Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.5395 del 18/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12532-2021 proposto da:

A.C., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ANDREA CAMPRINI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– resistente –

avverso il decreto n. cronol. 3102/2021 del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositato il 29/03/2021;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 16/12/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MASSIMO FALABELLA.

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnato per cassazione il decreto del Tribunale di Bologna del 29 marzo 2021. Con quest’ultima pronuncia è stato negato che al ricorrente A.C., proveniente dalla Nigeria, potesse essere riconosciuto lo status di rifugiato, o che il medesimo potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria o a quella umanitaria.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su tre motivi. Il Ministero dell’interno ha depositato un “atto di costituzione” che non contiene alcuna difesa.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Questi i motivi di ricorso.

Primo motivo: violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5. Si deduce che “da valutazione di attendibilità del richiedente è stata effettuata in spregio alla norma citata, basata su opinioni personali e senza nessuna verifica concreta e oggettiva della plausibilità del racconto e della compatibilità dello stesso con le fonti esterne e internazionali”. Secondo motivo: violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 2 e art. 14, lett. b) e c). Secondo il ricorrente “e’ stata negata la protezione sussidiaria senza effettuare alcuna verifica sulle condizioni della regione di appartenenza semplicemente sulla base del giudizio di inattendibilità del richiedente e senza valutare le fonti offerte e non contestate dalla Commissione”.

Terzo motivo: violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, oltre che del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32. Si lamenta essere stata al ricorrente “negata la protezione umanitaria senza effettuare alcuna verifica sulle condizioni sociali della regione di appartenenza e senza considerare la particolare vulnerabilità per le condizioni socio-culturali del richiedente e senza valutare il suo inserimento sociale, anche in questo caso semplicemente sulla base del giudizio di genericità del racconto del richiedente”.

2. – Il ricorso deve essere respinto.

E’ complessivamente infondato il primo motivo.

Il Tribunale ha reputato non credibile la vicenda narrata dal richiedente, incentrata sulla adesione di questo al movimento IPOB (Indipendent People Of Biafra) e sulla fuga posta in atto per sottrarsi alla polizia che, nel tentativo di disperdere una protesta pacifica dei sostenitori del detto movimento, aveva ucciso nove persone.

Il giudizio di non credibilità si basa sulla genericità della narrazione, priva di dettagli idonei a contestualizzare i fatti, sulla non coerenza del racconto e sul contrasto di esso con le informazioni reperibili con riguardo ai fatti descritti. Sul punto la sentenza si sottrae a censura. Anzitutto, in tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati: ai fini della credibilità il giudice del merito deve pertanto valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27503); l’attenuazione dell’onere probatorio contemplato dalla richiamata norma non esclude, cioè, che il richiedente debba produrre ogni ragionevole sforzo per circostanziare il proprio racconto, atteso che, in caso contrario, la genericità della narrazione esclude la necessità e la possibilità, per il giudice di merito, di operare ulteriori accertamenti (Cass. 3 agosto 2021, n. 22196). In secondo luogo, la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero integra un apprezzamento di fatto censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340; cfr. pure Cass. 2 luglio 2020, n. 13578): doglianze, queste, che l’istante non ha fatto valere.

E’ poi inammissibile il secondo motivo.

Con tale mezzo di censura il ricorrente si duole dell’affermazione del Tribunale per cui il giudizio di inattendibilità del racconto non consentirebbe di ritenere concreto, in caso di rimpatrio, il pericolo del danno grave di cui all’art. 14, lett. a) e b); lo stesso istante, col detto motivo, lamenta, inoltre, di aver rappresentato al giudice di prima istanza una situazione di violenza generalizzata e diffusa nella regione di provenienza indicando, a tale riguardo, autorevoli fonti.

Sotto il primo profilo, è da osservare che una volta esclusa la credibilità del racconto, il Tribunale non aveva alcun motivo di riconoscere al ricorrente la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) o b). Si rileva, in proposito, che l’esposizione dello straniero al rischio di morte o a trattamenti inumani e degradanti deve pur sempre rivestire un certo grado di individualizzazione (cfr.: Cass. 20 giugno 2018, n. 16275; Cass. 20 marzo 2014, n. 6503; cfr. pure Cass. 19 giugno 2020, n. 11936; Cass. 3 luglio 2020, n. 13756). In tale prospettiva si rivela non decisivo il dato della spendita, da parte del giudice, dei noti poteri di cooperazione istruttoria che devono trovar spazio nelle controversie in tema di protezione internazionale: una acquisizione di informazioni generali sul paese di origine si manifesta inutile proprio in quanto il rischio prospettato dall’istante, siccome correlato a fatti non dimostrati, difetta di concretezza e non potrebbe comunque mai presentare il richiesto grado di personalizzazione.

Con riguardo alla fattispecie di cui all’art. 14, lett. c), il Tribunale ha dato conto di come, sulla base di fonti informative aggiornate, citate nel corpo del provvedimento, non possa ravvisarsi, nella regione di provenienza del ricorrente, una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato interno tale da porre la popolazione civile in pericolo per il solo fatto di essere presente in quell’area. E tanto integra un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (Cass. 12 dicembre 2018, n. 32064), suscettibile di essere sindacato in sede di legittimità a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. 21 novembre 2018, n. 30105), oltre che per assenza di motivazione (nel senso precisato da Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054). Censure in tal senso non sono state sollevate da parte del ricorrente che, del resto, svolge le proprie doglianze in modo sommamente generico, limitandosi a sostenere, in spregio al principio di autosufficienza, di aver dato conto di “autorevoli fonti” che avrebbero attestato la presenza di una violenza generalizzata e diffusa nella sua regione di provenienza.

Il quarto motivo è inammissibile.

Assume il ricorrente che, con riguardo alla protezione umanitaria il Tribunale avrebbe dovuto valutare l’instabilità politica del proprio paese di origine, i rischi legati alla propria appartenenza all’IPOB e il suo grado di inserimento nel tessuto sociale italiano, documentato con riferimento alla propria posizione lavorativa.

Sennonché: la situazione di vulnerabilità rilevante ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente, perché altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, (Cass. Sez. U. 13 novembre 2019, n. 29459 e Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, in motivazione; Cass. 2 aprile 2019, n. 9304); la non credibilità del racconto del richiedente impediva di porre i fatti narrati a fondamento della forma di protezione invocata: ciò che il Tribunale non ha mancato di rilevare e che è – del resto – pienamente corretto in punto di diritto, visto che i criteri posti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, trovano applicazione anche in tema di protezione umanitaria (Cass. 24 settembre 2012, n. 16221); l’accertamento circa l’integrazione sociale dell’istante è oggetto di un accertamento di fatto e sul punto il giudice di prime cure ha osservato che lo svolgimento di un lavoro stagionale, in via non continuativa, non è sintomatico di un radicamento del ricorrente sul territorio, tenuto anche conto del limitato periodo di sua petinanenza in Italia e della presenza di riferimenti familiari in patria.

3. – Nulla deve disporsi in punto di spese.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 Sezione Civile, il 16 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2022

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