Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.5360 del 18/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 21351-26352 proposto da:

B.P., e P.M.G., rappresentati e difesi dall’Avv. AUGUSTO ABBRUZZESE ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv. Roberta Rubino in NAPOLI, alla Via SCHIPA 62;

– ricorrenti –

contro

R.A., rappresentata e difesa dall’Avv. Antonio Marco di SOMMA ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. ANTONIO MARCO di SOMMA, al C.so GARIBALDI 54; e da A.C., rappresentato e difeso dall’Avv. PASQUALE LISTA, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in S. MARIA C.V., V.le del CONSIGLIO d’EUROPA 6;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 678/2017 della CORTE d’APPELLO di NAPOLI, depositata il 13/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/11/2021 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

CENNI DEL FATTO Con atto di citazione, notificato in data 28.7.1998, R.A. conveniva in giudizio i coniugi B.P. e P.M.G. deducendo che, dopo la realizzazione del suo fabbricato e dopo che era stato reso comune il muro di confine tra i lotti, i coniugi B.- P. avevano realizzato sul proprio terreno un fabbricato a una distanza di m. 4,75 dal confine, inferiore a quella minima prevista dallo strumento urbanistico vigente, pari a m. 5,00 dal confine e a m. 10,00 tra costruzioni prospicienti. Chiedeva la condanna dei proprietari confinanti all’arretramento del proprio fabbricato entro i predetti limiti.

Si costituivano in giudizio i coniugi B.- P. chiedendo il rigetto della domanda attrice e, in riconvenzionale, l’arretramento del fabbricato R. che, secondo il loro assunto, non rispettava le distanze minime dal confine e tra fabbricati.

Espletati interrogatorio formale di R.A., prova per testi e CTU, con sentenza n. 2544/2010, depositata in data 4.6.2010, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere rigettava la domanda avanzata dalla R.; accoglieva la domanda riconvenzionale spiegata dai convenuti, condannando l’attrice alla demolizione dei tre pilastri realizzati in violazione delle distanze legali, con le relative coperture e al pagamento della somma di Euro 1.500,00, a titolo di risarcimento dei danni; condannava l’attrice al pagamento delle spese di lite e di CTU.

Avverso detta sentenza proponeva appello R.A., la quale chiedeva dichiararsi che la costruzione dei B.- P. violava la distanza dal confine e dal fabbricato della stessa; condannarsi i B.- P. ad arretrare il loro fabbricato posizionandolo a una distanza minima dal confine di m. 5,00 e dalla parete antistante di proprietà R. di m. 10,00, ricalcolando tutte le distanze dalla faccia interna del muro di confine; annullarsi la sentenza impugnata anche per il capo in cui era stata accolta la domanda degli appellati, dichiarando che nessuna parte del fabbricato di essa appellante violasse le distanze dal confine e dalla parete antistante del fabbricato degli appellati.

Si costituivano gli appellati chiedendo il rigetto del gravame e la conferma della sentenza impugnata.

Con comparsa di intervento volontario ex art. 105 c.p.c. si costituiva in giudizio A.C., il quale sosteneva che alla data del 23.11.1998 – di deposito della comparsa di costituzione con la quale i convenuti spiegavano domanda riconvenzionale di abbattimento delle opere e fabbriche a distanza non legale dal confine e dai fabbricati -, la R. non era l’esclusiva proprietaria del fabbricato, in quanto l’intervenuto ( A.C.) era comproprietario dello stesso, unitamente al fratello M., in virtù di successione ereditaria di A.P., marito dell’appellante e padre dell’intervenuto. Allegava di aver presentato denuncia di successione e di aver accettato tacitamente l’eredità paterna per facta concludentia, trovandosi nel possesso dei beni caduti in successione e in particolare del fabbricato oggetto del giudizio. Pertanto, ritenendosi litisconsorte necessario pretermesso nel giudizio di primo grado, chiedeva dichiararsi la nullità della sentenza impugnata.

Con sentenza n. 678/2017, la Corte d’Appello di Napoli accoglieva il primo motivo d’appello e dichiarava che il fabbricato dei B.- P., posto a una distanza dal confine della proprietà dell’appellante di m. 4,64, non rispettava la distanza minima stabilita in m. 5,00 e ne ordinava l’arretramento; dichiarava la nullità ex art. 354 c.p.c. per difetto di integrità del contraddittorio del capo della sentenza in cui si condannava l’attrice alla demolizione dei tre pilastri realizzati in violazione delle distanze legali con le relative coperture e al pagamento in favore dei convenuti della somma di Euro 1.500,00 a titolo di risarcimento danni e, per l’effetto, rimetteva sul punto la causa al primo Giudice; condannava gli appellati al pagamento in favore dell’appellante delle spese del doppio grado di giudizio; compensava tra le altre parti del giudizio le spese del grado.

In particolare, la Corte territoriale rilevava che, nel caso di specie, come emergeva dagli atti e dal P.R.G. del Comune di *****, in vigore all’epoca di realizzazione dei fabbricati, dal regolamento edilizio e dalle N. T.A., era prescritta per la zona C3, in cui ricadeva il fondo di proprietà degli appellati, la distanza minima dai confini di m. 5,00. Ed evidenziava, altresì, che con la scrittura privata, sottoscritta il 4.2.1985, le parti, dopo aver dato atto dell’esistenza di un muro di confine, costruito dal B. interamente sul suolo di sua proprietà, della larghezza di 0,50 m., convenivano di renderlo comune previo pagamento delle indennità; con successiva scrittura del 27.6.1988 le parti avevano convenuto la sopraelevazione del muro di cinta con divisione, in parti uguali, delle spese. Secondo la Corte territoriale ciò che rilevava ai fini dell’individuazione del punto di misurazione del fabbricato dal confine era solo il muro in elevazione, con esclusione delle fondamenta dello stesso, che risultavano essere interrate. Aggiungeva la Corte che assumeva rilevanza la determinazione dell’epoca di realizzazione del fabbricato degli appellati dal momento che, come accertato dal CTU, il fabbricato B.- P. avrebbe rispettato la distanza dall’originario confine solo ove fosse stato realizzato prima del febbraio 1985.

Dalle dichiarazioni testimoniali risultava che il detto fabbricato era stato realizzato in epoca successiva alla convenzione relativa alla comunione del muro di cinta. Si richiamava la sentenza della Suprema Corte n. 26941 del 2016, secondo la quale nel caso di proprietà delimitate da un muro comune, la linea di confine non si identifica con la linea mediana del muro, poiché su di esso e sull’area di relativa incidenza i proprietari confinanti esercitano la contitolarità del rispettivo diritto per l’intera estensione e ampiezza (Cass. n. 3393 del 1988; Cass. n. 340 del 1980), per cui le distanze si misurano rispetto alla facciata del muro prospiciente la cosa da tenere a distanza.

Avverso detta sentenza propongono ricorso per cassazione B.P. e P.M.G. in base a due motivi. Resistono R.A. e A.C. con controricorso. Le parti hanno depositato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano la “Violazione e/o inesatta applicazione degli artt. 878,873,875,1100 e 1350 c.c., del D.M. 1444 del 1968, art. 9 e delle N. T.A. del P.R.G. del Comune di ***** e vizio di motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 “, là dove la Corte d’Appello sarebbe incorsa in errore, statuendo che le distanze si misurano rispetto alla facciata del muro prospiciente la cosa da tenere a distanza; in contrasto con l’art. 1350 c.c. Con la scrittura privata del 4.2.1985 le parti avevano convenuto di rendere comune il muro di cinta interamente costruito sul suolo di proprietà del B. e la comunione era intesa comprensiva del suolo, della fondazione e della parte di muro fuori terra. In sostanza, le parti avevano convenuto di porre in comunione il muro e il suolo; di essere contitolari, cioè, di un diritto reale di godimento paritario sul manufatto e sul suolo. Pertanto non vi sarebbe stata alcuna compravendita né trasferimento della proprietà della porzione di terreno su cui insisteva il muro di cinta; dovendo invece questo farsi ex art. 1350 c.c. espressamente in forma scritta a pena di nullità. Correttamente aveva dunque valutato il Giudice di prime cure, ritenendo che la linea di confine dovesse identificarsi con tutto il muro e il suolo sottostante.

1.1. -Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

1.2. – In primo luogo, poiché, in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost., comma 6, e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, (Cass. n. 22598 del 2018). Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (Cass. n. 22598 del 2018; Cass. n. 8053 del 2014; Cass. n. 2394 del 2017).

1.3. – In secondo luogo, non essendo dedotta la violazione di canoni ermeneutici (artt. 1362 c.c. e ss.), sulla interpretazione della scrittura privata, nessuna indagine deve compiere la Corte sulla interpretazione della scrittura privata del 4.2.1985.

1.4. – Nel caso di specie, sulla scorta della CTU, la Corte d’appello ha accertato che – essendo dedotta solo la violazione di distanze dal confine – il fabbricato B./ P. non rispetta la distanza minima dal confine prevista dalla normativa urbanistica comunale) distanza calcolata rispetto alla faccia esterna del muro (sentenza pagg. 8 e segg.).

La pronuncia, quindi, non merita censura, là dove ha affermato che, ove due fondi siano delimitati da un muro comune, la linea di confine non si identifica con la linea mediana del muro, poiché su di esso e sull’area di relativa incidenza i proprietari confinanti esercitano la contitolarità del rispettivo diritto per l’intera estensione e ampiezza, per cui, ai fini della misurazione della distanza legale, si deve avere riguardo alla facciata del muro prospiciente la cosa da tenere a distanza (Cass. n. 10041 del 2010; conf. Cass. n. 26941 del 2016). Sicché, la comunione del muro tra entrambi i proprietari frontisti (non di proprietà esclusiva degli uni che degli altri), di cui alla scrittura privata del 4.2.1985, comportava che le distanze dal confine andassero prese, per ciascuno dei proprietari, dalla facciata interna del muro (Cass. n. 3393 del 1988; Cass. n. 2479 del 1987), escludendo le fondamenta e considerando solo il muro in elevazione, atteso che il fabbricato B. era risultato esser stato realizzato successivamente sia alla propria costruzione, sia alla stipula della suddetta scrittura privata.

2. – Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano la “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 873,875,878 c.c. e D.M. n. 1444 del 1968 e difetto di motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”, giacché, a prescindere dalla distanza dal confine, il loro edificio era rispettoso delle distanze pubblicistiche di cui al D.M. n. 1444 del 1968. Laddove, nella fattispecie, il CTU aveva rilevato che i due edifici distavano tra loro una misura variabile tra m. 10,14 e 10,26, al netto della realizzazione da parte della R. del porticato con i pilastri, oggetto di separato giudizio in riassunzione.

2.1. – Il motivo e’, in parte, inammissibile, per le ragioni sopra esposte (quanto alla non denunziabilità del vizio di motivazione); per il resto è infondato.

2.2. – Infatti, contrariamente a quanto affermato dai ricorrenti, sono le norme generali sulle distanze di cui all’art. 873 c.c. ad essere derogabili mediante convenzione tra privati e non le norme degli strumenti urbanistici locali che impongono di mantenere le distanze fra fabbricati o di questi dai confini. Invero, le prescrizioni dei piani regolatori generali e degli annessi regolamenti comunali edilizi che disciplinano le distanze nelle costruzioni, anche con riguardo ai confini, sono integrative del codice civile ed hanno, pertanto, valore di norme giuridiche, anche se di natura secondaria, sicché (come nella specie), in virtù del principio iura novit curia, il Giudice deve acquisirne diretta conoscenza d’ufficio, quando la violazione di queste sia dedotta dalla parte (Cass. n. 14446 del 2010; Cass. 2661 del 2020).

Come già esposto, la sentenza impugnata (pagina 8) ha accertato che, in base a quanto emergeva dal PRG, dal regolamento edilizio e dalle NTA, era prescritta per la zona C3, in cui ricadeva il fondo di proprietà degli appellati, la distanza minima dai confini di m. 5,00; e tale distacco dal confine non era mutato anche dopo l’adozione della Variante Generale al PRG, adottata con Delib. c.c. 12 aprile 1998, n. 80 successivamente approvata con D.P.A.P. n. 602 del 25.9.1990. Sicché, così rilevato anche dal CTU, tale limite non era stato rispettato dal fabbricato B.- P.. Il motivo dunque non coglie la ratio decidendi fondata sulla violazione della distanza dal confine.

3. – Il ricorso va dunque rigettato. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Va emessa la dichiarazione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna in solido i ricorrenti a rimborsare a controparte le spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 4.200,00, a titolo di compensi, di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 16 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2022

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