Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.5462 del 18/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16784-2020 proposto da:

D.C.C., rappresentata e difesa dall’avv. PASQUALE RINALDI e domiciliata presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

M.S. e L.I.S., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DANTE DE BLASI n. 5, presso lo studio dell’avvocato MARCO PAOLO FERRARI, rappresentati e difesi dall’avvocato MAURO AGLIATI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 614/2020 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 06/05/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 27/01/2022 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

FATTI DI CAUSA

Con ricorso ex art. 702-bis c.p.c., D.C.C. evocava in giudizio M.S. e L.I.S. innanzi il Tribunale di Foggia, invocandone la condanna al pagamento della somma di Euro 20.461,00 a titolo di compenso per l’attività professionale svolta dalla ricorrente in favore dei resistenti in relazione ad alcuni giudizi civili.

Con l’ordinanza impugnata, resa nella resistenza della parte resistente, il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda, condannando M. e L.I., in solido tra loro, al pagamento dell’importo di Euro 17.881,07.

Interponevano appello i due soccombenti e la Corte di Appello di Bari, con la sentenza impugnata, n. 614/2020, resa nella resistenza della D.C., riformava in parte la decisione di prime cure, riducendo il compenso dovuto alla professionista appellata.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione D.C.C., affidandosi a due motivi.

Resistono con controricorso M.S. e L.I.S..

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Relatore ha avanzato la seguente proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.: “Proposta di definizione ex art. 380-bis c.p.c..

Inammissibilità del ricorso.

Con ordinanza ex art. 702-ter c.p.c., il Tribunale di Foggia, in parziale accoglimento della domanda proposta dall’avv. D.C.C., condannava M.S. e L.I.S. al pagamento della somma di Euro 17.881,07 a titolo di compensi maturati per le prestazioni professionali rese in favore dei convenuti. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Bari, riformando la decisione di prime cure, determinava il credito della D.C. nel minor importo di Euro 8.100, condannando la medesima alla restituzione delle somme percepite in eccesso a fronte della pronuncia del Tribunale.

Propone ricorso per la cassazione di detta sentenza la D.C., affidandosi a due motivi.

Con il primo di essi, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto che la decisione di prime cure fosse appellabile, per effetto della forma in concreto adottata dal giudice di prima istanza, nonostante l’entrata in vigore della norma sopra richiamata, che espressamente aveva affermato la non appellabilità della decisione che definisce il giudizio in materia di liquidazione dei compensi spettanti all’avvocato per l’attività professionale prestata in procedimenti civili. Il motivo è inammissibile, in forza del principio secondo cui “L’identificazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale va operata, a tutela dell’affidamento della parte e quindi in ossequio al principio dell’apparenza, con riferimento esclusivo a quanto previsto dalla legge per le decisioni emesse secondo il rito in concreto adottato in relazione alla qualificazione dell’azione (giusta od errata che sia) effettuata dal giudice” (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 23390 del 23/10/2020, Rv. 659244; conf. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 29336 del 22/12/2020, Rv. 660188; sul punto, Cass. Sez. U, Sentenza n. 4617 del 25/02/2011, Rv. 616599).

Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta la violazione del D.M. n. 140 del 2012, art. 4, perché la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto eccessiva la liquidazione della somma di Euro 4.475 per il ricorso ex art. 671 c.p.c., depositato dalla ricorrente per conto e nell’interesse dei due contro ricorrenti, sulla base di considerazioni non trovanti alcun riscontro documentale. La censura è inammissibile, perché essa si risolve in una istanza di revisione del giudizio di fatto svolto dal giudice di merito, estranea alla finalità ed alla natura del giudizio di legittimità (Cass. Sez. U., Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790)”.

Il Collegio condivide la proposta del Relatore.

Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile, in coerenza con la proposta del relatore.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Ricorrono i presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1-quater, per il raddoppio del versamento del contributo unificato, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile, il 27 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2022

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