Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.5312 del 18/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LEONE Margherita Maria – Presidente –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14303-2020 proposto da:

B.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 9, presso lo studio dell’avvocato MARIA STELLA RUSSO, rappresentato e difeso dall’avvocato ANGELICA PATRIGNANI;

– ricorrente –

contro

INPS, – ISTITUTO NAZIONALE della PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale procuratore speciale della Società di Cartolarizzazione dei Crediti INPS, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso lo studio dell’avvocato ANTONINO SGROI, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati CARLA D’ALOISIO, LELIO MARITATO, ANTONIETTA CORETTI, EMANUELE DE ROSE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 285/2019 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 19/11/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 02/12/2021 dal Consigliere Relatore Dott. DANIELA CALAFIORE.

RILEVATO

CHE:

il Tribunale di Macerata, con sentenza n. 137 del 2018 ha rigettato il ricorso proposto dall’avvocato B.D. nei confronti dell’INPS e di Agenzia delle Entrate Riscossioni, teso a far accertare l’illegittimità della propria iscrizione nella Gestione separata di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 26, per l’anno 2009, con conseguente accertamento negativo del debito contributivo, anche per il decorso della prescrizione, il cui pagamento era preteso dall’INPS in relazione all’attività libero-professionale svolta senza che lo stesso professionista, iscritto all’albo professionale, fosse iscritta alla Cassa Nazionale forense;

il Tribunale ha invece accolto il capo del ricorso relativo all’apparato sanzionatorio applicabile, che si è ritenuto essere quello della omissione contributiva di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 116, lett. a);

la Corte d’appello di Ancona adita dall’avvocato B. per ottenere l’integrale accoglimento della domanda, con sentenza n. 285 del 2019, ha rigettato l’appello ed ha, oltre che ritenere sussistente l’obbligo assicurativo predetto, esaminato la questione della prescrizione dei contributi dovuti ed ha ritenuto che il dies a quo della prescrizione decorresse dalla data di presentazione della dichiarazione dei redditi avvenuta il 24 settembre 2010;

dunque, il termine quinquennale era stato efficacemente interrotto a mezzo della notifica dell’avviso dell’INPS in data 3 luglio 2015;

avverso tale pronuncia l’avvocato B. ha proposto ricorso per cassazione deducendo due motivi di censura;

l’INPS ha resistito con controricorso;

Agenzia per le Entrate Riscossione non ha svolto attività difensiva;

la proposta del relatore è stata comunicata unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza non partecipata.

CONSIDERATO

CHE:

con il primo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 1334,1335 e 2935 c.c. nonché della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9, relativamente al decorso della prescrizione, giacché si imputa alla sentenza impugnata di non aver applicato il principio secondo il quale il dies a quo del termine di prescrizione dei contributi previdenziali dovuti alla gestione separata decorre dalla data prevista per il loro pagamento (secondo il R.D.L. n. 1827 del 1935, art. 55 e il D.P.R. 7 dicembre 2001, n. 435, art. 17) e quindi dal 16 giugno 2010, con la conseguenza che la richiesta del 3 luglio 2015 era intempestiva;

con il secondo motivo si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 463 del 1997, art. 1, comma 1, D.P.R. n. 605 del 1973, art. 20 in ordine alla affermata condotta evasiva consistita nel non aver compilato il modulo relativo ai redditi, trattandosi di punto non devoluto al giudizio d’appello che la Corte territoriale ha utilizzato illegittimamente per individuare il dies a quo del termine di prescrizione;

i due motivi sono connessi in quanto sostanzialmente indirizzati ad incrinare la decisione impugnata in punto di decorrenza del termine di prescrizione;

la rilevanza attribuita alla omessa denuncia del reddito da porre a base dell’imponbile contributivo è invero utilizzata come argomento logico per sostenere la tesi della decorrenza del termine di prescrizione solo dalla data di dichiarazione dei redditi, mentre, in difetto di appello sul punto da parte dell’INPS, la qualificazione delle conseguenze sanzionatorie in termini di omissione è ormai coperta dal giudicato interno;

il punto sollevato dal ricorrente in ordine alla corretta individuazione del dies aquo del termine di prescrizione è fondato in considerazione dei principi espressi da Cass. 7762/2021, ma ciò non comporta l’accoglimento del ricorso giacché la sentenza ha comunque reso un dispositivo corretto (art. 384 c.p.c., u.c.);

le questioni proposte sono state affrontate e risolte dalla più recente giurisprudenza di questa Corte di legittimità (da ultimo vd. Cass. n. 35203 del 2021 e le sentenze ivi richiamate) e può dirsi ormai consolidato l’orientamento secondo il quale:

in ordine al dies a quo del termine di prescrizione, va ribadito che la prescrizione dei contributi dovuti alla Gestione separata decorre dal momento in cui scadono i termini per il relativo pagamento e non già dalla data di presentazione della dichiarazione dei redditi ad opera del titolare della posizione assicurativa (così, tra le tante, Cass. nn. 27950 del 2018, 19403 del 2019, 1557 del 2020);

l’obbligazione contributiva nasce infatti in relazione ad un preciso fatto costitutivo, che è la produzione di un certo reddito da parte del soggetto obbligato, mentre la dichiarazione che costui è tenuto a presentare ai fini fiscali, che è mera dichiarazione di scienza, non è presupposto del credito contributivo, così come non lo è rispetto all’obbligazione tributaria;

va ribadito che, pur sorgendo il debito contributivo sulla base della produzione di un certo reddito, la decorrenza del termine di prescrizione dell’obbligazione dipende dall’ulteriore momento in cui scadono i termini previsti per il suo pagamento: lo si desume dal R.D.L. n. 1827 del 1935, art. 55, secondo il quale i contributi obbligatori si prescrivono “dal giorno in cui i singoli contributi dovevano essere versati”;

– viene quindi in rilievo il D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 18, comma 4, che ha previsto che i versamenti a saldo e in acconto dei contributi dovuti agli enti previdenziali da titolari di posizione assicurativa in una delle gestioni amministrate da enti previdenziali sono effettuati entro gli stessi termini previsti per il versamento delle somme dovute in base alla dichiarazione dei redditi”;

– assume rilievo, ai fini della decorrenza della prescrizione in questione, anche il differimento dei termini stessi previsto dalla disposizione di cui al D.P.C.M. 10 giugno 2010, art. 1, comma 1, in relazione ai contributi dovuti per l’anno 2009 dai titolari di posizione assicurativa che si trovino nelle condizioni da detta disposizione stabilite” (Cass. n. 10273 del 2021);

– il D.P.C.M. 10 giugno 2010 cit., art. 1, comma 1, emanato giusta la previsione generale del D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 18, ha previsto, per quanto qui rileva, che “i contribuenti tenuti ai versamenti risultanti dalle dichiarazioni dei redditi (…) entro il 16 giugno 2010, che esercitano attività economiche per le quali sono stati elaborati gli studi di settore di cui al D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62-bis convertito, con modificazioni, dalla L. 29 ottobre 1993, n. 427, e che dichiarano ricavi o compensi di ammontare non superiore al limite stabilito per ciascuno studio di settore dal relativo decreto di approvazione del Ministro dell’economia e delle finanze”, debbano effettuare i versamenti “entro il 6 luglio 2010, senza alcuna maggiorazione” (lett. a) e “dal 7 luglio 2010 al 5 agosto 2010, maggiorando le somme da versare dello 0,40 per cento a titolo di interesse corrispettivo” (lett. b);

la Corte, nel precedente citato (v. in motivazione, Cass. n.10273 cit.) ha chiarito, altresì, che il differimento del termine di pagamento concerne tutti i “contribuenti (…) che esercitano attività economiche per le quali s(iano) stati elaborati gli studi di settore e non soltanto coloro che, in concreto, alle risultanze di tali studi (siano) fiscalmente assoggettati per non aver scelto un diverso regime d’imposizione (…)”;

ai D.P.C.M., secondo l’orientamento consolidato, deve riconoscersi natura regolamentare e quindi di fonte normativa quando hanno funzione attuativi o integrativa della legge (v. Cass. n. 73 del 2014; n. 16586 del 2010; n. 20898 del 2007; n. 5360 del 2004; n. 23674 del 2004; n. 11949 del 2004; n. 14210 del 2002; n. 1972 del 2000), come nell’ipotesi in esame (il D.P.C.M. 10 giugno 2010 è stato infatti emanato in attuazione della delega di cui al D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 12, comma 5);

dai principi espressi si evince che, essendo il termine di pagamento del saldo dei contributi dovuti per l’anno 2009 da individuarsi nel 6 luglio 2010, deve ritenersi tempestiva la notifica della richiesta di pagamento del 3 luglio 2015 al fine di interrompere il termine prescrizionale, per cui il ricorso va rigettato;

le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 700,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfetarie nella misura del 15/0 e spese accessorie di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 2 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2022

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