Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.5241 del 17/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27020-2016 proposto da:

C.F., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati ANDREA BORDONE, FERDINANDO PERONE, PAOLO PERUCCO;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI CADEGLIANO VICONAGO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ALESSANDRIA 130, presso lo studio dell’avvocato MARIA BEATRICE ZAMMIT, rappresentato e difeso dall’avvocato RITA BERNASCONI;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 633/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 11/07/2016 R.G.N. 1423/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/11/2021 dal Consigliere Dott. MAROTTA CATERINA;

il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO RITA visto il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Milano confermava la pronuncia del Tribunale di Varese che aveva respinto la domanda proposta da C.F., dipendente del Comune di Cadegliano Viconago con inquadramento in cat. D, c.c.n.l. Enti locali, assegnato al servizio di Polizia locale sino al maggio del 2011, intesa ad ottenere la declaratoria di illegittimità del provvedimento di cui alla Delib. di Giunta 1 giugno 2011, n. 38, con cui era stato collocato in disponibilità ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 33.

2. Il provvedimento in questione era stato adottato perché il C. aveva perso la qualifica di agente di pubblica sicurezza, ritenendo l’Ente che il predetto non potesse rimanere assegnato al servizio di polizia locale stante l’impossibilità di garantire tutti i compiti della L. n. 65 del 1986, artt. 3 e 5 (legge quadro dell’ordinamento della polizia municipale).

3. Rilevava la Corte territoriale che, al momento dei fatti per cui è causa, il C. era l’unico soggetto impiegato al servizio di polizia locale.

Evidenziava che la pronuncia del Consiglio di Stato n. 3711 del 10 luglio 2013, secondo cui lo status di agente di pubblica sicurezza costituisce una prerogativa accessoria ed eventuale rispetto alle funzioni di servizio dell’agente di polizia municipale, era circoscritta al contesto del Comune di Genova cui si riferiva la vicenda esaminata.

Nel diverso contesto di un comune di modeste dimensioni come quello di Cadegliano Viconago – proseguiva la Corte territoriale – la perdita della qualifica di agente di pubblica sicurezza da parte dell’unico dipendente addetto al servizio di polizia locale non poteva che comportare l’applicabilità della procedura di messa in disponibilità di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 33, a tal fine rilevando il fatto oggettivo del verificarsi di una eccedenza di personale in relazione alle concrete “esigenze funzionali” del Comune: mantenere il C. in servizio avrebbe comportato per l’Ente o la rinuncia a garantire il servizio di pubblica sicurezza o la necessità di bandire un concorso per l’assunzione di una nuova unità, con ulteriore esborso cui tale amministrazione non poteva essere costretta.

Evidenziava, ancora, la Corte d’appello che su complessive 9 posizioni lavorative previste in organico nessuna era vacante e che le due sole posizioni di categoria D erano coperte.

Da ultimo precisava che le considerazioni di carattere disciplinare contenute nella Delib. 1 giugno 2011, n. 38, non avevano in alcun modo inciso sull’iter logico che aveva condotto a collocare il dipendente in disponibilità.

4. Per la cassazione della sentenza C.F. ha proposto ricorso sulla base di un motivo.

5. Il Comune di Cadegliano Viconago ha depositato atto di costituzione ai fini della discussione orale.

6. Il Collegio ha proceduto in Camera di Consiglio ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, convertito con L. n. 176 del 2020, in mancanza di richiesta di discussione orale.

7. Il Procuratore generale ha formulato le proprie motivate conclusioni, ritualmente comunicate alle parti, insistendo per il rigetto del ricorso.

8. Il ricorrente ha depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c..

Censura la sentenza impugnata perché sarebbe fondata su un fatto e una prova non dedotti né proposti e cioè che il profilo di agente di polizia locale, per come regolato nell’organigramma del Comune convenuto, contemplasse anche la qualità di agente di pubblica sicurezza.

Sostiene che la Corte d’appello, pur condividendo la ricostruzione normativa secondo la quale lo status di agente di pubblica sicurezza, per come regolato dall’organigramma del Comune convenuto, costituiva una prerogativa non necessaria, ma accessoria ed eventuale rispetto alle funzioni di agente di polizia locale, ha considerato decisiva non la circostanza che il C. fosse l’unico agente di polizia locale in servizio presso il Comune di Cadegliano Viconago, bensì la (supposta) circostanza oggettiva che l’organigramma vigente presso il medesimo Ente locale prevedesse che quel profilo riassumesse in sé anche requisiti di agente di pubblica sicurezza.

Al contrario – secondo il ricorrente – al momento del collocamento in disponibilità non gli erano stati attribuiti compiti di pubblica sicurezza e che tale dato era pacifico tra le parti.

2. Il motivo non è fondato.

La prospettazione di cui al ricorso travisa il fulcro argomentativo del giudice di appello, che ha rapportato le funzioni ausiliarie di pubblica sicurezza (previste dalla L. n. 65 del 1986, artt. 3 e 5) alle dimensioni del Comune di Cadegliano Viconago ed ha evidenziato che tali funzioni, necessariamente riservate all’unico agente operante alle dipendenze del suddetto Comune, assumono importanza dirimente al fine di valutare le esigenze funzionali che giustificano il mantenimento del posto.

Peraltro, come correttamente affermato dai Giudici di appello, i compiti di pubblica sicurezza derivano dalla legge (L. quadro 7 marzo 1986, n. 65, artt. 3 e 5), senza necessità di esplicita assegnazione.

Come affermato da questa Corte di legittimità (v. Cass. n. 31388/2019), la caratterizzazione di ausiliarietà delle funzioni di pubblica sicurezza non si riferisce alla figura del singolo agente di polizia municipale, ma è legata in via precipua alla funzione in senso generale (v. anche Cons. Stato, IV, 30 settembre 2002, n. 4982).

E’ stato, in particolare, ricordato che la legge quadro sull’ordinamento della polizia municipale (L. 7 marzo 1986, n. 65), all’art. 3 (Compiti degli addetti al servizio di polizia municipale), stabilisce che: “Gli addetti al servizio di polizia municipale esercitano nel territorio di competenza le funzioni istituzionali previste dalla presente legge e collaborano, nell’ambito delle proprie attribuzioni, con le Forze di polizia dello Stato, previa disposizione del sindaco, quando ne venga fatta, per specifiche operazioni, motivata richiesta dalle competenti autorità” e, all’art. 5 (Funzioni di polizia giudiziaria, di polizia stradale, di pubblica sicurezza), precisa, al comma 1, che: “Il personale che svolge servizio di polizia municipale, nell’ambito territoriale dell’ente di appartenenza e nei limiti delle proprie attribuzioni, esercita anche: a) funzioni di polizia giudiziaria, rivestendo a tal fine la qualità di agente di polizia giudiziaria, riferita agli operatori, o di ufficiale di polizia giudiziaria, riferita ai responsabili del servizio o del Corpo e agli addetti al coordinamento e al controllo, ai sensi dell’art. 221 c.p.p., comma 3 (il riferimento deve intendersi fatto all’art. 57 c.p.p., nuovo codice); b) servizio di polizia stradale, ai sensi del testo unico delle norme sulla circolazione stradale approvato con D.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 137 (si veda, ora, l’art. 12 C.d.S. approvato con D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285); c) funzioni ausiliarie di pubblica sicurezza ai sensi dell’art. 3 della presente legge” (si veda anche la L. 7 aprile 2014, n. 56, art. 1, comma 113).

La qualifica di addetto alla pubblica sicurezza non e’, poi, acquisita automaticamente, essendo invece necessario uno specifico provvedimento formale da parte del Prefetto, capo della pubblica sicurezza nel territorio provinciale; la citata L. n. 65 del 1986, art. 5, comma 2, prevede, infatti, che: “Il prefetto conferisce al suddetto personale, previa comunicazione del sindaco, la qualità di agente di pubblica sicurezza, dopo aver accertato il possesso dei seguenti requisiti: a) godimento dei diritti civili e politici; b) non aver subito condanna a pena detentiva per delitto non colposo o non essere stato sottoposto a misura di prevenzione; c) non essere stato espulso dalle Forze armate o dai Corpi militarmente organizzati o destituito dai pubblici uffici”.

La perdita di tale qualità può essere dichiarata solo dallo stesso prefetto, sentito il sindaco, “qualora accerti il venir meno di alcuno dei suddetti requisiti” (art. 5, comma 3).

Il complessivo quadro normativo sullo svolgimento di tali funzioni di pubblica sicurezza e l’espressa previsione delle stesse in aggiunta ai compiti primari escludono che un intervento di pubblica sicurezza sia legittimo solo previa motivata richiesta delle forze di Polizia dipendenti dallo Stato o comunque dei soggetti competenti.

Fermo restando per l’attività ausiliaria il limite costituito dalla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza (si veda Corte Cost. n. 35 del 2011) e il corrispondente obbligo per l’agente di polizia locale di attenersi, nel compimento delle operazioni di pubblica sicurezza a lui demandate, alle specifiche direttive degli organi competenti, nondimeno grava sullo stesso, quale addetto alla pubblica sicurezza, un generale dovere di vigilanza nel mantenimento dell’ordine pubblico e nella tutela delle persone e dei beni.

Già a partire dalla sentenza n. 77/1987 la Corte costituzionale ha definito la “sicurezza pubblica” come la “funzione inerente alla prevenzione dei reati o al mantenimento dell’ordine pubblico”; tale definizione è stata, poi, ripresa nella successive sentenze n. 218/1988, n. 740/1988 e n. 162/1990 ed ancora nella sentenza n. 115/1995, in cui è stato precisato che la polizia di sicurezza ricomprende “le misure preventive e repressive dirette al mantenimento dell’ordine pubblico, da intendersi quale complesso dei beni giuridici fondamentali o degli interessi pubblici primari sui quali si fonda l’ordinata convivenza civile dei consociati”.

Il dovere di vigilare sull’ordine pubblico e sulla tutela delle persone e dei beni è un dovere generale (non connesso a specifiche operazioni di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza) sotteso al ruolo dell’addetto al servizio di polizia municipale come delineato dalla L. 7 marzo 1986, n. 65, art. 3 e art. 5, lett. c).

Si vedano anche il R.D. 31 agosto 1907, n. 690, art. 34, secondo cui: “Gli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza vegliano al mantenimento dell’ordine pubblico, all’incolumità e alla tutela delle persone e delle proprietà, in genere alla prevenzione dei reati, raccolgono le prove di questi e procedono alla scoperta, ed in ordine alle disposizioni della legge, all’arresto dei delinquenti; curano l’osservanza delle leggi e dei regolamenti generali e speciali dello Stato, delle province e dei comuni, come pure delle ordinanze delle pubbliche autorità; prestano soccorso in casi di pubblici e privati infortuni” nonché l’analoga disposizione di cui al testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 1 e il Regolamento per l’esecuzione del T.U. approvato con R.D. 6 maggio 1940, n. 635, artt. 1-7.

In altre parole, i doveri di vigilanza con riguardo al mantenimento dell’ordine pubblico e alla tutela e incolumità delle persone e dei beni (e, più in generale, alla prevenzione dei reati) prescindono sia da specifiche e motivate richieste (delle forze di Polizia dipendenti dallo Stato o comunque di altri soggetti competenti) sia da esplicita loro attribuzione.

Nello specifico, peraltro, la Corte territoriale ha congruamente valorizzato la circostanza che il C. era l’unico agente di polizia Municipale e che l’avvenuta perdita della qualifica di agente di pubblica sicurezza aveva reso la sua prestazione non più consona alle esigenze funzionali del Comune (il quale, per garantire il suddetto servizio ausiliario, connaturato – come detto – al ruolo di agente di polizia municipale e da questo non separabile, avrebbe dovuto procedere all’assunzione di altra unità).

3. Da tanto consegue che il ricorso deve essere rigettato.

4. Nulla va disposto in ordine alle spese processuali, non avendo il Comune intimato svolto attività difensiva ulteriore rispetto al mero atto di costituzione ai fini della discussione orale.

5. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello prescritto per il ricorso, ove dovuto a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 10 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2022

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