LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 13524-2021 proposto da:
A.A., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ANDREA CAMPRINI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;
– resistente –
avverso il decreto n. cronol. 3881/2021 del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositato il 20/04/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 16/12/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MASSIMO FALABELLA.
FATTI DI CAUSA
1. – E’ impugnato per cassazione il decreto del Tribunale di Bologna del 20 aprile 2021. Con quest’ultima pronuncia è stato negato che al ricorrente A.A., proveniente dal Ghana, potesse essere ammesso alla protezione internazionale riservata ai rifugiati, alla protezione sussidiaria o a quella umanitaria.
2. – Il ricorso per cassazione si fonda su cinque motivi. Il Ministero dell’interno ha depositato un “atto di costituzione” che non contiene alcuna difesa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Questi i motivi di ricorso.
Primo motivo: violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5. Si deduce che “la valutazione di attendibilità del richiedente è stata effettuata in spregio alla norma citata, senza un idoneo supporto motivazionale, senza alcuna verifica delle fonti esterne e non contestate dalla Commissione”.
Secondo motivo: violazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 101 c.p.c., comma 2. Si censura l’utilizzo da parte del Tribunale di “fonti diverse da quelle offerte dal ricorrente senza sottoporle a contraddittorio”.
Terzo motivo: violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 2, e art. 14, lett. b). Secondo il ricorrente “e’ stata negata la protezione sussidiaria senza effettuare alcuna verifica in merito alla possibilità del richiedente di ottenere protezione da parte della polizia e senza valutare le conseguenze che ne derivano semplicemente sulla base del giudizio di non credibilità del racconto del richiedente e senza valutare le specifiche fonti indicate nel ricorso”.
Quarto motivo: violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 2, e art. 14, lett. c). Ci si duole essere stata “negata la protezione sussidiaria sulla base di specifiche fonti internazionali relative alla concreta situazione socio-politica del paese”.
Quinto motivo: violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, oltre che del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32. Si lamenta essere stata al ricorrente “negata la protezione umanitaria senza effettuare alcuna verifica ufficiosa se nel paese di origine vi sia un’autorità statale in grado di fornirgli adeguata ed effettiva tutela ed il conseguente serio e concreto rischio a cui andrebbe incontro in caso di rientro in patria”.
2. – Il ricorso deve essere respinto.
Il primo motivo è inammissibile.
Il Tribunale ha reputato non credibile la vicenda narrata dal richiedente, il quale aveva dichiarato di essere fuggito dal paese di origine dopo che lo zio lo aveva legato, rinchiuso in casa e picchiato per essersi rifiutato di ricoprire la carica di capo del villaggio e capo religioso: carica che era stata rivestita dal padre e cui era associato il compimento di sacrifici umani.
Il giudizio di non credibilità si basa sulla genericità del racconto, sulla sua non plausibilità e sul contrasto di esso con le informazioni reperite con riferimento ai fatti narrati. A quest’ultimo riguardo il Tribunale, richiamando specifiche fonti informative (COI – Country of Origin Information), ha evidenziato: che le posizioni di capo villaggio e di capo religioso sono distinte, non esercitando quest’ultimo, di norma, funzioni politiche; che la pratica di sacrifici umani non trovava oggettivo riscontro; che non vi era evidenza di ritorsioni attuate nei confronti di quanti si rifiutassero di subentrare nelle cariche da altri ricoperte.
Sul punto la sentenza si sottrae a censura. La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce infatti un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340; cfr. pure Cass. 2 luglio 2020, n. 13578): doglianze, queste, che l’istante non ha fatto valere.
Il secondo motivo è inammissibile.
In base alla giurisprudenza di questa Corte, è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale si censuri l’omessa sottoposizione al contraddittorio delle COI acquisite d’ufficio, ove il motivo non indichi in quale modo l’omessa conoscenza delle COI da parte del richiedente abbia inficiato il giudizio conclusivo del giudice, né si alleghino nel ricorso altre e diverse fonti di conoscenza che si pongano in contrasto con le informazioni acquisite dal tribunale, così rendendo la censura priva di specificità (Cass. 20 gennaio 2021, n. 899). E’ parimenti inammissibile il terzo motivo.
Con tale mezzo di censura il ricorrente si duole di ciò: il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto che la non credibilità del proprio racconto precludesse la spendita dei poteri istruttori ufficiosi sulla condizione della regione di provenienza dello stesso. La deduzione si raccorda al timore, espresso dall’istante, di non ricevere tutela, da parte delle forze di polizia, a fronte delle minacce di cui era stato vittima a causa del rifiuto opposto allo zio.
Ebbene, una volta esclusa la credibilità del racconto, il Tribunale non aveva alcun motivo di riconoscere al ricorrente la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b). Si rileva, in proposito, che l’esposizione dello straniero al rischio di morte o a trattamenti inumani e degradanti deve pur sempre rivestire un certo grado di individualizzazione (cfr.: Cass. 20 giugno 2018, n. 16275; Cass. 20 marzo 2014, n. 6503; cfr. pure Cass. 19 giugno 2020, n. 11936; Cass. 3 luglio 2020, n. 13756). In tale prospettiva si rivela non decisivo il dato della spendita, da parte del giudice, dei noti poteri di cooperazione istruttoria che devono trovar spazio nelle controversie in tema di protezione internazionale: una acquisizione di informazioni generali sul paese di origine si manifesta inutile proprio in quanto il rischio prospettato dall’istante, siccome correlato a fatti non dimostrati, difetta di concretezza e non potrebbe comunque mai presentare il richiesto grado di personalizzazione.
Il quarto motivo è infondato.
Con riguardo alla fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), – l’unica che giustificasse la cooperazione istruttoria del giudice – il Tribunale ha dato conto di come, sulla base di fonti informative aggiornate, citate nel corpo del provvedimento, non possa ravvisarsi, in Ghana, una situazione di violenza indiscriminata tale per cui un civile correrebbe il rischio, per la sola presenza sul territorio, di subire una minaccia alla vita o alla persona.
Il quinto motivo è inammissibile.
Assume il ricorrente che, con riguardo alla protezione umanitaria, il Tribunale avrebbe dovuto valutare le vicende che lo avevano costretto a lasciare il paese e, quindi, “il fenomeno delle sette religiose e la mancanza di tutela effettiva e concreta da parte della polizia”.
La doglianza appare priva di aderenza al decisum: infatti la non credibilità del racconto del richiedente impediva di porre i fatti narrati a fondamento della forma di protezione invocata: ciò che il Tribunale non ha mancato di rilevare e che è – del resto – pienamente corretto in punto di diritto, visto che i criteri posti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, trovano applicazione anche in tema di protezione umanitaria (Cass. 24 settembre 2012, n. 16221).
3. – Nulla deve disporsi in punto di spese.
PQM
La Corte:
rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 Sezione Civile, il 16 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2022