Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.5429 del 18/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15351/2019 proposto da:

B.M., L.S., elettivamente domiciliati in Sarzana, Via Landinelli 5, presso lo studio dell’Avv. Stefano Violi, VLISFN67E11I449C, indirizzo pec: stefano.violi.avv.sp.legalmail.it;

– ricorrente –

contro

Generali Italia Spa, I.G.;

– intimati –

nonché contro Generali Italia Spa, elettivamente domiciliato in Roma P.zza Mazzini 27, presso lo studio dell’avvocato Trifirò Partners, rappresentata e difesa dall’avvocato Peron Luca, PRNLCU69C031441D;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1666/2018 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 31/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/12/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI.

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione del 7 Maggio 2011 B.M. e L.S. hanno adito il Tribunale della Spezia chiedendo la condanna di I.G. e Assicurazioni Generali Spa al pagamento, in via tra loro solidale, di Euro 58.000,00 in favore del B. e di Euro 60.553,86 in favore della L., chiedendo specificamente che i convenuti i convenuti fossero dichiarati responsabili del fatto illecito commesso in danno degli attori. Nel giudizio di primo grado, si costituiva esclusivamente la convenuta Assicurazioni Generali Spa, chiedendo la reiezione delle domande attoree e la condanna in manleva di I.G.; in via subordinata chiedeva la riduzione delle avversarie pretese anche ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1227 c.c., con vittoria di spese.

2. Il giudizio si radicava nella contumacia di I.G.. All’esito del giudizio I. e Assicurazioni Generali Spa venivano condannati al pagamento in favore di B.M. e L.S. del minore importo di Euro 30.276,23, oltre interessi legali sulla somma di anno in anno rivalutata, dalla data della domanda fino al saldo effettivo, compensando integralmente le spese di lite.

3. Con atto del 20.04.2016 i ricorrenti impugnavano avanti la Corte d’appello di Genova la sentenza del Tribunale di La Spezia, notificando l’appello anche a I.. Per quanto qui interessa, la convenuta Generali Spa (già Assicurazioni Generali Spa) si costituiva formulando appello incidentale al fine di ottenere la riforma della sentenza nella parte in cui aveva ritenuto applicabile l’art. 2049 c.c. con conseguente rigetto di tutte le domande proposte dagli attori, e condanna dei medesimi a restituire quanto hanno percepito da Generali Italia Spa in esecuzione della sentenza di primo grado; in via subordinata chiedeva la conferma della sentenza; sempre in via di appello incidentale ma subordinatamente al rigetto del motivo di appello incidentale sub. n. 1 condannare I.G. a manlevare e tenere indenne Generali Italia Spa di quanto quest’ultima sia chiamata a pagare ai sigg.ri B.M. e L.S., con vittoria di spese ed onorari di giudizio.

4. La causa veniva trattenuta in decisione nella contumacia di I.G. anche in secondo grado. Con la sentenza 1666/2018 pubblicata il 31.10.2018 e non notificata la Corte di Appello di Genova definiva il gravame proposto, respingendo l’appello principale di B. e L. nei confronti dell’assicurazione; in accoglimento dell’appello incidentale di Generali, respingeva le domande proposte dagli attori contro Generali Italia Spa; accogliendo l’appello principale proposto dagli attori contro I.G. e riformando in questa parte la sentenza del Tribunale condannava I.G. a risarcire interamente il danno agli appellanti; compensa interamente le spese di causa tra gli appellanti principali e Generali Italia Spa; condanna I. a rimborsare agli appellanti principali le spese dei due gradi di giudizio.

5. I ricorrenti hanno promosso ricorso per cassazione con atto notificato il 30 aprile 2019 a Generali Italia s.p.a. e il 16 maggio 2019 al contumace I.G.; il ricorso è affidato a un motivo illustrato da successiva memoria, per ottenere l’annullamento con rinvio della sentenza della Corte di Appello di Genova n. 1661/2018 pubblicata il 31 ottobre 2018. Generali Italia s.p.a ha notificato controricorso illustrato anche da successiva memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 si denuncia violazione dell’art. 2049 c.c. (responsabilità dei padroni e dei committenti), per quanto attiene alla corretta applicazione in punto di occasionalità necessaria e apparenza del diritto.

2. Si denuncia che la Corte di Appello, pur partendo da una corretta interpretazione dell’art. 2049 c.c., essendo pacifico il rapporto di subordinazione tra la convenuta società e lo I., abbia censurato la sentenza sotto il profilo della mancata prova dell’apparenza di diritto, elemento costitutivo della fattispecie, dopo avere correttamente considerato che “La responsabilità del padrone o committente per il fatto illecito del commesso prevista dall’art. 2049 c.c. non richiede l’esistenza di un rapporto di causalità diretta tra il compimento del fatto illecito e l’esecuzione delle incombenze andate al dipendente, essendo sufficiente a configurare la responsabilità del preponente – l’esistenza di un rapporto di occasionalità necessaria, che ricorre quando l’esercizio delle mansioni abbia reso possibile o comunque agevolato il compimento dell’illecito ancorché il dipendente abbia operato oltre i limiti delle sue incombenze od abbia persino trasgredito agli ordini ricevuti operando in tal caso il principio dell’apparenza del diritto”.

3. La sentenza, più precisamente, viene posta sotto critica nel passaggio in cui, nell’esentare da ogni responsabilità la compagnia assicuratrice, statuisce che la sentenza di primo grado fosse priva di motivazione proprio in punto di “apparenza del diritto”, traendo il proprio convincimento sul presupposto fattuale che “i sig.ri B. e L. per tanti anni si sono fidati dello I. in virtù di legami di conoscenza e amicizia preesistenti. com’e’ vero che gli hanno affidato i loro investimenti finanziari prima che lo stesso diventasse produttore di Generali. Il che comprova che essi non facevano affidamento su di un supposto principio di apparenza del diritto che riconducesse a Generali l’operato dello I., ma sul rapporto di amicizia con lo I. e sulla conoscenza personale e sui rapporti pregressi” (v. sentenza impugnata, p. 4).

4. I ricorrenti, sul punto, assumono che la Corte di Appello abbia ragionato in violazione della norma di cui all’art. 2049 c.c., disapplicando il principio di alternatività tra il criterio dell’apparenza del diritto rispetto a quello dell’occasionalità necessaria, deducendo che, ai fini dell’applicabilità dell’art. 2049 c.c. al “padrone o committente” non sia indispensabile e necessario l’accertamento del nesso di causalità tra l’opera dell’ausiliario e l’obbligo del debitore, nonché della sussistenza di un rapporto di subordinazione (che nel caso di specie invece c’e’, è ammesso da parte convenuta ed è qualificato per tipologia mansionale) tra l’autore dell’illecito ed il proprio datore di lavoro e del collegamento dell’illecito stesso con le mansioni svolte dal dipendente, essendo sufficiente un rapporto, di occasionalità necessaria nel senso che l’incombenza disimpegnata abbia determinato una situazione tale da agevolare o rendere possibile il fatto illecito e l’evento dannose anche se il dipendente abbia operato oltre i limiti delle sue incombenze, purché sempre nell’ambito dell’incarico affidatogli così da non configurare una condotta del tutto estranea al rapporto di lavoro.

5. Osserva il Collegio che il motivo è infondato.

6. Difatti, per giurisprudenza consolidata, il comportamento illecito del dipendente o preposto determina la responsabilità del preponente ogniqualvolta il fatto lesivo sia stato prodotto o agevolato da un comportamento riconducibile alla sua attività lavorativa, e quindi anche se questi abbia operato oltrepassando i limiti delle proprie mansioni, sempre che sia rimasto nell’ambito delle funzioni proprie dell’intermediario (con riguardo alla responsabilità dei promotori, cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8210 del 04/04/2013; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5020 del 04/03/2014; Sez. 1, Sentenza n. 22956 del 10/11/2015; Sez. 3 -, Sentenza n. 18928 del 31/07/2017). Sicché l’intermediario finanziario risponde dell’illecito compiuto in danno di terzi da chi appaia essere un suo promotore o preposto, ed in tale apparente veste abbia commesso l’illecito, ogni qual volta l’affidamento del terzo risulti incolpevole e il comportamento ancorché solo omissivo – dell’intermediario abbia concorso alla falsa rappresentazione della realtà, fermo restando che la ravvisabilità, nel singolo caso, di una situazione di apparenza del diritto dipende da circostanze di fatto il cui accertamento e la cui valutazione sono riservati alla competenza esclusiva del giudice di merito e, come tali, possono essere sindacati in cassazione solo per eventuali difetti logici o giuridici della motivazione (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 8229 del 07/04/2006).

7. Per affermare la concorrente responsabilità dell’intermediario è quindi sufficiente che il dipendente si presenti come tale sfruttando la posizione che ha all’interno dell’organizzazione dell’intermediario, tenuto a rispondere del fatto del dipendente o preposto. In tale contesto, ove la banca non può che agire che per il tramite dei propri funzionari, si crea una “solidarietà imperfetta” nella responsabilità per il fatto illecito commesso dal dipendente infedele e il relativo accertamento compete insindacabilmente al giudice di merito.

8. E’, invece, configurabile l’estraneità dell’intermediario al fatto dell’impiegato o preposto, sì da interrompere il nesso causale ed escludere la responsabilità dell’Istituto, solo ove si verifichino determinate circostanze, quali una condotta del cliente del tutto “anomala”, vale a dire se non di collusione, quanto meno di consapevole e fattiva acquiescenza alla violazione delle regole gravanti sull’impiegato, note al cliente od altra gravissima negligenza di questi. All’uopo non è sufficiente la mera consapevolezza da parte del cliente della violazione da parte del “promotore” delle regole di settore, ma occorre che i rapporti tra promotore e investitore presentino connotati di anomalia, non necessariamente di connivenza o di collusione in funzione elusiva della disciplina legale, quanto meno di consapevole acquiescenza alla violazione delle regole gravanti sul promotore, palesata da elementi presuntivi, quali ad esempio il numero o la ripetizione delle operazioni poste in essere con modalità manifestamente irregolari, il valore complessivo delle operazioni, l’esperienza acquisita nell’investimento di prodotti finanziari, la conoscenza del complesso “iter” funzionale alla sottoscrizione di programmi di investimento e le sue complessive condizioni culturali e socio-economiche (v. Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 30161 del 22/11/2018; Cass. sez 3, Ordinanza n. 7533 del 7 marzo 2018; Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 18928 del 31/07/2017; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 22956 del 10/11/2015; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 27925 del 13/12/2013).

9. Quanto alla ripartizione degli oneri probatori, all’investitore spetta l’onere di provare l’illiceità della condotta del promotore legata a quella dell’intermediario da un rapporto di necessaria occasionalità, mentre all’intermediario spetta l’onere di provare che l’illecito sia stato consapevolmente agevolato in qualche misura dall’investitore in collusione con il promotore (Cass. Sez. 3-, Sentenza n. 18928 del 31/07/2017).

10. Orbene, la motivazione della sentenza convince logicamente proprio là dove, dopo avere correttamente affermato i principi sopra riportati, ha escluso, con argomenti fattuali collegati alla pregressa conoscenza personale dell’agente da parte dei clienti investitori alla natura manifesta e grossolana delle contraffazioni e ad altre circostanze, non prese in considerazione nella censura, che vi fosse una situazione di apparenza o di occasionalità necessaria, traendo spunto da una situazione in cui l’affidamento tra il promotore infedele, compagno della sorella del B., e i ricorrenti si era da tempo consolidato, sin da quando si occupava di investimenti mobiliari al di fuori dal rapporto successivamente instaurato con la compagnia assicuratrice qui resistente.

11. Se è vero che il giudizio sul fatto e sul nesso di occasionalità è insindacabile, come da giurisprudenza sopra riportata, è anche vero che nel caso di specie è stata nondimeno adeguatamente valorizzata la circostanza che alla pregressa conoscenza delle parti si è aggiunta l’induzione a sottoscrivere le polizze di Generali grossolanamente falsificate, una volta che l’agente ha assunto detta qualità fatto non riportato dai ricorrenti ma correttamente valorizzato nella motivazione.

12. L’azione illecita si è concretizzata, infatti, attraverso la proposizione di finte polizze vita al fine di ottenere il corrispondente importo di premio che veniva versato dai coniugi B. e L. mediante l’emissione di assegni con beneficiario lasciato in bianco e date di traenza non corrispondenti a quelle delle polizze; anche i rendiconti prodotti non contenevano alcun elemento di autenticità, non essendo stati redatti su carta intestata della società di assicurazioni, né tantomeno sottoscritti. La condotta gravemente anomala imputabile all’agente infedele, per quanto in astratto attinente alla tipologia di prodotti finanziari venduti da Generali Vita Spa e perfettamente compatibile con le mansioni (venditore) riconosciute dal datore di lavoro allo I., ha consentito alla Corte di merito di dare maggiore rilievo, sotto il profilo causale, alla pregressa conoscenza del promotore da parte degli investitori e al particolare inusuale affidamento ingenerato dal medesimo a fronte di circostanze obiettive che avrebbero dovuto suscitare allarme negli investitori, a prescindere dalla sua dipendenza da Generali.

13. Si tratta, pertanto, di una valutazione di merito del tutto logica alla luce delle anomale circostanze prese in considerazione e, in quanto tale, non sindacabile in tale sede sotto il profilo della riconduzione della fattispecie de qua alla norma di cui all’art. 2049 c.c.

14. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, con ogni conseguenza in ordine alle spese, che si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 a favore della parte resistente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese, liquidate in Euro 6.000,00, oltre Euro 200,00 per spese, spese forfettarie al 15% e oneri di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 15 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2022

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