LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 29380/2019 proposto da:
G.A. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma V.le Bruno Buozzi 51, presso lo studio dell’avvocato Marcello Cardi, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati Mario Franzosi, e Vincenzo Piccarreta, in forza di procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Basic Italia s.p.a., Basicnet s.p.a.;
– intimati –
e contro
Basic Italia s.p.a. e Basicnet s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma Via Giambattista Vico 31, presso lo studio degli avvocati Nicola Bosco, ed Enrico Scoccini, che le rappresentano e difendono unitamente dell’avvocato Domenico Sindico, in forza di procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 894/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 28.5.2019;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 3.2.2022 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI;
lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto, che ha chiesto la sospensione del giudizio.
FATTI DI CAUSA
1. Con atto di citazione notificato il 10.3.2016 BasicNet s.p.a. e Basic Italia hanno evocato in giudizio dinanzi al Tribunale di Torino G.A. s.p.a. e La Rinascente s.p.a., lamentando la contraffazione di marchio e la concorrenza sleale posta in atto dalle convenute relativamente a un marchio figurativo ***** (breviter: ***** o “striscia colorata”) rappresentato da una striscia rettangolare costituita da bande verticali parallele di diverse dimensioni, definite in colori disposti in una precisa sequenza (blu navy, arancio, giallo, arancio e blu navy), di cui la prima era titolare e la seconda licenziataria, nonché di un marchio di fatto raffigurante una variazione grafica diversa, per dimensioni e colori delle strisce, rispetto al marchio registrato (includente la sequenza giallo, arancione e blu navy).
Le due convenute si sono costituite in giudizio e la società G.A. ha chiesto, in via riconvenzionale, la declaratoria di nullità della registrazione comunitaria per difetto di distintività.
Con sentenza pubblicata il 30.11.2017, il Tribunale di Torino ha dichiarato l’estinzione del giudizio nei confronti di La Rinascente, ha accertato che la produzione, importazione, esportazione, commercializzazione e pubblicizzazione dei prodotti della classe 25, in particolare giubbini, recanti i due marchi dell’attrice, costituiva atto di contraffazione, nonché atto di concorrenza sleale confusoria ha inibito alla G.A. di importare, esportare, porre in vendita, commercializzare e reclamizzare su tutto il territorio dell’Unione Europea prodotti recanti i marchi in questione e ha disposto la distruzione dei prodotti contrassegnati in ragione di detti titoli di privativa; ha infine rigettato la domanda, riconvenzionale.
2. La s.p.a. G.A. ha interposto appello avverso detta sentenza al quale hanno resistito BasicNet e Basic.
Con sentenza del 28.5.2019 la Corte di Torino ha respinto il gravame.
3. La sentenza è stata impugnata per cassazione dalla G.A., a cui hanno resistito con controricorso le società BasicNet e Basic.
4. Il ricorso della G.A. è articolato in undici motivi.
4.1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la falsa applicazione degli artt. 2 e 13 c.p.i., nonché la violazione dell’art. 120 c.p.i. e dell’art. 2697 c.c., nella parte in cui la sentenza gravata ha ritenuto sussistente il marchio di fatto in quanto dotato del requisito della capacità distintiva.
4.2. Col secondo mezzo la ricorrente deduce la falsa applicazione del principio di non contestazione nella parte in cui la sentenza impugnata aveva accertato la sussistenza della capacità distintiva del segno mediante un meccanismo presuntivo posto in essere in violazione dell’art. 2729 c.c., per mancanza di indizi aventi carattere di gravità, precisione e concordanza, e comunque con motivazione apparente, per contrasto irriducibile tra affermazioni.
4.3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.i. “per motivazione apparente per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili nella parte in cui la sentenza gravata ha accertato l’esistenza del segno del marchio di fatto ma ha al contempo rigettato la domanda riconvenzionale dell’esponente di nullità del marchio registrato per mancata prova della percezione da parte del pubblico del segno avversario quale semplice elemento ornamentale”.
4.4. Col quarto motivo la sentenza impugnata viene censurata dalla A. per violazione dell’art. 121 c.p.i. e dell’art. 2697 c.c., nella parte in cui è stata rigettata la domanda riconvenzionale di nullità del marchio registrato di controparte sulla base del rilievo per cui l’onere di provare la nullità compete a chi impugna il titolo.
4.5. Il quinto motivo denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso, “ovvero l’utilizzo nel mondo dell’abbigliamento di colorazioni particolari apposte sulla striscia di materiale che unisce la cerniera al capo di abbigliamento e di strisce colorate”.
4.6. Col sesto motivo vengono opposte la violazione e la falsa applicazione dell’art. 9 c.p.i. e art. 7 reg. (UE) 1001/2017 nella parte in cui la sentenza impugnata, nel rigettare la domanda di nullità del marchio registrato, ha negato la valenza funzionale di quanto oggetto di registrazione.
4.7. Il settimo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 20 c.p.i. e art. 9 reg. (UE) 1001/2017 per errata applicazione delle norme sull’ambito di protezione del segno.
4.8. Con l’ottavo motivo la ricorrente propone una censura di violazione e falsa applicazione dell’art. 20 c.p.i. e art. 9 reg. UE 1001/2017 e di violazione dell’art. 132 c.p.c., per totale omissione di motivazione o comunque, in subordine, di motivazione apparente, nella parte in cui, ai fini dell’accertamento della contraffazione, il giudice del gravame ha escluso la funzione ornamentale delle strisce colorate adottate da A., che in realtà non sarebbero neppure “segni”.
4.9. Col nono motivo vengono lamentate la violazione e la falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., per aver la Corte di appello omesso di pronunciare sul motivo di gravame in tema di valenza meramente ornamentale delle strisce A.; sono inoltre denunciate la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., nella parte in cui la Corte non ha preso atto della mancata contestazione, da parte delle resistenti, delle modalità di utilizzo delle dette strisce.
4.10. Col decimo motivo la ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., per aver la Corte di merito mancato di pronunciarsi sul motivo di appello relativo al rischio di confusione per associazione.
4.11. L’undicesimo mezzo censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 2598 c.c.; viene deplorata l’errata applicazione dei criteri giuridici di valutazione del rischio di associazione.
5. La ricorrente ha dato conto, con apposita memoria, della decisione assunta dalla Divisione di annullamento dell’EUIPO in data 12.8.2020: con detta decisione, prodotta unitamente alla memoria, è stata dichiarata la nullità del marchio dell’Unione Europea n. *****, oggetto del presente giudizio. Di tale pronuncia hanno dato atto anche le controricorrenti.
Entrambe le parti contendenti hanno poi precisato che la suddetta decisione è stata impugnata; A. ha precisato che avanti alla Commissione di ricorso dell’EUIPO pende il ricorso R-1924/2020.
6. Preso atto di tali circostanze, la Corte con ordinanza interlocutoria n. 23850 del 3.9.2021 ha ritenuto opportuno rinviare la causa in pubblica udienza onde consentire alle parti private e al pubblico ministero di interloquire – anche in punto di eventuale sospensione del presente giudizio, avuto riguardo a quanto stabilito dall’art. 104 del reg. CE n. 207/2009, ora art. 132 reg. (UE) n. 2017/1001 sulle conseguenze processuali dipendenti dalla pendenza avanti all’EUIPO del procedimento vertente sulla nullità del marchio sopra citato.
7. Entrambe le parti hanno depositato memoria nel termine concesso.
Le controricorrenti hanno chiesto la prosecuzione del giudizio segnalando inoltre:
(a) che con decisione del 3.5.2021 la Commissione Ricorsi dell’EUIPO aveva accolto l’impugnazione della decisione della Divisione di annullamento del 12.8.2020, con riferimento all’art. 7, par. 1, lett. b), del regolamento UE 1001/17 (di seguito RMUE) confermando la validità del marchio in contestazione sotto quel profilo e ha rinviato alla Divisione annullamento per l’esame degli altri motivi rimasti assorbiti (relativamente all’art. 7, par. 1, lett. a), c), e), RMUE in combinato disposto con l’art. 59, par. 1, lett. a) RMUE));
(b) che con sentenza del 23.6.2021 la Corte di appello di Torino aveva dichiarato inammissibile l’impugnazione per revocazione proposta da A. per errore di fatto della stessa sentenza qui impugnata.
La ricorrente, dando atto anch’essa della pronuncia delle due decisioni sopra citate, ha invece chiesto la sospensione del procedimento in attesa della definizione del procedimento di nullità del marchio ***** pendente dinanzi all’EUIPO.
8. Per la decisione sul ricorso proposto per la trattazione in udienza pubblica è stato applicato lo speciale rito cartolare previsto dal D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176 e prorogato a tutto il 2022 dal D.L. 30 dicembre 2021, n. 228.
Il Procuratore generale ha concluso chiedendo la sospensione del giudizio.
Entrambe le parti hanno presentato ulteriore memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
9. La prima questione da esaminare riguarda la sospensione del presente procedimento in attesa della definizione del procedimento di nullità del marchio ***** pendente dinanzi all’EUIPO, tema questo sul quale l’ordinanza interlocutoria ha espressamente sollecitato una presa di posizione delle parti.
9.1. L’art. 132 del regolamento UE del Parlamento Europeo e del Consiglio 14.6.2017 n. 1001 sul marchio dell’Unione Europea versione codificata (di seguito, semplicemente RMUE), in tema di “Norme specifiche in materia di connessione”, prevede nel suo primo paragrafo che se non esistono motivi particolari per proseguire il procedimento, il tribunale dei marchi UE adito per un’azione contemplata dall’art. 124, diversa da un’azione di accertamento di non contraffazione, sospenda il procedimento di propria iniziativa dopo aver sentito le parti, ovvero a richiesta di una delle parti e sentite le altre, nel caso in cui la validità del marchio UE sia già contestata dinanzi a un altro tribunale dei marchi UE con una domanda riconvenzionale o sia stata presentata una domanda di decadenza o di nullità presso l’Ufficio.
Il secondo paragrafo, anche in questo caso sempre che non esistano motivi particolari per proseguire il procedimento, prevede che l’Ufficio al quale sia stata presentata una domanda di decadenza o di nullità sospenda il procedimento di propria iniziativa dopo aver sentito le parti, ovvero a richiesta di una delle parti e sentite le altre, quando la validità del marchio UE sia già stata contestata dinanzi a un tribunale dei marchi UE con una domanda riconvenzionale. Tuttavia, qualora una delle parti nel procedimento dinanzi al tribunale dei marchi UE lo chieda, il tribunale, sentite le altre parti, può sospendere il procedimento e in tal caso l’Ufficio prosegue il procedimento dinanzi a esso pendente.
9.2. Tale disciplina presenta una serie di caratteristiche peculiari: l’elasticità delle soluzioni, modulabili in certa misura secondo il caso concreto, per valutarne i profili “particolari”; il rispetto del contraddittorio sulle statuizioni e quindi la necessità di un dialogo, seppur di regola non vincolante, con le parti; l’operatività di un principio tendenziale di prevenzione; un limitato favor per il procedimento dinanzi all’EUIPO.
9.3. Il primo paragrafo regola il caso in cui la prevenzione gioca a favore del procedimento instaurato dinanzi all’EUIPO o dinanzi a un altro tribunale dei marchi UE nell’ambito del quale la validità del marchio UE sia stata contestata dal convenuto in via riconvenzionale, come consentito dall’art. 128 RMUE; in tal caso, il tribunale dei marchi UE successivamente adito per un’azione contemplata dall’art. 124, diversa da un’azione di accertamento di non contraffazione (cioè, essenzialmente, per un’azione di contraffazione) deve in linea di principio sospendere il procedimento, sentite le parti.
Il testo italiano del regolamento presenta un lieve margine di ambiguità perché l’avverbio temporale “già” non è ripetuto nella seconda ipotesi, nella frase “ove la validità del marchio UE sia già contestata dinanzi a un altro tribunale dei marchi UE con una domanda riconvenzionale o sia stata presentata una domanda di decadenza o di nullità presso l’Ufficio”, tanto che si potrebbe pensare, leggendola isolatamente, che la domanda di decadenza o nullità presso l’Ufficio prevalga comunque.
Non è così, sia alla luce del confronto con il testo del regolamento nelle altre principali lingue dell’Unione (inglese, francese, spagnolo e tedesco) in cui l’avverbio temporale (“already” o “dejà”…) è ripetuto per entrambe le ipotesi, sicché si deve ritenere così interpretabile anche il testo italiano; sia perché, altrimenti, lo stesso secondo paragrafo dell’art. 132 perderebbe di significato.
Fa eccezione l’ipotesi in cui una delle parti nel procedimento dinanzi al tribunale dei marchi UE lo chieda, e il tribunale, sentite le altre parti, può sospendere il procedimento e in tal caso l’Ufficio prosegue il procedimento dinanzi a esso pendente.
9.5. Il secondo paragrafo dell’art. 132 contempla l’ipotesi opposta, in cui la prevenzione gioca a favore del procedimento dinanzi a un tribunale dei marchi UE, investito con una domanda riconvenzionale di nullità; in questo caso, sempre che non esistano motivi particolari per proseguire il procedimento, è l’EUIPO, adito con una domanda di decadenza o di nullità, a sospendere il procedimento. Tuttavia, qualora una delle parti nel procedimento dinanzi al tribunale dei marchi UE lo chieda, il tribunale, sentite le altre parti, può sospendere il procedimento e in tal caso l’Ufficio prosegue il procedimento dinanzi a esso pendente.
9.6. Il coordinamento operativo è assicurato dal paragrafo 4 dell’art. 128 RMUE, secondo il quale il tribunale dei marchi UE presso il quale viene proposta una domanda riconvenzionale di decadenza o di nullità di un marchio UE non procede all’esame della domanda riconvenzionale fintanto che non sia stato informato l’Ufficio della data in cui la domanda riconvenzionale è stata presentata. Se una domanda di decadenza o di nullità del marchio UE era già stata presentata dinanzi all’Ufficio prima del deposito della domanda riconvenzionale, l’Ufficio informa il tribunale il quale sospende il procedimento in conformità dell’art. 132, paragrafo 1, fino all’adozione della decisione finale sulla domanda o al ritiro della domanda.
Il paragrafo 7 dello stesso art. 128 prevede infine la possibilità che il tribunale dei marchi UE adito con una domanda riconvenzionale di decadenza o di nullità possa sospendere il procedimento, su richiesta del titolare del marchio UE e sentite le altre parti, e invitare il convenuto a presentare una domanda di decadenza o di nullità dinanzi all’Ufficio entro un certo termine, mentre se la domanda non viene proposta entro tale termine, si prosegue il procedimento e si considera ritirata la domanda riconvenzionale.
9.7. Nel presente procedimento la domanda riconvenzionale di nullità del marchio ***** (breviter: ***** o “striscia colorata”) è proposta da A. con comparsa di risposta del 13.6.2016, mentre la domanda di nullità in sede EUIPO è stata proposta solo il 14.10.2019 dalla Socim s.p.a. (come risulta dalla decisione parziale del 21.5.2021 della Commissione di ricorso EUIPO, pag. 2, prodotta da entrambe le parti).
La prevenzione gioca indubbiamente a favore del Tribunale di marchi UE: il che esclude l’ipotesi di cui al par. 1 dell’art. 132 RMUE.
Parimenti da escludersi anche l’ingresso dell’ipotesi di cui all’art. 128, par. 7, RMUE, quand’anche esperibile in sede di legittimità, visto che la titolare del marchio chiede la prosecuzione del procedimento.
Il caso rientra quindi nel paradigma di cui al par. 2 dell’art. 132, sicché semmai sarebbe l’EUIPO a dover sospendere il suo procedimento, salva una diversa valutazione.
9.8. Vi è indubbiamente la possibilità discrezionale di una sospensione, espressione del favor per il procedimento EUIPO, su richiesta di una delle parti, di cui al par. 2, ultimo periodo, dell’art. 132, di cui non si ravvisano però i presupposti giustificativi, sia in considerazione, dello stato del presente procedimento, pervenuto alla fase di legittimità, della posizione ostativa assunta dalla titolare del marchio, della presenza di altri importanti temi di discussione, diversi dal marchio UE, della solo limitata sovrapposizione dei temi di validità del marchio ancora in discussione dinanzi all’EUIPO.
10. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la falsa applicazione degli artt. 2 e 13 c.p.i., nonché la violazione dell’art. 120 c.p.i. e dell’art. 2697 c.c. nella parte in cui la sentenza gravata ha ritenuto sussistente il marchio di fatto in quanto dotato del requisito della capacità distintiva.
10.1. La ricorrente sostiene che la Corte piemontese aveva finito per ritenere sussistente la capacità distintiva del marchio in questione solo in quanto “usato per molti anni senza alcuna variazione su prodotti di tipo diverso”, senza valutare, in concreto, la percezione che il pubblico aveva avuto del segno.
In tal modo, tra l’altro, il giudice distrettuale avrebbe mancato di considerare che la percezione della sequenza cromatica come segno distintivo rappresentava un fatto costitutivo ulteriore e differente rispetto all’uso del segno stesso: fatto costitutivo che avrebbe dovuto essere provato dalla controparte.
10.2. Il motivo appare inammissibile.
Innanzitutto le norme indicate come violate appaiono inconferenti rispetto alla tutela apprestata dall’ordinamento al marchio di fatto.
L’art. 2, comma, c.p.i. si limita a prevede la protezione ricorrendone i presupposti di legge, di segni distintivi diversi dal marchio registrato; l’art. 13 c.p.i. riguarda la capacità distintiva; l’art. 120 c.p.i. concerne giurisdizione e competenza per le controversie relative a diritti di proprietà industriale; l’art. 2697 c.c., regola la distribuzione tra le parti dell’onere della prova.
Nessuna di questa disposizioni è stata violata dalla sentenza impugnata, che non ha affatto ritenuto che l’onere probatorio di dimostrare l’esistenza di un marchio di fatto non competesse a chi se ne proclamava titolare, né che il segno non dovesse possedere capacità distintiva, né, infine, che la capacità distintiva non dovesse essere apprezzata con riferimento alla percezione del pubblico di riferimento, ossia che la percezione della sequenza cromatica come segno distintivo da parte del pubblico non rappresentasse un fatto costitutivo ulteriore e differente rispetto all’uso del segno da parte del titolare.
10.3. In effetti la ricorrente mira a contestare l’accertamento di fatto operato dal giudice del merito circa la capacità distintiva del marchio di fatto “striscia colorata” nella particolare composizione utilizzata dalle società attrici, insindacabile in sede di legittimità, se non per vizio di motivazione nei limiti attualmente consentiti del c.d. “minimo costituzionale” dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, dell’omesso esame di fatto decisivo discusso fra le parti, mezzo nella fattispecie comunque precluso in caso di doppia pronuncia conforme dei giudici di merito ex art. 348 c.p.c., ter, comma 5.
In altre parole, A. critica la sentenza impugnata per aver accertato che il marchio di fatto “striscia colorata” fosse percepito come distintivo dal pubblico di riferimento, senza riuscire ad addebitarle la violazione di una regula juris nella formulazione di tale giudizio.
10.4. Dunque è solo per completezza che la Corte osserva che la Corte di appello, come prima il Tribunale, ha dato rilievo a tal fine all’accertamento compiuto dalla sentenza della Corte di Giustizia UE del 6.9.2018, causa 547/17, non sulla base della sua vincolatività ma quale elemento di convincimento in ordine alla sovrapponibilità delle situazioni fattuali documentate ed esaminate e alla documentazione prodotta in quella sede e nell’ambito del procedimento.
Nessuna norma impone di valutare la capacità distintiva e le percezioni del pubblico alla stregua di indagini demoscopiche, che costituiscono solo un possibile strumento di indagine, neppur previsto espressamente dalla legge e da ricondursi semmai nell’ambito di una consulenza tecnica d’ufficio, sì che il giudice è libero di formarsi il proprio convincimento sulla base di ogni possibile mezzo di prova.
10.5. Nelle pagine da 13 a 20 della sentenza impugnata, scrutinando il secondo motivo di appello di A., la Corte subalpina ha pienamente accolto il principio della necessità della riconoscibilità della striscia colorata per la tutela come marchio di fatto; ha posto in evidenza la rilevanza probatoria in tal senso della documentazione prodotta da parte delle attrici in primo grado riguardante la prova della percezione da parte del pubblico dei consumatori, tra l’altro contestata solo in misura molto parziale e non specifica (pag. 16, capoverso); ha invocato a sostegno il precedente di Corte di Giustizia UE 24.6.2004 circa la possibilità di tutela di combinazioni cromatiche, purché rappresentate graficamente in modo preciso secondo codici di identificazione internazionalmente riconosciuti e secondo una disposizione sistematica che associ i colori in modo predeterminato e costante e cioè in modo tale “da consentire al consumatore di percepire e memorizzare una combinazione particolare che egli potrebbe utilizzare per reiterare, con certezza, una esperienza di acquisto” (pag. 16, secondo capoverso); ha accertato nel caso concreto la ricorrenza di tali caratteri; ha quindi affrontato, ancor più specificamente, il cuore della censura di A. e cioè l’assunto che i consumatori non percepissero la striscia colorata come indicatore di provenienza, ma solo come elemento ornamentale; ha conferito rilievo scriminante per selezionare l’uso ornamentale dall’uso distintivo alla costanza e alla stabilità (accertate e verificate in concreto) il cui scopo è “quello di determinare nei consumatori la percezione di un rapporto fra prodotti e produttore, il che può avvenire solo se i primi siano caratterizzati sempre da un determinato segno, cui, conseguentemente, i consumatori ricollegano la loro origine”; ha accertato che il segno “striscia colorata” era stato apposto per molti anni senza alcuna variazione su prodotti di tipo diverso e ne ha tratto argomento per coglierne la funzione di indicatore di provenienza, caratterizzata dalla sua indifferenza ai prodotti contraddistinti; ha escluso che una covalenza decorativa possa inficiare la accertata e prevalente funzione distintiva.
10.6. In sintesi, A. con il motivo analizzato ha cercato di ricondurre a una violazione di legge il proprio dissenso sul merito dell’accertamento condotto dalla Corte torinese, che ha rispettato le norme e i principi invocati dalla ricorrente, salvo diversamente ricostruire la fattispecie concreta a cui applicarli.
11. Col secondo mezzo la ricorrente deduce la falsa applicazione del principio di non contestazione nella parte in cui la sentenza impugnata aveva accertato la sussistenza della capacità distintiva del segno mediante un meccanismo presuntivo posto in essere in violazione dell’art. 2729 c.c., per mancanza di indizi aventi carattere di gravità, precisione e concordanza, e comunque con motivazione apparente, per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili.
11.1. La ricorrente richiama il principio secondo cui le prove documentali non sono soggette all’onere di specifica contestazione, come invece i fatti costitutivi della pretesa avversaria; rileva che la Corte di appello aveva reso enunciazioni contraddittorie, prima affermando che l’uso del segno, in base alla documentazione prodotta, risultava essere stato continuativo e poi dando atto della incompletezza della detta documentazione (che quindi evidenziava dei “buchi” nella rappresentazione dello sfruttamento prolungato del segno stesso): in particolare, la Corte di merito aveva dato atto di un uso risalente al 1988 e di una ripresa di esso nel 2004.
11.1.1. La prima affermazione non è pertinente, visto che la Corte di appello non ha affatto applicato l’art. 115 c.p.c., ma ha dato rilievo probatorio a una imponente prova documentale prodotta dalle parti attrici a sostegno del proprio convincimento, rafforzando tale considerazione con il rilievo che la parte convenuta appellante non aveva mosso contestazioni pertinenti che lo inficiassero.
11.1.2. Inoltre la contraddizione rimarcata non esiste. La Corte di appello ha accertato un uso continuativo, non ha ammesso alcun “buco” e alcuna “ripresa” e si è limitata a indicare esemplificativamente alcuni documenti e le relative datazioni che lo dimostravano.
11.2. La ricorrente contesta, poi, che la capacità distintiva del segno possa essere desunta dal fatto che questo fosse stato apposto su diversi prodotti: rileva, in particolare, che la presenza di una striscia colorata su capi di diversa natura confermerebbe la sua funzione ornamentale.
La censura scivola nel merito e neppure si confronta integralmente con l’opinione, del tutto ragionevole, espressa dai Giudici subalpini che proprio dall’apposizione del segno striscia colorata su capi del tutto diversi hanno tratto conferma di una valenza, non solo estetica e ornamentale, ma soprattutto distintiva, volta cioè a far riconoscere il prodotto dai consumatori e indurli a collegarlo alla fonte produttiva.
11.3. A. deduce, inoltre, che nessuna presunzione circa la valenza distintiva del segno potesse trarsi dalla circostanza per cui il medesimo era presente, sui prodotti della controparte, “in combinazione col marchio *****”; osserva, al riguardo, che tale marchio devierebbe inevitabilmente l’attenzione del consumatore e che, proprio per tale ragione, quest’ultimo sarebbe indotto a negare capacità distintiva a un “elemento pacificamente decorativo ab origine” – la striscia colorata – che continuerebbe ad essere percepito, quindi, come tale dal consumatore.
Ancora una volta la censura sconfina nel merito, nel tentativo di scomporre l’argomentazione complessiva della Corte di appello in singoli tasselli aggrediti per violazione di legge.
Per di più, l’osservazione della Corte territoriale è del tutto logica nel conferire valore di riconoscimento all’abbinamento sistematico nell’uso dei diversi segni.
11.4. La ricorrente osserva, poi, come la stessa Corte di appello avesse dato atto dell’utilizzo, sui prodotti *****, di segni consistenti in strisce colorate diversi da quelli rappresentati dal marchio di fatto oggetto di causa: evenienza, questa, che confermava che non esistesse un segno distintivo quale quello fatto valere da controparte, e ciò “proprio perché il mercato non lo percepisce neppure nei suoi esatti contorni”.
Questo elemento è del tutto irrilevante e attiene comunque a un giudizio di merito.
11.5. Infine la ricorrente contesta che possa attribuirsi valenza indiziaria alla pronuncia del Tribunale UE del 20 luglio 2017, citata dalla sentenza impugnata: sentenza secondo cui il segno in contestazione aveva acquisito un carattere distintivo, in seguito all’uso, in alcuni Stati membri, tra cui l’Italia.
La censura non è pertinente, al di là del fatto che non si comprende bene nella sua impostazione perché non si potrebbe attribuire valore indiziario a un accertamento di fatto contenuto in una sentenza del Tribunale UE: infatti la Corte di appello ha soltanto e semplicemente dichiarato di condividere il contenuto della sentenza del Tribunale UE, richiamandone le argomentazioni e riferendosi allo stesso materiale probatorio.
12. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.i. “per motivazione apparente per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili nella parte in cui la sentenza gravata ha accertato l’esistenza del segno del marchio di fatto ma ha al contempo rigettato la domanda riconvenzionale dell’esponente di nullità del marchio registrato per mancata prova della percezione da parte del pubblico del segno avversario quale semplice elemento ornamentale”.
12.1. La ricorrente si duole del fatto che, chiamata a giudicare della validità dell’ulteriore marchio registrato avversario, la Corte di appello avesse ritenuto che la questione di nullità involgesse il tema della prova positiva della percezione del segno da parte dei consumatori come semplice elemento ornamentale.
In altri termini, la ricorrente cerca di sottolineare la contraddittorietà della sentenza impugnata la quale, per un verso, nel pronunciarsi sulla valenza distintiva del segno di fatto, avrebbe ritenuto sufficiente la prova dell’uso risalente, costante e diffuso del segno stesso e, per altro verso, dovendosi occupare della nullità del marchio registrato, avrebbe preteso che l’attrice in riconvenzionale fornisse prova della percezione, da parte dei consumatori, del segno come mero elemento ornamentale.
12.2. Il motivo è infondato.
La Corte di appello, come sopra ampiamente esposto, nel pronunciarsi sulla valenza distintiva del segno di fatto “striscia colorata”, non aveva affatto ritenuto sufficiente la prova dell’uso risalente, costante e diffuso del segno stesso e aveva anche considerato provata la sua percezione da parte del pubblico come segno distintivo.
Quanto alla domanda riconvenzionale di nullità del segno registrato, è ovvio che l’attrice in riconvenzionale dovesse fornire prova della percezione, da parte dei consumatori, del segno come mero elemento ornamentale, stante l’onere probatorio che incombeva a suo carico (art. 121, comma 1, c.p.i.; art. 127 RMUE).
13. Col quarto motivo la sentenza impugnata viene censurata dalla A. per violazione dell’art. 121 c.p.i. e dell’art. 2697 c.c., nella parte in cui è stata rigettata la domanda riconvenzionale di nullità del marchio registrato di controparte sulla base del rilievo per cui l’onere di provare la nullità compete a chi impugna il titolo.
13.1. La ricorrente deduce che la sentenza gravata avrebbe mancato di considerare che il segno non era pacificamente dotato di capacità distintiva ab origine e che tale requisito, a tutto concedere, avrebbe potuto essere acquisito solo in seguito, a mezzo del secondary meaning.
Comprovata, quindi, la valenza ornamentale del segno avversario, gravava sulla controparte l’onere di fornire la prova della effettiva “secondarizzazione” anche del marchio registrato.
13.2. Il motivo, su cui la ricorrente ritorna alle pagine 10 e 11 della memoria 27.1.2022, è infondato.
Entrambi i presupposti su cui poggia l’argomentazione non sono condivisibili.
13.2.1. Da un lato e in primo luogo, l’assunto del fatto che il marchio registrato di Basic sarebbe stato in origine privo di capacità distintiva, avendola acquisita solo per “secondarizzazione” in forza dell’uso, è indimostrato.
Non giova alla ricorrente il richiamo alla pagina 17 della sentenza impugnata che non formula affatto tale affermazione e si limita in generale a sostenere che l’acquisto del carattere distintivo può derivare anche dall’uso fatto del segno.
13.2.2. D’altra parte e in secondo luogo, la Corte territoriale di appello (pag. 23-24) ha affermato che il marchio ***** di cui si invoca la nullità non è affatto un marchio di colore ma un marchio figurativo relativo ad una striscia colorata rettangolare applicata sui prodotti, costituita da bande verticali parallele di diverse dimensioni in una sequenza cromatica predefinita (blu navy, arancio, giallo, arancio e blu navy).
13.3. In ogni caso, se il marchio è registrato, per di più in sede Europea all’esito di procedimento in contraddittorio con EUIPO, l’onere della prova di dimostrarne l’invalidità compete a chi aggredisce giudizialmente il titolo ai sensi dell’art. 121 c.p.u. e 127 RMUE e a nulla rileva che la capacità distintiva fosse originaria o sopravvenuta, se la sua acquisizione risale comunque a un momento anteriore al rilascio del titolo, momento nel quale l’Ufficio competente ne ha accertato la validità.
13.4. Del tutto ineccepibili, poi, appaiono le considerazioni della Corte subalpina circa la mancata dimostrazione dell’inesistenza del collegamento riconoscitivo del segno da parte del pubblico dei consumatori interessati, visto che A. non ha affatto sottoposto al giudice le indagini demoscopiche che pur riteneva necessarie e circa l’ammissibilità di una prova negativa, da fornirsi mediante deduzione e dimostrazione dei fatti positivi contrari.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’onere probatorio gravante, a norma dell’art. 2697 c.c., su chi intende far valere in giudizio un diritto, ovvero su chi eccepisce la modifica o l’estinzione del diritto da altri vantato, non subisce deroga neanche quando abbia ad oggetto “fatti negativi”, in quanto la negatività dei fatti oggetto della prova non esclude né inverte il relativo onere, tanto più se l’applicazione di tale regola dia luogo ad un risultato coerente con quello derivante dal principio della riferibilità o vicinanza o disponibilità dei mezzi di prova, riconducibile all’art. 24 Cost. e al divieto di interpretare la legge in modo da rendere impossibile o troppo difficile l’esercizio dell’azione in giudizio. Tuttavia, non essendo possibile la materiale dimostrazione di un fatto non avvenuto, la relativa prova può essere data mediante dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario, o anche mediante presunzioni dalle quali possa desumersi il fatto negativo (da ultimo, Sez. 6 – 3, n. 8018 del 22.3.2021, Rv. 660986 – 01; Sez. L, n. 23789 del 24.9.2019, Rv. 655064 – 01; Sez. 5, n. 19171 del 17.7.2019, Rv. 654751 – 01).
14. Il quinto motivo denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso, “ovvero l’utilizzo nel mondo dell’abbigliamento di colorazioni particolari apposte sulla striscia di materiale che unisce la cerniera al capo di abbigliamento e di strisce colorate”.
14.1. La ricorrente lamenta che il giudice distrettuale non abbia preso in considerazione, in particolare, i profili di censura da lei articolati nel quarto motivo di appello, vertenti sul rilievo per cui il consumatore, nel settore di riferimento, percepisce le “strisce colorate” come mero elemento decorativo del prodotto su cui le stesse sono apposte: il che escluderebbe che ci si trovi in presenza di un segno distintivo.
14.2. Il motivo è infondato.
La Corte piemontese ha esaminato in vari passaggi della sentenza la tesi della ricorrente, legata all’affollamento del settore, escludendo, da un lato, che la diffusione dell’utilizzo di cerniere colorate potesse giustificare il diniego di carattere distintivo a una particolare combinazione cromatica in funzione distintiva, e sottolineando, dall’altro, come a fronte dell’utilizzabilità potenziale di una vastissima gamma di colori il ricorso a una particolare costante combinazione cromatica ben definita, per giunta censurato solo genericamente, non potesse comportare deprecabili effetti monopolistici.
Ed ancora una volta, attraverso la censura di error in procedendo la ricorrente mira a ribaltare una decisione di merito sfavorevole con cui la Corte distrettuale ha semplicemente ritenuto che quella particolare combinazione cromatica, così come costantemente utilizzata nel tempo per contrassegnare i prodotti Basic Net, avesse assunto una capacità distintiva.
14.3. In subordine, il motivo prospetta il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, con riguardo all’utilizzo, nella moda, delle richiamate colorazioni.
Prima ancor che preclusa dalla doppia pronuncia conforme ex art. 348 ter c.p.c., comma 5, la censura è sine materia: la sentenza impugnata non ha affatto omesso di considerare il fatto del ricorso nell’ambito del settore della moda a determinate sequenze colorate nella striscia di materiale che congiunge la cerniera al capo di abbigliamento.
15. Col sesto motivo la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 9 c.p.i. e dell’art. 7 RMUE nella parte in cui la sentenza impugnata, nel rigettare la domanda di nullità del marchio registrato, ha negato la valenza funzionale di quanto, oggetto di registrazione.
15.1. In tale prospettiva la ricorrente richiama la prescrizione per cui sono esclusi dalla registrazione i segni costituiti esclusivamente dalla forma o altra caratteristica che dà un valore sostanziale al prodotto, per rilevare come la questione della monopolizzazione dello sfruttamento di un colore come marchio si pone in termini analoghi a quella del marchio di forma. Viene così imputata alla Corte di appello la mancata valutazione della effettiva percezione, come marchio, che il pubblico ha dei segni della controparte, di per sé ornamentali, o comunque frutto delle tendenze della moda.
15.2. Il motivo è inammissibile per due differenti ragioni.
Per un verso, la Corte territoriale in sede di esame del quarto motivo di appello (sub B, pag. 23-24) ha affermato che il marchio ***** di cui si invoca la nullità non è affatto un marchio di colore ma un marchio figurativo relativo ad una striscia colorata rettangolare applicata sui prodotti, costituita da bande verticali parallele di diverse dimensioni in una sequenza cromatica predefinita (blu navy, arancio, giallo, arancio e blu navy), diversamente dalla prima registrazione proposta originariamente da Basic come marchio di colore e rigettata dall’allora UAMI (ora EUIPO).
Pertanto il motivo, privo di pertinenza, cade fuori fuoco, perché non attacca la ratio decidendi rammentata e ragiona come se ci si trovasse di fronte ad un marchio di colore sic et simpliciter.
15.3. In ogni a caso a pag. 29 sub C), la Corte di appello, ragionando in termini di applicabilità ai segni oggetto di causa delle prescrizioni relative ai marchi di forma, ha comunque escluso, ancora una volta nel merito, che essi fossero tali da conferire un valore sostanziale al prodotto, non incidendo in modo determinante sul loro apprezzamento e non presentando una connotazione decorativa prevalente su quella distintiva, confortando la validità di tale argomentazione con il rilievo dell’applicazione del segno in abbinamento ai prodotti più diversi, quali indicatori di provenienza piuttosto che come fregio decorativo che presupporrebbe una certa coerenza fra prodotto e decorazione.
Ancora una volta la censura sconfina quindi nel merito dell’accertamento compiuto dai giudici piemontesi.
16. Il settimo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 20 c.p.i. e art. 9 reg. (UE) 1001/2017 per errata applicazione delle norme sull’ambito di protezione del segno.
16.1. La ricorrente A. muove dal rilievo, contenuto nella sentenza impugnata, per cui il suo prodotto replicherebbe, nei suoi caratteri essenziali, sia il marchio di fatto, sia quello registrato.
La ricorrente deduce che la sentenza impugnata avrebbe, per un verso, ritenuto i due marchi avversari fossero diversi tra loro (consistendo, essi, in differenti sequenze della combinazione cromatica) e, al contempo, reputato che il segno apposto sui prodotti A. fosse idoneo ad interferire con l’ambito di protezione di entrambi i segni.
La ricorrente rileva che, in tal modo, sarebbe stato attribuito alla controparte un monopolio sui colori nero, blu, rosso, giallo, arancione, anche indipendentemente dalla loro disposizione e dalle loro forme; osserva, d’altra parte, che il consumatore è in grado di percepire come marchio la sequenza cromatica in quanto tale, e quindi “quelle strisce colorate e non altre, per quanto ad esse vicine”.
16.2. Il motivo è inammissibile perché volto a censurare, nel merito, l’ampia motivazione riservata alle pagine 32-33 della sentenza impugnata dalla Corte di appello alla interferenza del segno utilizzato da A. con i due marchi figurativi, di fatto e registrato UE di Basic Net, condotta secondo il corretto criterio del giudizio sintetico e impressivo individuato dalla giurisprudenza.
16.3. Ancora molto recentemente questa Corte (Sez. 1, n. 39764 del 13.12.2021; Sez. 6.1, n. 12566 del 12.5.2021) ha ricapitolato i principi che debbono governare il giudizio di confondibilità e ha riaffermato che l’apprezzamento del giudice del merito sulla confondibilità fra segni distintivi similari deve essere compiuto non già in via analitica, attraverso il solo esame particolareggiato e la separata considerazione di ogni singolo elemento, ma in via globale e sintetica (Sez. 1, n. 8577 del 6.4.2018, Rv. 647769 – 01; Sez. 1, n. 1906 del 28.1.2010, Rv. 611399 – 01; Sez. 1, n. 6193 del 7.3.2008, Rv. 602620 – 01; Sez. 1, n. 4405 del 28.2.2006, Rv. 589976 – 01).
Tale accertamento va condotto, cioè, con riguardo all’insieme degli elementi salienti grafici e visivi, mediante una valutazione di impressione, che prescinde dalla possibilità di un attento esame comparativo, avuto riguardo alla normale diligenza e avvedutezza del pubblico dei consumatori di quel genere di prodotti, dovendo il raffronto essere eseguito tra il marchio che il consumatore guarda ed il mero ricordo dell’altro (cfr. quanto evidenziato in motivazione da Sez. 1, 17.10.2018, n. 26001, attraverso il richiamo alla citata Sez. 1, n. 4405 del 28.2.2006).
Il principio inoltre è conforme all’insegnamento della giurisprudenza della Corte di giustizia, secondo cui il rischio di confusione tra marchi deve essere oggetto di valutazione globale, in considerazione di tutti i fattori pertinenti del caso di specie: valutazione che deve fondarsi, per quanto attiene alla somiglianza visuale, auditiva o concettuale dei marchi di cui trattasi, sull’impressione complessiva prodotta dai marchi, in considerazione, in particolare, degli elementi distintivi e dominanti dei marchi medesimi (Corte Giust. CE 11.11.1997, C-251.95, Sabel, 22 e 23; Corte Giust. CE 22.6 1999, C-342.97, Lloyd, 25).
Se è vero poi che il giudizio deve essere sintetico e basato sull’impressione complessiva agli occhi del pubblico di riferimento e non analitico, condotto mediante un minuzioso e dettagliato raffronto degli elementi di somiglianza e dissomiglianza dei due segni, non è men vero che l’obbligo di motivazione che incombe sul giudice gli impone, per scongiurare l’arbitrio, di dar conto delle ragioni che hanno orientato il suo giudizio e mettere in luce gli elementi che attirano primariamente l’attenzione del fruitore.
Recentemente con la citata ordinanza n. 39764 del 13.12.2021 è stato affermato al proposito il predetto giudizio di raffronto deve essere motivato e corredato dall’indicazione, concisa e sintetica, delle ragioni che lo hanno orientato e degli elementi che attirano primariamente l’attenzione del fruitore.
16.4. A tale valutazione, condotta nel rispetto dei principi illustrati, non si è sottratta la Corte piemontese (pag. 33), allorché ha ritenuto confondibile in concreto il segno utilizzato da A. sia con il marchio di fatto Basic Net, sia con il marchio registrato UE *****.
Nessuna violazione di legge è ravvisabile nel ragionamento della Corte di appello che ha proceduto a un giudizio sintetico circa la possibilità di confusione del pubblico, sorreggendolo con adeguate motivazioni, rivolte a evidenziare gli elementi orientativi.
16.5. Infine, la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nel ritenere che l’apprezzamento del giudice del merito sulla confondibilità, o meno, dei marchi costituisce un giudizio di fatto, incensurabile in Cassazione se sorretto da motivazione immune da vizi logici e giuridici (Sez. 1, 11.4.2018, n. 9013; Sez. 1, 22.02.2008, n. 4531; Sez. 1, 28.2.2006, n. 4405; Sez. 1, 20.8.1992, n. 9720).
17. Con l’ottavo motivo la ricorrente propone una censura di violazione e falsa applicazione dell’art. 20 c.p.i. e art. 9 reg. UE 1001/2017 e di violazione dell’art. 132 c.p.c., per totale omissione di motivazione o comunque, in subordine, di motivazione apparente, nella parte in cui, ai fini dell’accertamento della contraffazione, il giudice del gravame ha escluso la funzione ornamentale delle strisce colorate adottate da A., che in realtà non sarebbero neppure “segni”.
17.1. La Corte di appello avrebbe errato in diritto nel non dare rilevanza, nel giudizio di confusione, al fatto che le strisce non erano usate in funzione distintiva ma solo ornamentale; avrebbe, inoltre, mancato di motivare sulle ragioni che la portavano a ritenere insussistente la detta funzione decorativa.
La ricorrente osserva, in proposito, che dalla valenza meramente ornamentale delle strisce utilizzate sui prodotti A. discenderebbe l’assenza di ogni possibile rischio di confusione, anche sotto il profilo della mera associazione.
La ricorrente sottolinea, poi, la natura apodittica dell’affermazione secondo cui “non avendo le strisce presenti sul prodotto A. natura ornamentale, esse ben possono essere confuse con i marchi altrui e vi e’, quindi, certamente rischio di confusione soprattutto sotto il profilo della mera associazione”.
La ricorrente ritorna sul tema alle pagine 12 e seguenti della memoria del 27.1.2022, ribadendo che la funzione meramente ornamentale delle strisce di A. precludeva ogni possibilità di confusione in quanto, laddove il pubblico non riconosca un marchio o un segno di valenza comunicativa, per definizione resta escluso qualsiasi possibilità di confusione del mero ornamento con un marchio altrui e il rischio di un collegamento logico fra le due imprese.
17.2. Il motivo è infondato.
Una volta riconosciuta la validità dei marchi azionati dalle società attrici, è del tutto irrilevante che il segno utilizzato da A. e ritenuto interferente e confondibile sia utilizzato come motivo ornamentale e non come segno di riconoscimento e come marchio, cosa questa peraltro solo genericamente prospettata dalla ricorrente.
Ciò che conta è il dato oggettivo della infrazione del monopolio con un atto commerciale dell’imprenditore concorrente, non giustificato dalla ricorrenza di un caso di uso legittimo ex art. 21 c.p.i. e art. 14 RMUE, fra cui non figura affatto un uso “ornamentale”.
17.3. I cosiddetti usi leciti del marchio altrui riguardano infatti solamente l’uso: a) del nome o dell’indirizzo del terzo qualora si tratti di una persona fisica; b) di segni o indicazioni non distintivi o relativi alla specie, alla qualità, alla quantità, alla destinazione, al valore, alla provenienza geografica, all’epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio o ad altre caratteristiche del prodotto o del servizio; c) del marchio UE per identificare o fare riferimento a prodotti o servizi come prodotti o servizi del titolare di tale marchio, specie se l’uso di tale marchio è necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio.
17.4. In ogni caso la Corte di appello ha ravvisato anche il rischio di confusione, soprattutto solo il profilo dell’associazione tra segni.
L’art. 8, come del resto l’art. 9, in tema di contraffazione, del regolamento n. 1001 del 2017 riconducono il rischio di associazione con il marchio anteriore nel rischio di confusione che lo comprende.
Il riferimento espresso al concetto di associazione sta ad indicare che il rischio di confusione sussiste non solo quando i consumatori siano indotti a ritenere che i prodotti o i commercializzati provengano dall’impresa titolare del segno anteriore, ma anche quando essi possono ipotizzare che tali prodotti o servizi provengano da impresa in qualche modo economicamente legata – in virtù di rapporti contrattuali o vincoli societari – a quella titolare del marchio anteriore.
18. Col nono motivo la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., perché la Corte di appello avrebbe omesso di pronunciare sul motivo di gravame in tema di valenza meramente ornamentale delle strisce A..
18.1. La ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., nella parte in cui la Corte non ha preso atto della mancata contestazione, da parte delle resistenti, delle modalità di utilizzo delle dette strisce.
La ricorrente si duole del fatto che il giudice di appello non abbia motivato con riguardo alle censure da essa svolte nel nono motivo di gravame; si duole, altresì, del mancato apprezzamento, da parte della Corte di merito, di una circostanza pacifica in causa: quella, per cui le bande colorate avevano una funzione meramente ornamentale.
18.2. Non è vero che la Corte abbia omesso di motivare sulla pretesa funzione meramente ornamentale delle strisce A. e non abbia esaminato il nono motivo di appello; lo ha fatto sub D2, alle pagine 34 e 35 della sentenza impugnata, e ha ritenuto correttamente, come esposto nel precedente p. 9, che tale circostanza fosse irrilevante (pag. 35, terzultimo capoverso).
Il debutto della frase successiva (penultimo capoverso della pag. 35) in cui la Corte ragiona nella prospettiva della funzione non ornamentale delle strisce contraddice effettivamente la precedente valutazione di irrilevanza, ma è del tutto ininfluente perché, come sopra argomentato, la funzione solo ornamentale delle strisce A., quand’anche riconosciuta sussistente, non avrebbe potuto elidere la contraffazione della privativa delle attrici.
19. Col decimo motivo la ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., perché la Corte di merito aveva mancato di pronunciarsi sul motivo di appello relativo al rischio di confusione per associazione.
19.1. L’istante rimprovera alla sentenza impugnata di aver impropriamente affermato che non era stata formulata alcuna censura con riguardo all’affermazione del giudice di primo grado per cui il rischio di confusione poteva derivare anche dall’induzione del consumatore a ritenere, contrariamente al vero, che tra le due aziende fossero in corso operazioni di co-branding.
19.2. La censura è infondata.
A pagina 37 della sentenza impugnata la Corte di appello ha esaminato la questione del rischio di associazione sotto il profilo de un ipotizzabile co-branding (forma particolare di co-marketing che ricorre quando due o più marchi noti vengono combinati nella realizzazione di un unico prodotto o commercializzati insieme attraverso forme di marketing congiunto, con la conseguente applicazione sul prodotto dei marchi di due imprese diverse nell’ambito di una operazione commerciale comune), escludendo con giudizio di fatto, non sindacabile in questa sede, che l’applicazione del marchio A. con il caratteristico aquilotto potesse, in relazione alle invalse prassi commerciali, valere ad escluderne al ricorrenza nel caso di specie.
20. Con l’undicesimo mezzo A. censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 2598 c.c., e deplora l’errata applicazione dei criteri giuridici di valutazione del rischio di associazione.
20.1. Secondo la Corte di appello, il rischio di associazione sarebbe comprovato dal fatto che i consumatori sono “avvezzi a vedere i segni delle resistenti utilizzati in combinazione con quelli di altri importanti stilisti”.
Tale affermazione, secondo la ricorrente, evidenzierebbe un grave errore di diritto quanto alla conduzione del giudizio di confusione: e ciò anche avendo riguardo al fatto che il consumatore non è portato a concentrare la propria attenzione sulla collaborazione tra due imprese concorrenti in ragione della presenza, sul prodotto, di un elemento percepito come meramente decorativo.
20.2. Anche questo motivo deborda nel merito per criticare la valutazione di fatto espressa dalla Corte di appello circa la configurabilità di un rischio di confusione per associazione presso il pubblico dei consumatori e quindi incorre nell’inammissibilità.
21. Il ricorso, fondato su motivi inammissibili o infondati, deve essere complessivamente rigettato.
Le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte;
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore delle controricorrenti, liquidate nella somma di Euro 13.000,00 per compensi, Euro 200,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 3 febbraio 2022.
Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2022
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