LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. FERRO Massimo – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. r.g. 5589-2021 proposto da:
H.Z.U., rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata in calce al ricorso, dall’Avvocato Macaluso Antonella, presso il cui studio elettivamente domicilia in Caltanissetta, al Corso Sicilia n. 105, con comunicazioni da effettuarsi all’indirizzo pec *****.;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;
– intimato –
avverso la sentenza, n. cronol. 424/2020, della CORTE DI APPELLO DI CALTANISSETTA, depositata in data 13/07/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del giorno 01/02/2022 dal Consigliere Relatore Dott. CAMPESE EDUARDO.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza del 9/13 luglio 2020, la Corte di Appello di Caltanissetta respinse il gravame proposto da H.Z.U. contro la decisione resa dal tribunale di quella stessa città reiettiva della sua domanda volta ad ottenere una delle forme di protezione internazionale (status di rifugiato; protezione sussidiaria; rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari).
1.1. In particolare, quella corte ritenne: i) i fatti narrati dal richiedente scarsamente attendibili e, comunque, inidonei a giustificare le sue richieste di riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b); i:) insussistenti, nella specifica zona (Punjab) del Pakistan, di provenienza del ricorrente, le condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al menzionato D.Lgs., art. 14, lett. c);
parimenti insussistenti fatti o accadimenti giustificativi della invocato rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.
2. Avverso questa sentenza H.Z.U. ricorre per cassazione, affidandosi a tre motivi. Il Ministero dell’Interno non si è costituito nei termini di legge, ma ha depositato un “atto di costituzione” al solo fine di prendere eventualmente parte alla udienza di discussione ex art. 370 c.p.c., comma 1.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Le formulate doglianze prospettano, rispettivamente:
I) “Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. e)e artt. 5, 7 ed 8 anche alla luce del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3”, censurandosi la ritenuta inattendibilità delle dichiarazioni rilasciate dall’odierno ricorrente ed il mancato riconoscimento, in suo favore, dello status di rifugiato;
II) “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio”, criticandosi il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria;
III) “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 2, art. 5, comma 6, e art. 19 (TU. Immigrazione), in ordine al riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari ed al riconoscimento di una protezione di tipo umanitario ai sensi dell’arì. 3 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio”, contestandosi il mancato riconoscimento della protezione umanitaria.
2. Le doglianze di cui ai primi due motivi, scrutinabili congiuntamente per la loro stretta connessione, si rivelano insuscettibili di accoglimento nel loro complesso.
2.1. Invero, la corte nissena: i) ha negato attendibilità al racconto del richiedente protezione, quanto alle ragioni che lo avevano indotto a lasciare il proprio Paese, così conseguentemente disattendendo la richiesta di riconoscimento, oltre che dello status di rifugiato, anche della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b); i:) ha escluso, sulla base della consultazione di affidabili ed aggiornate fonti di informazioni, delle quali ha pure dato puntualmente conto nel provvedimento impugnato, che nella regione (Punjab) del Pakistan di provenienza del ricorrente sia attualmente riscontrabile una situazione di instabilità politico-sociale di livello così elevato da potere essere qualificata nei termini di quella “violenza generalizzata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, che consente il riconoscimento nei confronti dello straniero della forma di protezione internazionale di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), amplius, pag. 9-11, della sentenza impugnata).
2.2. Fermo quanto precede, rileva il Collegio che:
i) la corte predetta ha esaurientemente esposto le ragioni del proprio convincimento circa la non credibilità di parte del racconto dell’odierno ricorrente (cfr. amplius, pag. 7 e ss. della sentenza impugnata);
i) la giurisprudenza di legittimità, ancora recentemente Cass.
n. 17536 del 2020; Cass. n. 18446 del 2019), ha chiarito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (cfr., ex multis, Cass. n. 6191 del 2020, in motivazione; Cass. n. 32064 del 2018; Cass. n. 30105 del 2018), il quale deve ponderare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in Cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile (tutte fattispecie qui insussistenti), dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (r., nel medesimo senso, Cass. n. 18550 del 2020; Cass. n. 17539 del 2020; Cass. n. 3340 del 2019). Deve, peraltro, rimarcarsi che, nella specie, la semplice lettura della sentenza oggi impugnata, nella parte in cui ha negato l’attendibilità dell’odierno ricorrente, presenta una motivazione ampiamente in linea con il minimo costituzionale sancito da Cass. SU, n. 8053 del 2014;
quanto al diniego della protezione sussidiaria, giova ricordare pure che la valutazione di inattendibilità del racconto del dichiarante osta al riconoscimento, oltre che dello status di rifugiato, anche di quest’ultima quanto alle fattispecie di cui alle lett. a) e b) del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 (Cass. n. 2959 del 2021, in motivazione), mentre, quanto a quella proposta giusta la lett. c), del medesimo decreto, il provvedimento oggi impugnato ha comunque esaminato la situazione fattuale ed operato la ricostruzione della realtà socio-politica del Paese di provenienza del richiedente, compiutamente indicando le fonti internazionali consultate, debitamente aggiornate, ed ha rilevato che, sostanzialmente, nel Pakistan, regione del Punjab, non si segnala attualmente una situazione di instabilità politico-sociale di livello così elevato da potere essere qualificata nei termini di quella “violenza generalizzata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”. Va solo rimarcato che, come chiarito da Cass. n. 29056 del 2019, l’eventuale omessa sottoposizione al contraddittorio delle COI (country of origin information) assunte d’ufficio dal giudice ad integrazione del racconto del richiedente, non lede il diritto di difesa di quest’ultimo, poiché, in tal caso, l’attività di cooperazione istruttoria è integrativa dell’inerzia della parte e non ne diminuisce le garanzie processuali, a condizione che il giudice di merito renda palese nella motivazione a quali informazioni abbia fatto riferimento, al fine di consentirne l’eventuale critica in sede di impugnazione; sussiste, invece, una violazione del diritto di difesa del richiedente quando costui abbia esplicitamente indicato le COI, ma il giudice ne utilizzi altre, di fonte diversa o più aggiornate, che depongano in senso opposto a quelle offerte dal ricorrente, senza prima sottoporle al contraddittorio. Nella specie, però, non vi è prova alcuna, né è stato specificamente dedotto dal ricorrente, di aver sottoposto all’attenzione della corte distrettuale (ed ancor prima al tribunale) le fonti oggi richiamate in ricorso. A tanto deve solo aggiungersi che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “Ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati” è stato condivisibilrnente interpretato da questa Corte nel senso che l’obbligo di acquisizione delle informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti nella richiesta di protezione internazionale, non potendo per contro il cittadino straniero lamentarsi della mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi riferita a circostanze non dedotte, ai fini del riconoscimento della protezione Cass. n. 23983 del 2020; Cass. n. 2355 del 2020; Cass. n. 9842 del 2019; Cass. n. 30105 del 2018);
2.3. In definitiva, quindi, le censure de quibus si risolvono, sostanzialmente, in una critica al complessivo governo del materiale istruttorio operato dal giudice a quo, cui il ricorrente intenderebbe opporre – affatto inammissibilmente in questa sede Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. n. 21381 del 2006, nonché le più recenti Cass. n. 8758 del 2017; Cass. n. 7119 del 2020; Cass. n. 32026 del 2021; Cass. n. 40495 del 2021; Cass. n. 1822 del 2022; Cass. n. 2195 del 2022) – una diversa valutazione delle medesime risultanze istruttorie.
3. Fondato, invece, nei soli limiti di cui appresso, risulta il terzo motivo di ricorso, volto a contestare il mancato riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari (e da scrutinarsi alla stregua della disciplina, da ritenersi applicabile ratione tempo, – Cass., SU, nn. 29459-29461 del 2019 – di cui al D.Lgs. n. 286, art. 5, comma 6).
3.1. Invero, la corte nissena ha evidenziato, sul punto 12 e ss. della sentenza impugnata), l’assenza di stati patologici di rilievo o di peculiari situazioni soggettive attestanti condizioni di vulnerabilità del richiedente protezione, nonché l’irrilevanza della dedotta e documentata integrazione socio-lavorativa raggiunta dal richiedente.
3.2. Osserva, tuttavia, il Collegio che, con la recente sentenza n. 24413 del 2021, le Sezioni Unite di questa Corte, nel ribadire quanto già affermato con la precedente sentenza n. 29459 del 2019 circa i caratteri di concretezza ed effettività che devono connotare il giudizio di comparazione, da effettuarsi dal giudice di merito, tra le condizioni di vita (grado di integrazione) del richiedente in Italia e quella che egli potrebbe avere in caso di rientro nel Paese di origine, hanno ulteriormente chiarito che i due termini di comparazione sono legati in senso inversamente proporzionale tra loro. In particolare, il maggior grado di integrazione in Italia ovvero le condizioni di vita ben integrate e documentate da parte dello straniero determineranno un minor peso della condizione soggettiva ed oggettiva del richiedente nel Paese di origine, e ciò in quanto la persona ben integrata e radicata, ove rimpatriata, potrebbe subire un effettivo scadimento delle condizioni di vita personali, familiari e lavorative, con il conseguente probabile vulnus al diritto riconosciuto dall’art. 8 della Convenzione EDU. Il giudizio di comparazione, dunque, dovrà essere effettuato tenendo conto della necessaria correlazione tra gli elementi sopra indicati in rapporto di proporzionalità inversa, mediante attribuzione ai rispettivi fattori di comparazione di un diverso peso nel senso precisato, non potendo porsi su un piano di equivalenza le documentate condizioni di integrazione e la situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine. L’indagine andrà condotta alla stregua del disposto dell’art. 8 CEDU, ossia occorrerà verificare se sussista il profilo di vulnerabilità legato alla comparazione tra il contesto economico, lavorativo e relazionale che il richiedente troverebbe rientrando nel Paese di origine e le condizioni di integrazione dal medesimo raggiunta in Italia nel tempo necessario al compimento dell’esame della sua domanda di protezione in sede amministrativa e giudiziaria. A tal fine, eccezion fatta per le ipotesi di radicale incertezza sulla identità o nazionalità stessa del richiedente (nella specie, peraltro, insussistente), non è di ostacolo al riconoscimento del beneficio domandato la ritenuta non credibilità del racconto della vicenda personale reso dal richiedente asilo, dovendosi apprezzare le conseguenze del rimpatrio sulla base delle condizioni generali del Paese di origine correlate alla sua posizione individuale (r., in motivazione, anche la più recente Cass. n. 430 del 2022).
3.2.1. Occorre, altresì, precisare che, in tema di protezione complementare di diritto nazionale, di protezione umanitaria in regime transitorio o di protezione speciale introdotta dal D.L. 21 ottobre 2020 n. 130, convertito, con modificazioni, dalla L. 18 dicembre 2020 n. 173, sul giudice del procedimento incombe il dovere di cooperazione istruttoria, che attiene alla prova dei fatti e non alla loro allegazione, previsto in tema di esame delle domande di protezione internazionale, ai sensi dell’art. 4 della Direttiva CE 13 dicembre 2011 n. 95, del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8 e dello stesso D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 9, e art. 27, comma 1-bis, limitatamente alle circostanze concernenti la situazione sociale, economica o politica del Paese di provenienza del richiedente e non, quindi, relativamente alle circostanze attinenti alla integrazione sociale, culturale, lavorativa e familiare del richiedente asilo in Italia Cass. n. 430 del 2022).
3.2.2. In definitiva ed in sintesi, alla stregua dei principi affermati con la citata recente pronuncia delle Sezioni Unite, i giudici di merito dovranno accertare: i) se il richiedente abbia dimostrato di aver raggiunto un apprezzabile livello di integrazione in Italia (influendo “..nel giudizio sulla vulnerabilità, non solo il rischio di danni futuri – legati alle condizioni oggettive e soggettive che il migrante (n)troverà nel Paese d’origine – ma anche il rischio di un danno attuale da perdita di relazioni affettive, di professionalità maturate, di osmosi culturale riuscita..”. Cfr. la citata Cass., SU, n. 24413 del 2021); i:) in caso di positivo accertamento del primo requisito, se il ritorno nel Paese d’origine renda probabile un significativo scadimento delle condizioni di vita privata e/o familiare sì da recare un vulnus al diritto riconosciuto dall’art. 8 Convenzione EDU e da far ritenere, perciò, sussistente un serio motivo di carattere umanitario, ai sensi dell’art. 5 T.U. Imm., e ciò mediante comparazione tra la situazione del Paese di origine ed il grado di integrazione in Italia da effettuarsi in rapporto di proporzionalità inversa.
3.2.3. Nel caso di specie, la corte di merito, ha giudicato sostanzialmente irrilevante la dedotta e documentata integrazione socio-lavorativa raggiunta dal richiedente, ed ha negato la protezione umanitaria limitandosi affermando che “… il riconoscimento della protezione umanitaria non può discendere da presupposti considerati in via esclusiva (quale l’avvenuta integrazione in Italia o la situazione lavorativa del richiedente), ma solo valutando nel loro insieme tutti gli elementi che possono concorrere a determinare una condizione di vulnerabilità che, sulla base di elementi legati alle vicende personali del richiedente, deve essere apprezzata nella sua individualità e concretezza ” (così, testualmente, pag. 13 della sentenza impugnata).
3.2.4. Tali complessive affermazioni, influenzate pure dalla ritenuta inattendibilità del racconto fatto dall’odierno ricorrente alla Commissione territoriale, non si rivelano, all’evidenza, coerenti con i principi che le Sezioni Unite hanno imposto in relazione all’effettuazione del giudizio comparativo di cui si è detto.
4. In definitiva, quindi, vanno dichiarati inammissibili i primi due motivi di ricorso, dovendosene, invece accogliere, nei limiti suddetti, il terzo. Pertanto, la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e la causa va rinviata alla Corte d’appello di Caltanissetta, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
PQM
La Corte dichiara inammissibili i primi due motivi di ricorso e ne accoglie il terzo nei sensi di cui in motivazione. Cassa la sentenza impugnata relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Caltanissetta, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 1 febbraio 2022.
Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2022