi tributarie la “definitività” delle violazioni “discende dalla sentenza passata in giudicato con la quale è stato respinto il ricorso del contribuente ovvero dalla definitività dell’accertamento in sede amministrativa, per la mancata impugnazione dell’atto impositivo nel termine di sessanta giorni dalla sua conoscenza (o legale conoscibilità) da parte del contribuente, senza che nello stesso termine questi abbia provveduto a regolarizzare la propria posizione soddisfacendo la pretesa dell’amministrazione finanziaria anche mediante definizione agevolata”. Era perciò inconferente a questo riguardo la tesi appellante secondo cui la sospensione della riscossione decretata nella specie in via amministrativa avrebbe reso inesigibile il credito tributario che diverrebbe per tale motivo non definitivamente accertato, in quanto manchevole del requisito della esigibilità. Ed invero “la sospensione disposta dall’ente impositore attiene alla sola fase della riscossione del credito tributario, ma non incide sul titolo che resta comunque intangibile, con l’effetto che, in caso di mancata impugnazione dell’atto impositivo, il debito resta incontestato e, quindi, definitivamente accertato nonostante il contribuente abbia beneficiato del provvedimento di sospensione”.

1.4. Avverso detta ultima sentenza propone ora ricorso per cassazione, a mente dell’art. 111 Cost., comma 8 e art. 362 c.p.c., comma 1, American Laundry Ospedaliera sulla base di due motivi, il secondo dei quali orchestrato su due profili. Ad essi resistono Hospital Service e l’Azienda Ospedaliera Universitaria Università Della Campania *****.

RAGIONI DELLA DECISIONE

2. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente deduce che l’impugnata sentenza andrebbe cassata per difetto di giurisdizione e per denegata giustizia essendo stata pronunciata in violazione dei principi del giusto processo e della parità processuale delle parti. Si assume, infatti, che il T.A.R., prima, ed il Consiglio di Stato, poi, avrebbero dovuto accertare d’ufficio la ricevibilità del ricorso, in particolare verificandone la tempestività, e poiché nella specie tale attività era stata omessa ancorché fosse stato dimostrato che, rispetto all’epoca in cui Hospital Service aveva preso conoscenza del vizio denunciato, il ricorso da essa proposto risultasse tardivo, si ché il Consiglio di Stato avrebbe dovuto perciò dichiararlo irricevibile, confermando in via definitiva l’aggiudicazione della gara in favore di essa ricorrente, l’omissione di tale attività, anche in relazione ai principi enunciati da queste SS.UU. con sentenza 31226/2017 comporterebbe a giudizio del deducente la violazione dei principi del giusto processo e della parità processuale delle parti e, nel contempo, “difetto di giurisdizione” e “denegata giustizia”.

3. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente deduce che l’impugnata sentenza andrebbe del pari cassata essendo incorsa nel vizio di invasione e travalicamento della giurisdizione e ciò tanto con riferimento al suo limite interno tenuto conto della giurisdizione tributaria, quanto con riferimento al suo limite esterno tenuto conto del potere legislativo e del potere amministrativo.

Sotto la prima angolazione si rileva che il Consiglio di Stato, onde affermare che i debiti contratti da essa ricorrente con l’erario erano certi, scaduti ed esigibili per gli effetti escludenti di cui al D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 38, comma 1, lett. g), si era dovuto pronunciare sulla pretesa decadenza della deducente dal poterne proporre l’impugnazione, ma in tal modo era incorso nella denunciata violazione del limite interno della propria giurisdizione e nel contempo pure nella violazione del diritto di difesa della medesima, nonché nel difetto di giurisdizione e denegata giustizia, avendo il legislatore assegnato agli organi della giustizia tributaria la giurisdizione esclusiva in materia.

Sotto la seconda angolazione si rileva che il Consiglio di Stato, onde pervenire all’affermazione qui contestata, aveva dovuto prendere le distanze dalle conclusioni enunciate dall’Agenzia delle Entrate all’esito della disposta attività di verifica, attestanti segnatamente che le partite iscritte a ruolo a debito della ricorrente erano state sospese in via amministrativa e, dunque, non potevano perciò ritenersi scadute, ed aveva in tal modo travalicato il limite esterno della propria giurisdizione esercitando la funzione esecutiva propria dell’amministrazione con conseguente insanabile vizio della sentenza impugnata.

4. Tutti i sopradetti motivi sono esaminabili congiuntamente in quanto soggetti ad una comune declaratoria inammissibilità.

E’ bene a questo riguardo fissare inizialmente le coordinate di principio dell’odierno giudizio, anche per evitare di alimentare facili suggestioni indotte dalla convinzione che il controllo di giurisdizione che l’ordinamento processuale affida alle SS.UU. di questa Corte sulle sentenze dei giudici speciali, in vista di un concetto “dinamico” di giurisdizione o, se si vuole, di una concezione della tutela giurisdizionale nel senso più ampio accordato dal diritto unionale, possa estendersi ben oltre i limiti indicati con chiarezza dal legislatore costituente. Non è allora inopportuno ricordare che la Corte Costituzionale, nel rigettare con sentenza 6/2018 la questione di legittimità costituzionale a tale riguardo sollevata dalle SS.UU. di questa Corte con ordinanza 6891/2016, ha tra l’altro affermato che il controllo di giurisdizione previsto dall’art. 111 Cost., comma 8, “attinge il suo significato e il suo valore dalla contrapposizione con il precedente comma 7, che prevede il generale ricorso in cassazione per violazione di legge contro le sentenze degli altri giudici, contrapposizione evidenziata dalla specificazione che il ricorso avverso le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti è ammesso per i “soli” motivi inerenti alla giurisdizione”. Deve di conseguenza “ritenersi inammissibile ogni interpretazione di tali motivi che, sconfinando dal loro ambito tradizionale, comporti una più o meno completa assimilazione dei due tipi di ricorso”. “L'”eccesso di potere giudiziario”, denunziabile con il ricorso in cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, come è sempre stato inteso, sia prima che dopo l’avvento della Costituzione, va riferito, dunque, alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione, e cioè quando il Consiglio di Stato o la Corte dei Conti affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o all’amministrazione (cosiddetta invasione o sconfinamento), ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non può formare oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale (cosiddetto arretramento); nonché a quelle di difetto relativo di giurisdizione, quando il giudice amministrativo o contabile affermi la propria giurisdizione su materia attribuita ad altra giurisdizione o, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici”.

Queste conclusioni che rispecchiano peraltro affermazioni largamente reiterate nel tempo – riscuotono il placet pressoché indiscusso della giurisprudenza successiva di questa Corte (in motivazione Cass., Sez. U., 15/09/2020, n. 19175; Cass., Sez. U., 14/01/2020, n. 413; Cass., Sez. U., 25/03/2019, n. 8311), resa, infatti, attenta a rimarcare che il controllo che la Costituzione attribuisce alla Corte di Cassazione in sede di impugnazione delle decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti, è circoscritto alle sole questioni inerenti alla giurisdizione, cioè al controllo dell’osservanza delle norme di diritto che disciplinano i limiti esterni della giurisdizione stessa, ovvero all’esistenza di vizi che attengono all’essenza stessa della funzione giurisdizionale, senza estendersi al modo del suo esercizio, con la conseguenza che con il ricorso per cassazione avverso le decisioni del giudice amministrativo o del giudice contabile non possono essere dedotti altri eventuali errori, in iudicando o in procedendo (così in motivazione Cass., Sez. U., 15/09/2020, n. 19168; Cass., Sez. U., 10/05/2019, n. 12586; Cass., Sez. U., 31/10/2018, n. 27753). In particolare si è precisato, intendendo in tal modo sottolineare che diversamente risulterebbe obliterata ogni distinzione tra limiti interni ed esterni della giurisdizione ed il sindacato di giurisdizione verrebbe di fatto ad avere una latitudine non dissimile da quella che ha sui provvedimenti del giudice ordinario (Cass., Sez. U., 14/11/2018, n. 29285), che “il controllo del limite esterno della giurisdizione – che l’art. 111 Cost., comma 8, affida alla Corte di cassazione – non include il sindacato sulle scelte ermeneutiche del giudice amministrativo, suscettibili di comportare errori “in iudicando” o “in procedendo”, senza che rilevi la gravità o intensità del presunto errore di interpretazione, il quale rimane confinato entro i limiti interni della giurisdizione amministrativa, considerato che l’interpretazione delle norme costituisce il “proprium” distintivo dell’attività giurisdizionale” (Cass., Sez. U., 4/12/2020, n. 27770).

5. Questi pochi rilievi smentiscono alla radice i contrari convincimenti esplicati dalla società ricorrente nei motivi che ne occupano.

6. Nessun seguito può invero trovare la doglianza che prende corpo nel primo di essi, trattandosi di un vizio processuale che, afferendo all’applicazione delle norme che disciplinano l’introduzione del ricorso avanti al giudice amministrativo, implica, per definizione, un accertamento interno a quel processo, che, indipendentemente dal suo esito – o, di più, dalla sua omissione, come qui paventa la ricorrente – compete esclusivamente al giudice amministrativo avanti al quale quel processo si celebra, considerato che l’interpretazione e la loro applicazione delle norme costituisce il “proprium” distintivo dell’attività giurisdizionale, con conseguente indeducibilità di esso sotto il profilo dell’eccesso di giurisdizione giustificativo secondo la ricordata interpretazione di costituzionalità del sindacato affidato a questa Corte ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 8.

7. Sorte analoga condividono anche le doglianze che trovano espressione nel secondo motivo di ricorso, sebbene all’apparenza non prive di maggior suggestione laddove evocano l’eccesso di giurisdizione in rapporto, da un lato, all’attribuzione del contenzioso tributario alla giurisdizione esclusiva delle Commissioni tributarie e, dall’altro, alla riserva di attività in favore della Pubblica Amministrazione.

8. Pur osservandosi in linea generale che la violazione dei limiti della cognizione incidentale consentita al giudice amministrativo dall’art. 8 cod. proc. amm. non configura eccesso di giurisdizione, ma solo un error in procedendo consumato dal giudice amministrativo all’interno della sua giurisdizione, sicché esso si sottrae al sindacato di questa Corte (Cass. Sez. U., 13/04/2016, n. 7292), non è superfluo notare, riguardo alla prima doglianza, che essa non è certo riconducibile all’analitica ricognizione che il giudice amministrativo, onde dar conto della divisata definitività delle violazioni fiscali ascritte nella specie alla ricorrente, conduce in ordine ai presupposti che nel nostro ordinamento della giustizia tributaria rendono definitiva una pretesa tributaria; e ciò perché nell’economia complessiva del ragionamento decisorio sviluppato dalla sentenza impugnata questo passaggio motivazionale ha solo una valenza argomentativa e direttamente rafforzativa dell’assunto enunciato, respingendo il gravame, sicché esso consacra al più un’opzione espositiva unicamente rilevante sul piano dell’autonomia decisionale – appunto potendo costituire, al più, un error in procedendo interno a quella giurisdizione – che il legislatore conferisce a ciascun ordinamento e come tale del tutto priva di implicazioni sotto il profilo qui denunciato. Ne’, peraltro, porta ad orientarsi diversamente il fatto che la sentenza impugnata registri la definitività dei considerati titoli di debito alla luce della loro mancata impugnazione o, più esattamente, perché l’impugnazione non ne era stata provata, poiché nel far ciò essa non travalica i limiti delle proprie attribuzioni, non si sostituisce evidentemente al giudice tributario, ma si limita solo a prendere atto di un incontestato dato di fatto ovvero che il debito tributario ostativo alla partecipazione della ricorrente alla procedura di affidamento non era più sindacabile ed aveva perciò assunto il carattere della definitività.

9. Quanto alla seconda, la doglianza, laddove si lamenta che il decidente avrebbe disatteso gli enunciati dell’Amministrazione secondo cui il debito tributario, per esserne stata sospesa la riscossione, non si sarebbe potuto considerare perciò definitivo, ritenendo al contrario che, in difetto di impugnazione in giudizio ed incidendo la sospensione disposta in via amministrative solo sull’esecuzione della pretesa, ma non sulla certezza, sulla scadenza e sull’esigibilità, per ciò solo il credito era divenuto intangibile, censura propriamente quello che è solo l’espressione di un giudizio di valore formulato dal decidente e di più la scelta che il decidente ha compiuto tre le diverse opzioni ermeneutiche che gli si offrivano di fronte all’operato della amministrazione – ed è appena il caso di osservare che proprio per non aver sindacato l’operato dell’amministrazione si è ritenuto in altra occasione la decisione viziata per difetto di giurisdizione (Cass., Sez. U., 29/03/2017, n. 8117) – sicché nello sconfessarne le conclusioni non è minimamente incorso nel denunciato “sconfinamento”, ma ha solo esercitato le prerogative sottese all’autonomia decisionale accordatagli dall’ordinamento.

10. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.

11. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da susseguente dispositivo.

Ove dovuto sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

PQM

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in favore di Hospital Service s.r.l. in Euro 7200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge ed in favore dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Università Della Campania *****, in Euro 6200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezioni Unite Civili, il 9 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2022

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472