LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –
Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –
Dott. CATALDI Michele – Consigliere –
Dott. NAPOLITANO Angelo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3154/2015 R.G. proposto da:
B.F.G. e T.L., in proprio e nella qualità di erede di T.G., rappresentati e difesi dall’avv. Andrea Bodrito e dagli avv.ti Gianni Marongiu e Francesco D’Ayala Valva, elettivamente domiciliati presso quest’ultimo in Roma al viale Parioli n. 43;
– ricorrenti –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, rappresentata ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza, dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui ha domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
– resistente –
avverso la sentenza n. 778 della Commissione tributaria regionale della Liguria, pronunciata in data 11 novembre 2013, depositata in data 17 giugno 2014 e non notificata.
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 28 gennaio 2022 dal consigliere Andreina Giudicepietro.
RILEVATO
che:
B.F.G. e T.L. ricorrono con due motivi contro l’Agenzia delle entrate per la cassazione della sentenza n. 778 della Commissione tributaria regionale della Liguria, pronunciata in data 11 novembre 2013, depositata in data 17 giugno 2014 e non notificata, che ha parzialmente accolto l’appello dei contribuenti, in controversia avente ad oggetto l’impugnativa degli avvisi di accertamento emessi nei confronti della società T. Amministrazioni s.r.l. per maggiori Ires, Irap ed Iva e dei soci per maggiore Ires relativamente all’anno di imposta 2004;
a seguito del ricorso, l’Agenzia delle entrate si è costituita al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza;
il ricorso è stato fissato per la Camera di consiglio del 28 gennaio 2022, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e dell’art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197.
CONSIDERATO
che:
con il primo motivo, i ricorrenti denunziano la violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;
secondo i ricorrenti, i giudici di appello muovono dalla convinzione erronea che la ristretta base azionaria comporta “la presunzione di attribuzione pro quota ai soci degli utili non contabilizzati”, concludendo nel senso che “il vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci normalmente caratterizza la gestione sociale”;
ritengono, invece, i ricorrenti che la ristretta base della compagine sociale sia, in una lettura corretta dell’art. 2729 c.c., un dato di fatto che non consente di per sé stesso di trarre come univoca la conclusione che gli utili societari non dichiarati (e accertati) siano stati effettivamente distribuiti ai soci;
i ricorrenti, pur riconoscendo ragionevole che la prova incombente sull’Amministrazione finanziaria possa essere fornita anche ai sensi dell’art. 2729 c.c., configurandosi la presunzione semplice come mezzo di cognizione mediata indiretta di un fatto controverso, affermano che la ristrettezza della compagine sociale, in mancanza di altri attendibili elementi probatori, sarebbe insufficiente a far ritenere che, i maggiori utili accertati in capo alla società siano stati distribuiti ai soci;
con il secondo motivo, i ricorrenti denunziano la violazione e falsa applicazione del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, art. 47, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3;
a tal riguardo, i ricorrenti rilevano che i giudici di seconde cure hanno rigettato l’appello considerando “infondata” l’ulteriore censura “per la quale gli utili da partecipazione in società soggette al pagamento dell’IRES dovevano formare materia imponibile per il socio nella misura del 40% e non del 100%; infatti, la quota attribuita al socio non può essere considerata al netto delle imposte che la società è tenuta a pagare in quanto, come già rilevato dalla Corte di Cassazione (Cass. n. 16885 del 2003), trattandosi di ricavi extracontabili, nessun pagamento di imposte è ipotizzabile in tal caso” (così, pag. 12 della sentenza, punto 4.2.3);
secondo i ricorrenti, sarebbe chiaro che, con una motivazione di tal fatta, i Giudici non hanno minimamente tenuto conto dei principi che presidiano la tassazione dei dividendi percepiti dal socio, attestandosi, semplicemente, su un precedente di Cassazione. Il contenuto della disposizione invocata, di cui si lamenta la violazione, è inequivocabile nel prevedere che “gli utili distribuiti in qualsiasi forma e sotto qualsiasi denominazione dalle società o dagli enti indicati nell’art. 73, concorrono alla formazione del reddito imponibile complessivo limitatamente al 40 per cento del loro ammontare”;
i motivi sono infondati e vanno rigettati;
con riferimento alla disciplina delle presunzioni, questa Corte ha più volte affermato il principio secondo cui è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti, ma accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti (Cass., 5076 del 2011; Cass., n. 9519 del 2009; Cass., 7564 del 2003; Cass., 18 ottobre 2017, n. 24534), non essendo comunque a tal fine sufficiente la mera deduzione che l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili (Cass., 22 novembre 2017, n. 27778);
tale principio è stato completato precisandosi che la presunzione di distribuzione degli utili extrabilancio può essere vinta dal contribuente fornendo la dimostrazione della propria estraneità alla gestione e conduzione societaria (Cass., n. 1932 del 2016; Cass., n. 17461 del 2017; Cass. n. 26873 del 2016; Cass. 9 luglio 2018, n. 18042; Cass. 27 settembre 2018, n. 23247);
dunque, la disciplina in materia di prova è stata correttamente applicata dal giudice del gravame, avendo questi considerato che la società era risultata a ristretta base azionaria, né i ricorrenti hanno prospettato elementi di prova contraria idonei a superare la suddetta presunzione;
con riguardo, invece, all’applicabilità del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 47, questa Corte, anche di recente, ha ribadito il principio secondo cui “nel caso di società a ristretta base, non opera la presunzione ex art. 47 TUIR, di attribuzione ai soci degli utili extracontabili in quanto, essendo conseguiti “in nero” e non essendo mai pervenuti nella contabilità societaria, non vi è alcun obbligo di mitigare una doppia imposizione che non v’e’ stata, non avendoli la società mai dichiarati” (Cass. n. 26317 del 2020);
la Corte ha chiarito che il disposto di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 47, attiene alla tassazione degli utili distribuiti ai soci, con delibere formali dell’assemblea e, pertanto, non trova applicazione per i redditi extracontabili, non menzionati nella contabilità societaria;
invero, richiamando una precedente pronuncia, si è precisato che “l’art. 47 Tuir, laddove dispone che, “salvi i casi di cui all’art. 3, comma 3, lett. a), gli utili distribuiti in qualsiasi forma e sotto qualsiasi denominazione dalle società…, anche in occasione della liquidazione, concorrono alla formazione del reddito imponibile complessivo limitatamente al 40 per cento del loro ammontare” riguarda la modifica attuata al Tuir con il D.Lgs. n. 344 del 2003, sicché il sistema impositivo degli utili da partecipazione è stato caratterizzato dall’abrogazione del metodo del credito d’imposta sui dividendi e del sistema di imputazione e dall’adozione di un sistema di parziale esclusione della tassazione degli utili, al fine di mitigare gli effetti della doppia imposizione economica, in quanto gli utili distribuiti sono stati già tassati in capo alla società che li ha prodotti. Al contrario, nel caso in esame, trattandosi di utili “in nero”, mai pervenuti nella contabilità societaria, è chiaro che non vi è alcun obbligo di mitigare una doppia imposizione che non v’e’ mai stata, non avendo la società mai dichiarato tali utili extracontabili” (Cass. civ., 23 dicembre 2019, n. 34282);
in conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato;
nulla deve disporsi in ordine alle spese, non avendo l’Agenzia delle entrate svolto attività difensiva.
PQM
la Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 gennaio 2022.
Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2022