LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI MARZIO Mauro – Presidente –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3565/2021 R.G. proposto da:
NEMES S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t.
G.L., rappresentata e difesa dagli Avv. Stefano Salvetti e Stefano Di Meo, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via G. Pisanelli, n. 2;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI BIELLA, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. Paolo Basso, con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 2847/20, depositata il 5 novembre 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 3 febbraio 2022 dal Consigliere Dott. Mercolino Guido.
RILEVATO
che la Nemes S.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, per quattro motivi, illustrati anche con memoria, avverso la sentenza del 5 novembre 2020, con cui la Corte d’appello di Milano ha accolto il gravame interposto dal Comune di Biella avverso la sentenza emessa il 7 gennaio 2019 dal Tribunale di Monza, rigettando la domanda proposta dalla ricorrente, avente ad oggetto la condanna al pagamento della somma di Euro 26.308,80, a titolo di saldo del corrispettivo dovuto dal Comune per l’esecuzione di lavori commissionati con contratto del 23 luglio 2010, ed in subordine dalla Fondazione Museo del Territorio Biellese in virtù di delegazione passiva senza liberazione del delegante, o, invia ancor più gradata, a titolo d’indennizzo per l’ingiustificato arricchimento;
che il Comune di Biella ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO
che con il secondo motivo d’impugnazione, avente carattere logicamente prioritario rispetto agli altri, la ricorrente lamenta la violazione e/o la falsa applicazione del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 192, censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto che, ai fini della validità del contratto, essa ricorrente dovesse essere a conoscenza della determinazione del responsabile del procedimento di spesa, configurabile come atto interno dell’Amministrazione, la cui prova spetta a quest’ultima, senza tener conto dell’avvenuta stipulazione del contratto in forma scritta e della contrarietà alla buona fede del comportamento tenuto dal Comune, che aveva omesso d’informarla al riguardo;
che il motivo è infondato;
che il D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 191, comma 1, nel consentire l’effettuazione di spese da parte degli enti locali soltanto in presenza di un impegno contabile registrato sul competente programma del bilancio di previsione e dell’attestazione della copertura finanziaria, prevede infatti espressamente, nel caso di spese riguardanti somministrazioni, forniture, appalti e prestazioni professionali, l’obbligo del responsabile del procedimento di spesa di comunicare al destinatario le relative informazioni;
che tale obbligo di comunicazione si pone in diretta correlazione con le conseguenze previste dal medesimo articolo, comma 4, ai sensi del quale, in mancanza dell’impegno contabile e della copertura finanziaria, il rapporto obbligatorio intercorre, ai fini della controprestazione e per la parte non riconoscibile ai sensi dell’art. 194, comma 1, lett. e), tra il privato fornitore e l’amministratore, funzionario o dipendente che hanno consentito la fornitura;
che tale disposizione, nella parte in cui esclude implicitamente l’idoneità del contratto a spiegare efficacia vincolante nei confronti dell’ente che lo ha stipulato, non ha introdotto alcuna innovazione rispetto alla disciplina previ-gente, la quale, a partire dal R.D. 3 marzo 1934, n. 383, artt. 284 e s.s. (seguiti dal D.L. 28 aprile 1989, n. 66, art. 23, comma 3, convertito con modificazioni dalla L. 24 aprile 1989, n. 144, poi sostituito dal D.Lgs. 25 febbraio 1995, n. 77, art. 35, comma 4, a sua volta modificato dal D.Lgs. 15 settembre 1997, n. 342, art. 4), è stata costantemente interpretata dalla giurisprudenza di legittimità nel senso che la mancanza dello impegno di spesa e della copertura finanziaria comporta la nullità del contratto (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. Un., 10/06/2005, n. 12195; Cass., Sez. II, 11/06/2018, n. 15050; Cass., Sez. I, 13/06/2018, n. 15410), indipendentemente dall’osservanza della forma scritta, richiesta ad substantiam per la stipulazione, e dalla predetta comunicazione, che ha invece la finalità di rendere edotto l’altro contraente della sussistenza dei requisiti prescritti dalle norme citate, e di consentirgli, in mancanza, di rifiutare la stipulazione;
che l’inderogabilità della disciplina in esame e la rilevanza esterna dalla stessa conferita alla determinazione concernente l’impegno di spesa e la relativa copertura finanziaria, consentendo di escludere, in mancanza della prescritta comunicazione, la configurabilità di un incolpevole affidamento dell’altro contraente in ordine alla validità del contratto, fanno apparire del tutto irrilevante l’eventuale contrarietà alla buona fede del comportamento tenuto dall’Amministrazione, il quale potrebbe d’altronde venire in considerazione esclusivamente ai fini della responsabilità prevista dall’art. 1338 c.c.;
che non merita pertanto censura la sentenza impugnata, nella parte in cui, pur avendo ritenuto osservato il requisito della forma scritta, in virtù dell’avvenuta stipulazione del contratto mediante un unico documento, formatosi progressivamente attraverso lo scambio via telefax della proposta e dell’accettazione, sottoscritte da entrambe le parti, ne ha dichiarato la nullità, a causa della mancanza dell’impegno di spesa e dell’attestazione della copertura finanziaria, eccepita dal Comune fin dal primo grado;
che con il primo motivo la ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 e 346 c.p.c., censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto abbandonata, in quanto non riproposta in sede di gravame, la domanda d’indennizzo per l’ingiustificato arricchimento avanzata in via subordinata, senza considerare che nell’atto di appello e nella comparsa di costituzione entrambe le parti avevano sollecitato il riesame delle questioni di fatto e di diritto sollevate in primo grado, e che essa ricorrente, essendo risultata vittoriosa, non aveva l’onere di proporre appello incidentale per richiamare in discussione le proprie domande o eccezioni non esaminate dalla sentenza di primo grado, in quanto ritenute assorbite;
che il motivo è infondato;
che l’appellato che ha visto accogliere in primo grado la sua domanda principale, pur non avendo l’onere di proporre appello incidentale per riproporre in sede di gravame le domande subordinate non esaminate dal primo giudice in quanto rimaste assorbite, è tenuto, per evitare d’incorrere nella presunzione di rinuncia di cui all’art. 346 c.p.c., a riproporle espressamente, non potendo le stesse rivivere per il solo fatto che quella principale sia stata respinta dal giudice dell’impugnazione (cfr. Cass., Sez. I, 3/07/2020, n. 13721; Cass., Sez. II, 14/04/2015, n. 7457; Cass., Sez. III, 13/04/2007, n. 8854);
che la riproposizione delle predette domande, pur non richiedendo una forma particolare, ma potendo avvenire in qualsiasi veste idonea ad evidenziare la volontà di riaprire la discussione su di esse e sollecitare la relativa decisione, deve aver luogo in modo specifico, non essendo a tal fine sufficiente un generico richiamo alle difese svolte ed alle conclusioni prese davanti al primo giudice (cfr. Cass., Sez. III, 13/11/2020, n. 25840; Cass., Sez. VI, 15/10/2020, n. 22311; Cass., Sez. II, 11/05/2009, n. 10796);
che nella specie, come si evince dalle conclusioni rassegnate dalle parti nei propri scritti difensivi, testualmente riportate nel ricorso, nonché da quelle rassegnate in udienza, trascritte nell’epigrafe della sentenza impugnata, l’appellante e l’appellata si erano limitate ad insistere rispettivamente per il rigetto di tutte le domande proposte dall’attrice e per la conferma della sentenza di primo grado, ribadendo genericamente l’infondatezza in fatto ed in diritto delle contrarie tesi difensive, senza fare alcun cenno specifico alle domande subordinate;
che correttamente, pertanto, la sentenza impugnata ha ritenuto rinunciata la domanda d’indennizzo per l’ingiustificato arricchimento formulata in via subordinata nel giudizio di primo grado, in quanto non riproposta nelle conclusioni rassegnate in sede di gravame;
che è rimasto d’altronde indimostrato il risalto conferito in sede di gravame a circostanze di fatto rilevanti ai fini dell’accoglimento della predetta domanda, dalla cui sottolineatura avrebbe potuto desumersi la volontà di riproporla, avendo la ricorrente omesso di riportare, a corredo delle proprie censure, i passi salienti della comparsa di costituzione in appello, con la conseguenza che il motivo risulta, sotto tale profilo, carente di specificità;
che resta conseguentemente assorbito il quarto motivo d’impugnazione, con cui la ricorrente ha dedotto l’omesso esame di fatti e documenti decisivi per il giudizio, osservando che la sentenza impugnata ha trascurato alcuni elementi di fatto emersi dall’istruttoria, e rilevanti ai fini dell’accertamento dell’ingiustificato arricchimento;
che è infine infondato il terzo motivo, con cui la ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., censurando la sentenza impugnata per aver omesso di pronunciare in ordine alla domanda di accertamento della delegazione passiva intercorsa tra essa ricorrente, il Comune e la Fondazione, anch’essa riproposta da entrambe le parti;
che il tenore delle conclusioni rassegnate dalle parti nel giudizio di appello, così come riportate nell’epigrafe della sentenza impugnata e trascritte nel ricorso, consentendo di escludere l’avvenuta riproposizione della predetta domanda, avanzata anch’essa in via subordinata in primo grado e rimasta assorbita dall’accoglimento di quella principale, impedisce di ritenere sussistente il vizio di omessa pronuncia, non risultando lo stesso configurabile nel caso in cui una domanda debba ritenersi rinunziata o comunque abbandonata, in quanto dalla stessa non sorge l’obbligo del giudice di pronunciarsi nel merito;
che il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
PQM
rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del contro-ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dallo stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 3 febbraio 2022.
Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2022