LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 12499-2021 proposto da:
B.E., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ANDREA CAMPRINI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;
– intimato –
avverso il decreto n. cronol. 3460/2021 del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositato il 09/04/2021;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non partecipata del 16/12/2021 dal Consigliere Relatore Dott. FALABELLA MASSIMO.
FATTI DI CAUSA
1. – E’ impugnato per cassazione il decreto del Tribunale di Bologna del 9 aprile 2021. Con quest’ultima pronuncia è stato negato che al ricorrente B.E., proveniente dal Ghana, potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria o a quella umanitaria.
2. – Il ricorso per cassazione si fonda su quattro motivi. Il Ministero dell’interno ha depositato un “atto di costituzione” che non contiene alcuna difesa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Questi i motivi di ricorso.
Primo motivo: violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5. Si deduce che “la valutazione di attendibilità del richiedente è stata effettuata in spregio alla norma citata, senza un idoneo supporto motivazionale”.
Secondo motivo: violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 2, e art. 14, lett. b). Si assume essere stata “negata la protezione sussidiaria senza effettuare alcuna verifica in merito alla possibilità del richiedente di ottenere protezione da parte della polizia e senza valutare le conseguenze che ne derivano semplicemente sulla base del giudizio di non credibilità del racconto del richiedente e senza valutare le specifiche fonti indicate nel ricorso”.
Terzo motivo: violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 2, e art. 14, lett. c). Ci si duole che sia stata “negata la protezione sussidiaria sulla base di specifiche fonti internazionali relative alla concreta situazione socio-politica del paese”.
Quarto motivo: violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, oltre che del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32. Lamenta l’istante essere stata al ricorrente “negata la protezione umanitaria senza effettuare alcuna verifica ufficiosa se nel paese di origine vi sia un’autorità statale in grado di fornirgli adeguata ed effettiva tutela ed il conseguente serio e concreto rischio a cui andrebbe incontro in caso di rientro in patria”.
2. – Il ricorso deve essere respinto.
E’ inammissibile il primo motivo.
Il Tribunale ha reputato non credibile la vicenda narrata dal richiedente, il quale aveva dichiarato di aver operato nel paese di origine quale rappresentante di una banca denominata God Love Fun Club, che raccoglieva risparmi promettendo interessi molto elevati: banca la cui attività, a seguito di un’indagine federale, era stata interdetta, per modo che i clienti che avevano affidato i loro risparmi all’istante, avevano minacciato quest’ultimo arrivando a “distruggere le sue proprietà”.
Il giudizio di non credibilità poggia, in sintesi, su due elementi: la non coerenza del racconto con quanto documentato dalle fonti in ordine al blocco delle attività della nominata banca, giacché le misure adottate nei confronti di quest’ultima risalgono al 2015 mentre il ricorrente ha affermato di aver lavorato presso l’istituto di credito fino al 15 giugno 2016; la non plausibilità del racconto, avendo l’istante affermato che, nonostante avesse conseguito un diploma in studi economici, non si era posto il problema della correttezza dell’operato della banca, la quale prometteva ai risparmiatori un interesse del 60% su quanto depositato. Sul punto la sentenza si sottrae a censura. La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce infatti un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007 ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340; cfr. pure Cass. 2 luglio 2020, n. 13578): doglianze, queste, che l’istante non ha fatto valere.
E’ poi inammissibile il secondo motivo.
Con tale mezzo di censura il ricorrente si duole di ciò: il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto che la non credibilità del racconto del richiedente precludesse la spendita dei poteri istruttori ufficiosi sulla condizione della regione di provenienza del ricorrente, avendo particolarmente riguardo al rischio di subire trattamenti inumani o degradanti; il ricorrente ha espresso infatti il timore di non ricevere tutela, da parte delle forze di polizia, a fronte delle minacce provenienti dai clienti della banca che gli avevano affidato i loro risparmi.
Ebbene, una volta esclusa la credibilità del racconto, il Tribunale non aveva alcun motivo di riconoscere al ricorrente la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b). Si rileva, in proposito, che l’esposizione dello straniero al rischio di morte o a trattamenti inumani e degradanti deve pur sempre rivestire un certo grado di individualizzazione (cfr.: Cass. 20 giugno 2018, n. 16275; Cass. 20 marzo 2014, n. 6503; cfr. pure Cass. 19 giugno 2020, n. 11936; Cass. 3 luglio 2020, n. 13756). In tale prospettiva si rivela non decisivo il dato della spendita, da parte del giudice, dei noti poteri di cooperazione istruttoria che devono trovar spazio nelle controversie in tema di protezione internazionale: una acquisizione di informazioni generali sul paese di origine si manifesta inutile proprio in quanto il rischio prospettato dall’istante, siccome correlato a fatti non dimostrati, difetta di concretezza e non potrebbe comunque mai presentare il richiesto grado di personalizzazione.
Sul punto è da aggiungere che la proposta impugnazione manca di misurarsi col rilievo, espresso nel corpo del decreto (pag. 9) per cui il rischio di essere soggetto a trattamenti inumani o degradanti quale conseguenza di un arresto è “puramente ipotetico, non essendo comprovata l’esistenza, neppure indiziaria, di provvedimento giurisdizionale al quale possa desumersi il rischio di concreta incarcerazione”, avendo lo stesso istante dichiarato di ignorare se esistesse un procedimento penale a suo carico.
Il terzo motivo è infondato.
Con riguardo alla fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) – l’unica che giustificasse la cooperazione istruttoria del giudice – il Tribunale ha dato conto di come, sulla base di fonti informative aggiornate, citate nel corpo del provvedimento, non possa ravvisarsi, in Ghana, una situazione di violenza indiscriminata tale per cui un civile correrebbe il rischio, per la sola presenza sul territorio, di subire una minaccia alla vita o alla persona.
Il quarto motivo è inammissibile.
Assume il ricorrente che, con riguardo alla protezione umanitaria, il Tribunale avrebbe dovuto valutare se la polizia lo avrebbe tutelato dei rischi che avrebbe dovuto affrontare in caso di rimpatrio: rischi correlati alla vicenda di cui si è detto, la quale è stata reputata non credibile.
La doglianza appare priva di aderenza al decisum: infatti la non credibilità del racconto del richiedente impediva di porre i fatti narrati a fondamento della forma di protezione invocata: ciò che il Tribunale non ha mancato di rilevare e che è – del resto – pienamente corretto in punto di diritto, visto che i criteri posti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, trovano applicazione anche in tema di protezione umanitaria (Cass. 24 settembre 2012, n. 16221).
3. – Nulla deve disporsi in punto di spese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 6^ Sezione Civile, il 16 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2022