LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LEONE Margherita Maria – Presidente –
Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –
Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –
Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16289-2020 proposto da:
INPS, – ISTITUTO NAZIONALE della PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso lo studio dell’avvocato ANTONIETTA CORETTI, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati EMANUELE DE ROSE, LELIO MARITATO, ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO;
– ricorrente –
contro
N.A., domiciliata presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentata e difesa dall’avvocato ROBERTO MARTELLI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 128/2020 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 28/02/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 02/12/2021 dal Consigliere Relatore Dott. DANIELA CALAFIORE.
RILEVATO
CHE:
la Corte d’appello di Torino, a conferma della sentenza del Tribunale della stessa città, ha dichiarato non sussistente in capo ad N.A., avvocato iscritto all’albo professionale ma non alla Cassa di Previdenza, l’obbligo di versare alla gestione separata i contributi derivanti dallo svolgimento di attività libero professionale relativi all’anno 2010 per essere spirato il termine di prescrizione quinquennale alla data di intimazione di pagamento, notificata dall’Inps al professionista il 9.02.2018;
la Corte territoriale ha accertato, come già aveva fatto il tribunale, il decorso della prescrizione calcolando il dies a quo della stessa al 6 luglio 2011, data in cui il credito contributivo era divenuto esigibile e non potendo ritenersi che la mancata compilazione del quadro RR potesse integrare il dolo di cui all’art. 2941 c.c., n. 8;
la cassazione della sentenza è domandata dall’Inps sulla base di un unico motivo;
N.A.M. ha depositato controricorso e’ stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di Consiglio.
CONSIDERATO
che:
con l’unico motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’istituto ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2935 c.c., della L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 2, commi 26-31; l’istituto ricorrente, richiamando la decisione di questa Corte n. 6677 del 2019 ed altre analoghe, rileva che il giudice avrebbe dovuto comunque ritenere operante la causa sospensiva prevista dall’art. 2941 c.c., n. 8, non avendo il professionista compilato il “Quadro RR” della dichiarazione dei redditi;
il motivo è inammissibile;
in materia previdenziale, la prescrizione dei contributi dovuti alla gestione separata decorre dal momento in cui scadono i termini per il pagamento dei predetti contributi e non dalla data di presentazione della dichiarazione dei redditi ad opera del titolare della posizione assicurativa, in quanto la dichiarazione in questione, quale esternazione di scienza, non costituisce presupposto del credito contributivo” (Cass. n. 27950 del 2018; sez. 6 n. 19403 del 2019; sez. 6 n. 13049 del 2020); quanto alla invocata sospensione del decorso della prescrizione, deve rilevarsi che l’operatività della causa di sospensione della prescrizione, di cui all’art. 2941 c.c., n. 8, “ricorre quando sia posta in essere dal debitore una condotta tale da comportare per il creditore una vera e propria impossibilità di agire, e non una mera difficoltà di accertamento del credito” (v. sul punto Cass. n. 19640 del 2018; n. 21567 del 2014);
in riferimento al caso di specie, la sentenza impugnata ha accertato, in concreto, che la mancata denuncia del reddito non equivaleva, per la discutibilità della sussistenza stessa dell’obbligo, ad un doloso e preordinato occultamento del debito contributivo da corrispondere all’Inps;
tale accertamento in fatto da parte dei giudici di appello non è suscettibile di riesame in sede di legittimità, se non nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come peraltro affermato dalla stessa ordinanza di questa Corte di cassazione n. 6677/19, dovendosi escludere che possa stabilirsi un automatismo, come sembra pretendere l’Istituto, tra la mancata compilazione del quadro RR nella dichiarazione dei redditi e l’occultamento doloso del debito contributivo;
il ricorso e’, in definitiva, inammissibile;
le spese del giudizio di legittimità sono regolate secondo il criterio della soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 700,00 per compensi professionali, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 2 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2022