Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.5396 del 18/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12822-2021 proposto da:

Y.S.S., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ANDREA CAMPRINI;

– ricorrente –

Contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– resistente –

avverso il decreto n. cronol.3473/2021 del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositato il 12/04/2021;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 16/12/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MASSIMO FALABELLA.

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnato per cassazione il decreto del Tribunale di Bologna del 12 aprile 2021. Con quest’ultima pronuncia è stato negato che al ricorrente Y.S.S., proveniente dal Ghana, potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria o a quella umanitaria.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su quattro motivi. Il Ministero dell’interno ha depositato un “atto di costituzione” che non contiene alcuna difesa.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Questi i motivi di ricorso.

Primo motivo: violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5. Si deduce che “la valutazione di attendibilità del richiedente è stata effettuata in spregio alla norma citata, senza un idoneo supporto motivazionale”.

Secondo motivo: violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 2, e art. 14 lett. b). Secondo il ricorrente “e’ stata negata la protezione sussidiaria senza effettuare alcuna verifica in merito alla possibilità del richiedente di ottenere protezione da parte della polizia e senza valutare le conseguenze che ne derivano, semplicemente sulla base del giudizio di non credibilità del racconto del richiedente e senza valutare le specifiche fonti indicate nel ricorso”.

Terzo motivo: violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 2, e art. 14, lett. c). Ci si duole non essere stata “negata la protezione sussidiaria sulla base di specifiche fonti internazionali relative alla concreta situazione socio-politica del paese”.

Quarto motivo: violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, oltre che del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32. Si lamenta essere stata al ricorrente “negata la protezione umanitaria senza effettuare alcuna verifica ufficiosa se nel paese di origine vi sia un’autorità statale in grado di fornirgli adeguata ed effettiva tutela ed il conseguente serio e concreto rischio a cui andrebbe incontro in caso di rientro in patria”.

2. – Il ricorso deve essere respinto.

E’ infondato il primo motivo.

Il Tribunale ha reputato non credibile la vicenda narrata dal richiedente, incentrata sui timori correlati all’investimento mortale di una persona che si sarebbe prodotto quando lo stesso era alla guida di una vettura che, quale meccanico, doveva collaudare: timori consistenti nella pretesa risarcitoria del proprietario del veicolo, giacché quest’ultimo era stato bruciato per la rabbia dai passanti, e nell’arresto da parte delle forze dell’ordine.

Il giudizio di non credibilità poggia, in sintesi, sulla genericità del narrato e il Tribunale ha diffusamente argomentato in proposito. Sul punto la sentenza si sottrae a censura, giacché in tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati. Ai fini della credibilità il giudice del merito deve pertanto valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27503); l’attenuazione dell’onere probatorio contemplato dalla richiamata norma non esclude, cioè, che il richiedente debba produrre ogni ragionevole sforzo per circostanziare il proprio racconto, atteso che, in caso contrario, la genericità della narrazione esclude la necessità e la possibilità, per il giudice di merito, di operare ulteriori accertamenti (Cass. 3 agosto 2021, n. 22196).

Quest’ultima proposizione dà ragione dell’inammissibilità del secondo motivo.

Con tale mezzo di censura il ricorrente si duole di ciò: il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto che la non credibilità del racconto del richiedente precludesse la spendita dei poteri istruttori ufficiosi sulla condizione della regione di provenienza del ricorrente, avendo particolarmente riguardo al rischio di subire trattamenti inumani o degradanti; il ricorrente ha espresso infatti il timore di non ricevere tutela, da parte delle forze di polizia, a fronte delle minacce provenienti dal proprietario del veicolo.

Ebbene, una volta esclusa la credibilità del racconto, il Tribunale non aveva alcun motivo di riconoscere al ricorrente la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b). Si rileva, in proposito, che l’esposizione dello straniero al rischio di morte o a trattamenti inumani e degradanti deve pur sempre rivestire un certo grado di individualizzazione (cfr.: Cass. 20 giugno 2018, n. 16275; Cass. 20 marzo 2014, n. 6503; cfr. pure Cass. 19 giugno 2020, n. 11936; Cass. 3 luglio 2020, n. 13756). In tale prospettiva si rivela non decisivo il dato della spendita, da parte del giudice, dei noti poteri di cooperazione istruttoria che devono trovar spazio nelle controversie in tema di protezione internazionale: una acquisizione di informazioni generali sul paese di origine si manifestava inutile proprio in quanto il rischio prospettato dall’istante, siccome correlato a fatti non dimostrati, difettava di concretezza e non avrebbe potuto comunque mai presentare il richiesto grado di personalizzazione.

Sul punto è da aggiungere che la proposta impugnazione manca di misurarsi col rilievo, espresso nel corpo del decreto (pag. 11), per cui il rischio di essere soggetto a trattamenti inumani o degradanti quale conseguenza di un arresto è “puramente ipotetico, non essendo comprovata l’esistenza, neppure indiziaria, di provvedimento giurisdizionale al quale possa desumersi il rischio di concreta incarcerazione”, avendo lo stesso istante dichiarato di ignorare se esistesse un procedimento penale a suo carico.

Il terzo motivo è infondato.

Con riguardo alla fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), – l’unica che giustificasse la cooperazione istruttoria del giudice – il Tribunale ha dato conto di come, sulla base di fonti informative aggiornate, citate nel corpo del provvedimento, non possa ravvisarsi, in Ghana, una situazione di violenza indiscriminata tale per cui un civile correrebbe il rischio, per la sola presenza sul territorio, di subire una minaccia alla vita o alla persona.

Il quarto motivo è inammissibile.

Assume il ricorrente che, con riguardo alla protezione umanitaria il Tribunale doveva valutare che la polizia non lo avrebbe protetto dai rischi che avrebbe dovuto affrontare in caso di rimpatrio: rischi correlati alla vicenda di cui sì è detto, la quale è stata reputata non credibile.

La doglianza appare priva di aderenza al decisum: infatti la non credibilità del racconto del richiedente impediva di porre i fatti narrati a fondamento della forma di protezione invocata: ciò che il Tribunale non ha mancato di rilevare e che è – del resto – pienamente corretto in punto di diritto, visto che i criteri posti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, trovano applicazione anche in tema di protezione umanitaria (Cass. 24 settembre 2012, n. 16221).

3. – Nulla deve disporsi in punto di spese.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 Sezione Civile, il 16 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2022

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