LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAIMONDI Guido – Primo Presidente f.f. –
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente di sez. –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 24693/2020 R.G. proposto da GEST S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t.
A.D., GESENU S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t.
P.L., e TRASIMENO SERVIZI AMBIENTALI S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t. D.A., rappresentate e difese dagli Avv. Pasquale Cristiano, e Cinzia Di Marco, con domicilio eletto in Roma, piazza Buenos Aires, n. 5;
– ricorrenti –
contro
A.U.R.I. – AUTORITA’ UMBRA RIFIUTI E IDRICO, in persona del legale rappresentante p.t. R.A., rappresentata e difesa dall’avv. Marco Mariani, con domicilio eletto in Roma, via della Conciliazione, n. 10;
– controricorrente –
e COMUNE DI PERUGIA e COMUNE DI MAGIONE;
– intimati –
avverso la sentenza del Consiglio di Stato n. 43/20, depositata il 3 gennaio 2020;
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 23 novembre 2021 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. CARDINO Alberto, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. La Gest S.r.l. (società veicolo nata dal raggruppamento costituito dalla Gesenu S.p.a., dalla Trasimeno Servizi Ambientali S.p.a., dalla Società Igiene Ambientale S.p.a. e dalla Ecocave S.r.l.), gestore del servizio di igiene urbana per conto del Comune di Perugia, in qualità di capofila delegato dall’A.U.R.I. – Autorità Umbra Rifiuti e Idrico, propose ricorso al Tribunale amministrativo regionale per l’Umbria, per sentir annullare la Delib. 29 dicembre 2017, n. 20 con cui l’Autorità aveva rigettato le istanze di revisione tariffaria da essa presentate a norma dell’art. 13, comma 4, lett. f) del contratto di servizio, in relazione alle componenti del piano finanziario CTS e CTR per l’annualità *****, e gli atti conseguenti.
A sostegno della domanda, espose di aver sostenuto maggiori costi per assicurare il conferimento della FORSU (Frazione Organica del Rifiuto Solido Urbano) presso altri impianti regionali di smaltimento e recupero, in adempimento delle nuove prescrizioni adottate dalla Regione Umbria relativamente all’introduzione del c.d. indice di respirazione dinamico potenziale, precisando che i medesimi costi erano stati invece riconosciuti per l’esercizio *****.
Si costituì l’AURI, ed eccepì il difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo, nonché l’infondatezza della domanda, chiedendone il rigetto.
Si costituirono inoltre i Comuni di Perugia e Magione, ed eccepirono anch’essi il difetto di giurisdizione del Giudice adito.
1.1. Con sentenza del 22 novembre 2018, il Tar rigettò l’eccezione di difetto di giurisdizione ed accolse la domanda, ritenendo dovuti gli extra costi di trattamento e smaltimento.
2. L’impugnazione proposta dall’AURI è stata accolta dal Consiglio di Stato, che con sentenza del 3 gennaio 2020 ha dichiarato la giurisdizione del Giudice ordinario.
Premesso, in linea generale, che la giurisdizione esclusiva presuppone l’esistenza di un collegamento, sia pure indiretto o mediato, della controversia con l’esercizio di un potere, mentre nel caso in cui la questione abbia carattere meramente patrimoniale la controversia rimane estranea alla giurisdizione amministrativa, ai sensi dell’art. 7 cod. proc. amm., il Giudice amministrativo di secondo grado ha rilevato che l’art. 13 del contratto di servizio non attribuiva al Comune margini di valutazione discrezionale ai fini della concessione dell’adeguamento richiesto, ma si limitava a tipizzare i relativi presupposti, che dovevano essere soltanto accertati. Ha ritenuto irrilevante, al riguardo, la circostanza che, a differenza dell’art. 133, comma 1, lett. c) cod. proc. amm., la lett. p) medesimo articolo, riguardante la giurisdizione esclusiva in materia di ciclo dei rifiuti, non escluda espressamente dal proprio ambito di applicazione le controversie riguardanti indennità, canoni ed altri corrispettivi, osservando che tale esclusione può essere desunta da un’interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata di tale disposizione. Rilevato che nella specie la pretesa azionata aveva carattere meramente patrimoniale e contrattuale, trovando fondamento esclusivamente nel contratto di servizio ed avendo ad oggetto comportamenti tenuti dall’Amministrazione nella fase di esecuzione del contratto, non afferenti all’esercizio di potestà amministrative, ha quindi concluso per la spettanza della controversia alla giurisdizione ordinaria.
3. Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione la Gest, la Gesenu e la Trasimeno Servizi Ambientali, per un solo motivo, illustrato anche con memoria. L’AURI ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato con memoria. I Comuni di Perugia e Magione non hanno svolto attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo d’impugnazione, le ricorrenti denunciano la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 103 Cost., comma 1, e art. 113 Cost., dell’art. 133, comma 1, lett. c) e p) cod. proc. amm., del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 238, comma 4, del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 117 e della L.R. dell’Umbria 17 maggio 2013, n. 11, art. 6, comma 2, lett. e) e art. 7, comma 2, lett. g), sostenendo che la pretesa da loro azionata non ha carattere meramente patrimoniale, in quanto non trae origine da un inadempimento contrattuale, ma ha ad oggetto la contestazione di un potere autoritativo dell’AURI. Premesso infatti che la clausola di cui all’art. 13, comma 4, lett. f) del contratto di servizio non costituisce espressione dell’autonomia contrattuale delle parti, ma attuazione del principio di full cost recovery sancito in via generale dal D.Lgs. n. 267 cit., art. 117 e ribadito in materia di rifiuti dal D.Lgs. n. 152 cit., art. 238, comma 4, in virtù del quale la tariffa dev’essere determinata in modo tale da garantire l’equilibrio economico-finanziario e la copertura integrale dei costi di gestione, osservano che, in quanto previsto dalla legge, l’adeguamento della tariffa sarebbe dovuto anche in mancanza di una apposita previsione contrattuale. Aggiungono che l’istanza di revisione della tariffa determina l’avvio di un procedimento amministrativo, nell’ambito del quale l’AURI è chiamata ad effettuare una valutazione unilaterale ed autoritativa, e quindi discrezionale, nel rispetto dei criteri stabiliti dalla legge, mentre il gestore non è titolare di alcun potere contrattuale che gli consenta di rinegoziare i termini del contratto di servizio, ma solo di un interesse legittimo che gli consente di contestare in sede giudiziale l’esito del provvedimento adottato dal concedente. Affermano infine che nella specie ricorrono tutti i presupposti della giurisdizione esclusiva, traendo la controversia origine da una vicenda attinente alla gestione del ciclo dei rifiuti e sussistendo un collegamento con l’esercizio di un potere amministrativo dell’Autorità competente. Sostengono comunque che, in quanto attinente ad una concessione di pubblici servizi ed avente ad oggetto la contestazione della legittimità della valutazione compiuta dall’AURI in sede di esame dell’istanza di revisione tariffaria, la controversia deve ritenersi devoluta alla giurisdizione amministrativa ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. c) cod. proc. amm., nel cui ambito applicativo rientrano anche le controversie concernenti canoni, indennità ed altri corrispettivi, ove, come quella in esame, coinvolgano l’esercizio di poteri discrezionali.
1.1. Il motivo è infondato.
Non può infatti condividersi la tesi sostenuta dalla difesa delle ricorrenti, anche attraverso il richiamo di alcuni precedenti della giurisprudenza amministrativa di segno contrario alla sentenza impugnata, secondo cui l’adeguamento della tariffa trova fondamento non già nella clausola contrattuale che lo prevede, ma nel precetto normativo, del quale la predetta clausola è una mera trasposizione, che in materia di gestione dei rifiuti impone la necessaria copertura dei costi, e costituisce dunque oggetto di un provvedimento autoritativo e discrezionale dell’AURI, la cui impugnazione deve ritenersi conseguentemente devoluta alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. c) o p) cod. proc. amm.
Il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238 nel disciplinare la tariffa per la gestione dei rifiuti urbani, ne rimette la determinazione alle Autorità d’ambito (comma 3), limitandosi a disporre che essa dev’essere “composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere ed ai relativi ammortamenti, nonché da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito e all’entità dei costi di gestione, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio” (comma 4); esso rinvia ad un apposito regolamento del Ministro dell’ambiente l’individuazione dei “criteri generali sulla base dei quali vengono definite le componenti dei costi e viene determinata la tariffa, anche con riferimento alle agevolazioni di cui al comma 7, garantendo comunque l’assenza di oneri per le autorità interessate” (comma 6), con la duplice precisazione che il regolamento deve tenere conto “anche degli obiettivi di miglioramento della produttività e della qualità del servizio fornito e del tasso di inflazione programmato” (comma 7), e che l’eventuale modulazione della tariffa deve tenere conto “degli investimenti effettuati dai comuni o dai gestori che risultino utili ai fini dell’organizzazione del servizio” (comma 8). In attesa dell’emanazione del predetto regolamento, hanno continuato a trovare applicazione le disposizioni di quello approvato con D.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, sulla base delle quali l’AURI, istituita con L.R. n. 11 del 2013 quale soggetto tecnico di regolazione del servizio di gestione integrata dei rifiuti nella Regione Umbria, in sostituzione degli ambiti territoriali integrati già previsti dalla L.R. 9 luglio 2007, n. 23, art. 17 e contestualmente soppressi, ha provveduto, ai sensi della L.R. 13 maggio 2009, n. 11, art. 42 alla determinazione della tariffa, in conformità della quale è stato poi stipulato il contratto di affidamento del servizio tra il Comune di Perugia e il RTI costituito tra le ricorrenti. Tale contratto prevede, all’art. 13, comma 4, che, “ove per qualsiasi motivo (piano regionale di smaltimento dei rifiuti, esaurimento delle discariche attualmente presenti, modifiche normative, ecc.) si dovesse ricorrere ad altri impianti di smaltimento e recupero, rispetto a quelli attualmente previsti dal Piano di Ambito, il corrispettivo dovuto nell’anno successivo sarà rivalutato in relazione alle variazioni dei costi unitari di trattamento e dei costi unitari di trasporto in modo da garantire in ogni caso all’affidataria la copertura dei maggiori costi sostenuti nell’anno in cui si sono verificate le variazioni”.
La determinazione del corrispettivo del servizio di gestione dei rifiuti ha pertanto luogo sulla base di un sistema normativo a più livelli che, muovendo dall’enunciazione di principi generali riguardanti la struttura della tariffa e gli obiettivi da perseguire nella quantificazione delle sue componenti, si sviluppa attraverso la fissazione di criteri e condizioni cui gli enti locali devono attenersi nell’individuazione del costo complessivo del servizio, che costituisce poi un parametro di riferimento essenziale ai fini della determinazione del contenuto del contratto. Tra le predette fasi, soltanto la prima si svolge a livello legislativo, essendo la seconda demandata al regolamento ministeriale con cui vengono fissati i criteri per la determinazione della tariffa, mentre la terza, contraddistinta dall’esercizio del potere discrezionale dell’Autorità, che trova espressione nella formazione e nell’approvazione della tariffa, sulla base dei criteri previsti dal regolamento, si svolge in un momento anteriore alla stipulazione del contratto di servizio, le cui condizioni devono risultare conformi alla tariffa. In quanto definitivamente consacrate nel contratto, tali condizioni, pur configurandosi come il risultato di scelte discrezionali dell’Amministrazione, riconducibili in ultima analisi al potere attribuitole dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238 ed improntate al principio della copertura integrale dei costi, rivestono per la stessa, non meno che per l’affidatario del servizio, carattere vincolante, risolvendosi nell’attribuzione di diritti e nell’imposizione di corrispondenti obblighi a carico delle parti, la cui inosservanza, traducendosi nell’inadempimento del contratto, può dar luogo a responsabilità nei confronti della controparte. Qualora pertanto, come nella specie, il contratto stipulato con il gestore non si limiti ad indicare il corrispettivo a quest’ultimo dovuto per l’espletamento del servizio, ma preveda anche forme di revisione dello stesso per l’ipotesi in cui sopravvengano eventi idonei ad alterare l’equilibrio contrattuale, determinandone anticipatamente i casi e le modalità di applicazione, il fondamento dell’adeguamento dev’essere individuato nella relativa clausola contrattuale, non residuando ulteriori margini di discrezionalità a favore dell’Amministrazione, i cui poteri, a fronte della richiesta del gestore, sono limitati alla verifica della sussistenza dei presupposti della revisione, così come indicati nel contratto, ed al calcolo del relativo importo, sulla base dei criteri ivi previsti.
In tale contesto, il criterio di ripartizione della giurisdizione in ordine alla impugnazione del provvedimento con cui l’Amministrazione abbia negato l’adeguamento dev’essere individuato alla stregua del principio, costantemente ribadito da queste Sezioni Unite in materia di adeguamento del corrispettivo di servizi pubblici, secondo cui la giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo è limitata alle ipotesi in cui la posizione fatta valere dall’affidatario si collochi in un’area di rapporti nella quale l’Amministrazione agisce esercitando il proprio potere autoritativo, restando invece esclusa, in favore del Giudice ordinario, nel caso in cui vengano in discussione profili in relazione ai quali tale potere debba considerarsi già esaurito o insussistente, per essere la revisione prevista da una clausola contrattuale o dalla legge, che ne disciplinino puntualmente criteri e modalità (cfr. Cass., Sez. Un., 20/04/2017, n. 9965; 29/05/2014, n. 12063; 14/11/2012, n. 19828). Tale principio, consacrato nell’art. 133, comma 1, lett. c) cod. proc. amm., che, nell’attribuire alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, esclude espressamente quelle concernenti “indennità, canoni ed altri corrispettivi”, deve ritenersi applicabile anche a quelle riguardanti l’azione di gestione del ciclo dei rifiuti, cui si riferisce la lett. p) del medesimo articolo: tale disposizione, infatti, pur non recando un’espressa esclusione delle controversie aventi ad oggetto aspetti patrimoniali del rapporto che non coinvolgano l’esercizio di poteri discrezionali dell’Amministrazione, è stata costantemente interpretata in tal senso da queste Sezioni Unite, le quali hanno più volte ribadito, anche nella materia in questione, la spettanza alla giurisdizione ordinaria delle controversie concernenti la gestione del servizio di smaltimento dei rifiuti, ove le stesse abbiano ad oggetto esclusivamente l’esecuzione del rapporto di natura privatistica intercorrente tra le parti e la cognizione di aspetti puramente patrimoniali, senza involgere elementi riconducibili a profili in relazione ai quali l’Amministrazione intervenga con poteri autoritativi (cfr. Cass., Sez. Un., 20/07/2021, n. 20692; 24/06/2020, n. 12483; 20/04/2017, n. 9965). In tal senso depongono d’altronde anche le considerazioni svolte dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 35 del 2010, con cui dichiarò infondata, in riferimento all’art. 103 Cost., comma 1, la questione di legittimità costituzionale del D.L. 23 maggio 2008, n. 90, art. 4 convertito con modificazioni dalla L. 14 luglio 2008, n. 123, nella parte in cui, con formula sostanzialmente identica a quella utilizzata dall’art. 133, comma 1, lett. p) cod. proc. amm., devolveva alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo “tutte le controversie (…) comunque attinenti alla complessiva azione di gestione del ciclo dei rifiuti, seppure posta in essere con comportamenti della Pubblica Amministrazione o dei soggetti ad essa equiparati”: in quell’occasione, infatti, pur rilevando che la norma impugnata, nell’individuare una particolare “materia” devoluta alla predetta giurisdizione, prendeva in considerazione l’attività amministrativa preordinata all’organizzazione o all’erogazione del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, il Giudice delle leggi richiamò i principi già enunciati con la sentenza n. 204 del 2004, precisando che nel caso da essa esaminato, venendo in rilievo questioni meramente patrimoniali connesse al mancato adempimento da parte dell’Amministrazione di una prestazione pecuniaria nascente da un rapporto obbligatorio, i comportamenti posti in essere dall’Amministrazione non potevano considerarsi ricompresi nell’ambito di applicazione della norma impugnata, ma rientravano nella giurisdizione dell’Autorità giudiziaria ordinaria. Allo stesso modo, deve oggi ritenersi, alla stregua di quanto disposto dall’art. 133, comma 1, lett. p) cod. proc. amm., che nel caso in cui, come nella specie, l’Amministrazione abbia già esaurito, in sede di determinazione del contenuto del contratto di servizio, la discrezionalità di cui gode ai fini dell’adeguamento del corrispettivo dovuto al gestore, vincolandosi a procedervi in casi e secondo modalità prestabiliti, la giurisdizione in ordine alle relative controversie spetta al Giudice ordinario, dal momento che l’attività da svolgere in applicazione di tale previsione non costituisce esercizio di un potere autoritativo, ma adempimento di un obbligo contrattualmente assunto, collocandosi quindi nella fase esecutiva del rapporto.
Non risulta infine pertinente, in riferimento alla fattispecie in esame, il richiamo della difesa delle ricorrenti ad alcuni precedenti della giurisprudenza amministrativa che, in tema di adeguamento dei prezzi, hanno ritenuto applicabile l’art. 133, comma 1, lett. e), n. 2 cod. proc. amm., il quale attribuisce alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo le controversie “relative alla clausola di revisione del prezzo e al relativo provvedimento applicativo nei contratti ad esecuzione continuata o periodica”: come già ripetutamente affermato da queste Sezioni Unite, tale disposizione è infatti riferibile anch’essa esclusivamente all’ipotesi in cui il contenuto della clausola implichi la permanenza di una posizione di potere in capo alla Pubblica Amministrazione, attribuendole uno spettro di valutazione discrezionale nel disporre la revisione, mentre, nella contraria ipotesi in cui la clausola individui puntualmente e compiutamente un obbligo della parte pubblica del contratto, deve riconoscersi la corrispondenza di tale obbligo ad un diritto soggettivo dell’affidatario, il quale fa valere una mera pretesa di adempimento contrattuale, come tale ricadente nell’ambito della giurisdizione ordinaria (cfr. Cass., Sez. Un., 22/11/2021, n. 35952; 12/10/2020, n. 21990; 18/10/2018, n. 26253).
2. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
PQM
rigetta il ricorso. Condanna le ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 23 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2022