Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.5261 del 17/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28850-2020 proposto da:

D.L.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PILO ALBERTELLI 1, presso lo studio dell’avvocato LUCIA CAMPOREALE, rappresentata e difesa dall’avvocato SALVATORE STARA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza n. 1435/2020 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, depositata il 22/01/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 03/12/2021 dal Consigliere ANTONIO SCARPA.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

D.L.M. ha proposto ricorso per la revocazione dell’ordinanza 22/01/2020, n. 1435/2020 della Corte di cassazione.

Il Ministero della Giustizia ha notificato controricorso.

Su proposta del relatore, ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c., comma 4, e dell’art. 380-bis c.p.c., commi 1 e 2, che ravvisava l’inammissibilità del ricorso, il presidente fissava con decreto l’adunanza della Corte perché la controversia venisse trattata in camera di consiglio nell’osservanza delle citate disposizioni.

L’ordinanza 22/01/2020, n. 1435/2020 rigettò il ricorso di D.L.M. proposto contro il decreto della Corte d’appello di Cagliari del 29 marzo 2018, che aveva dichiarato inammissibile per tardività l’opposizione ai sensi della L. n. 89 del 2001, ex art. 5 ter, della medesima D.L..

Il primo motivo del ricorso per revocazione lamenta la “carenza di pronuncia ex art. 360 c.p.c., n. 4, sui reali motivi di ricorso e delle difese in atti” e l’errore di fatto sotto vari profili”. La censura è proposta trascrivendo la parte (“ALFA”) dell’ordinanza revocanda e poi il primo motivo del ricorso per cassazione (“BETA”), sostenendo che l’ordinanza n. 1435/2020 ha “mancato di pronunciare sulla motivata e dedotta inesistenza giuridica del decreto”, non potendosi dichiarare inammissibile per tardività l’opposizione avverso un provvedimento inesistente.

Il secondo motivo del ricorso per revocazione lamenta la “carenza di pronuncia ex art. 360 c.p.c., n. 4, sui reali motivi di ricorso e delle difese in atti” e l'”errore di fatto sotto vari profili”. La censura è proposta trascrivendo la parte (“ALFA”) dell’ordinanza revocanda e poi il secondo motivo del ricorso per cassazione (“BETA”). Si lamenta la mancata pronuncia sulla natura ordinaria della revocazione ex art. 391 bis c.p.c.. Va disattesa l’eccezione di tardività del ricorso sollevata dal controricorrente Ministero. Il ricorso è stato proposto con atto notificato il 26 ottobre 2020 avverso ordinanza pubblicata il 22 gennaio 2020, e dunque entro il termine di sei mesi stabilito dall’art. 391-bis c.p.c., comma 1, operando dal 9 marzo 2020 all’11 maggio 2020 la sospensione del decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili alla stregua del D.L. n. 18 del 2020, art. 83, comma 2, poi modificato dal D.L. n. 23 del 2020 e convertito dalla L. n. 40 del 2020.

Il ricorso per revocazione di D.L.M. non contiene l’indicazione specifica dei motivi della revocazione, prescritta a pena di inammissibilità dall’art. 398 c.p.c., comma 2, limitandosi nella riproposizione dei motivi dell’originario ricorso per cassazione per inferirne che essi non siano stati correttamente decisi in diritto.

Va piuttosto riaffermato che l’impugnazione per revocazione delle decisioni della Corte di cassazione è ammessa nell’ipotesi di errore compiuto nella lettura degli atti interni al giudizio di legittimità, errore che presuppone l’esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti di causa; pertanto, è esperibile, ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c. e dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, la revocazione per l’errore di fatto in cui sia incorso il giudice di legittimità che non abbia deciso su uno o più motivi di ricorso, ma deve escludersi il vizio revocatorio tutte volte che la pronunzia sul motivo sia effettivamente intervenuta, anche se, come assume la ricorrente, con motivazione che non abbia preso specificamente in esame alcune delle argomentazioni svolte come motivi di censura del punto, perché in tal caso è dedotto non già un errore di fatto (quale svista percettiva immediatamente percepibile), bensì un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso e, quindi, un errore di giudizio (Cass. Sez. U, 27/11/2019, n. 31032).

I motivi di ricorso di D.L.M. sono perciò palesemente estranei al parametro dell’errore revocatorio di fatto, rilevante ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c., in quanto con esso vengono dedotti errori di giudizio concernenti i motivi di ricorso esaminati dalla ordinanza della quale è chiesta la revocazione (Cass. 22/09/2014, n. 19926; Cass. 09/12/2013, n. 27451; Cass. Sez. Un. 28/05/2013, n. 13181; Cass. 12/12/2012, n. 22868; Cass. 18/01/2012, n. 714; Cass. Sez. Un. 30/10/2008, n. 26022).

Va poi da sé che, avendo la Corte d’appello di Cagliari dichiarato inammissibile per tardività l’opposizione ai sensi della L. n. 89 del 2001, ex art. 5 ter, della medesima D.L., le considerazioni in seguito svolte nel decreto ricorso per cassazione, circa la intempestività della domanda di equa riparazione ai sensi della stessa L. n. 89 del 2001, ex art. 4, dovevano intendersi svolte “ad abundantiam”, sicché neppure generavano interesse all’impugnazione (Cass. Sez. U, 20/02/2007), dal che emerge la carenza anche di astratta decisività degli errori asseritamente revocatori denunciati con riguardo a censure estranee alla pregiudiziale declaratoria di inammissibilità.

Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile, regolandosi le spese processuali secondo soccombenza nell’ammontare indicato in dispositivo.

Essendo il procedimento in esame esente dal pagamento del contributo unificato, non sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, – da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 3 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2022

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