Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.5507 del 21/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. ROSSI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso n. 4256-2016 R.G., proposto da:

PORTATILI s.r.l., cf *****, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliato in Roma, alla via Vittorio Veneto n. 146, presso lo studio Apolloni & Partners, rappresentato e difeso dall’avv. Mauro Mocci;

– Ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, cf *****, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

Avverso la sentenza n. 3897/28/2015 pronunciata dalla Commissione tributaria regionale del Lazio e depositata il 7.07.2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio l’11 novembre 2021 dal Consigliere Dott. Francesco FEDERICI.

PREMESSO che:

L’Agenzia delle entrate notificò alla Portatili s.r.l. l’avviso d’accertamento con cui, relativamente all’anno d’imposta 2005, e sulla base dell’applicazione degli studi di settore, elevò i ricavi dichiarati dalla società ai soli fini Iva ed Irap. Ai fini Ires l’Ufficio non richiese alcunché perché i ricavi dell’anno accertato erano stati compensati dalle perdite relative a precedenti annualità.

La società, che contestava gli esiti dell’accertamento, impugnò l’atto impositivo dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma. Con sentenza n. 10978/62/2014 questa accolse in parte le doglianze della contribuente, riducendo di un terzo l’imponibile accertato. Specificò invece che le perdite sostenute nelle annualità precedenti non andavano detratte. La pronuncia fu appellata dalla contribuente dinanzi alla Commissione tributaria regionale del Lazio, che con sentenza n. 3897/28/2015 accolse parzialmente il ricorso. Il giudice d’appello ha condiviso la sentenza di primo grado quanto alla congruità dell’imponibile rideterminato, sul punto dunque confermando la statuizione impugnata. Ha invece accolto l’appello con riguardo alla asserita indetraibilità delle perdite delle annualità pregresse, rilevando come queste fossero state riconosciute dalla stessa Amministrazione finanziaria, così che sotto tale profilo la pronuncia della Commissione provinciale doveva ritenersi assunta ultra petita.

La società ha censurato la decisione con un unico motivo. L’Agenzia delle entrate non si è ritualmente costituita, depositando un irrituale “atto di costituzione” ai soli fini della eventuale partecipazione all’udienza pubblica.

Nell’adunanza camerale tenutasi l’11 novembre 2021 la causa è stata trattata e decisa.

CONSIDERATO

che:

Con un unico motivo la ricorrente si è doluta della violazione o falsa applicazione del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 24, comma 1, convertito con modificazioni in L. 30 luglio 2010, n. 122, e del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché il giudice regionale non avrebbe correttamente interpretato la disciplina invocata relativamente alle perdite fiscali risultanti da più periodi d’imposta, né esaminato le ragioni dello scostamento del reddito dichiarato da quello attribuito mediante applicazione degli studi di settore.

La difesa della società nello specifico ha evidenziato che il verificarsi delle condizioni indicate nell’art. 24 cit. comporta di per sé la prova dell’esistenza delle perdite qualora deliberato l’aumento di capitale; ha poi sostenuto che la documentazione allegata al giudizio avrebbe dovuto comportare l’annullamento dell’avviso di accertamento, tenendo conto delle cause delle perdite riportate nei bilanci e ripianate con gli aumenti di capitale.

Il motivo è fondato nei termini appresso chiariti.

Deve intento chiarirsi che nel caso di specie non rileva la disciplina introdotta con il D.L. n. 78 del 2010, art. 24 norma indirizzata agli organi demandati ai controlli fiscali, così che la disciplina di riferimento resta sempre quella dell’art. 39, comma 1, lett. d), cit., d’altronde correttamente invocata dalla contribuente.

Ciò chiarito, tenendo conto del metodo di accertamento applicato alla società, secondo l’orientamento interpretativo ormai consolidato di questa Corte la procedura di accertamento fiscale standardizzato mediante l’utilizzo dei parametri o degli studi di settore, introdotto con il D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62 sexies convertito con modificazioni in L. 29 ottobre 1993, n. 427, costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standard in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente con il contribuente, pena la nullità dell’accertamento. In tale sede il contribuente ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standard o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali non sono state ritenute attendibili le allegazioni del contribuente. L’esito del contraddittorio peraltro non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standard al caso concreto, il cui onere probatorio grava sull’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente (Cass., Sez. U., 18 dicembre 2009, n. 26635; più di recente, 31 maggio 2018, n. 13908; 18 dicembre 2017, n. 30370; 12 aprile 2017, n. 9484; 20 settembre 2017, n. 21754; 07 giugno 2017, n. 14091). Attese quindi le conseguenze derivanti dalla ripartizione dell’onere probatorio, si è anche affermato che ogni qual volta il contraddittorio sia stato regolarmente attivato e il contribuente abbia omesso di parteciparvi, oppure, anche partecipando, non abbia allegato alcunché per spiegare lo scostamento, l’Ufficio non è più tenuto ad offrire alcuna ulteriore dimostrazione della pretesa esercitata in ragione del semplice disallineamento del reddito dichiarato rispetto ai menzionati parametri (cfr. Cass., 15 luglio 2020, n. 14981; 20 settembre 2017, n. 21754 cit.; si veda anche 30 ottobre 2018, n. 27617 e 20 giugno 2019, n. 16545). In questo caso infatti la rilevazione dello scostamento, a fronte dell’assenza di elementi con cui il contribuente ne spieghi la sussistenza, assume la dignità di indizio grave e preciso, idoneo, pur se unico, a supportare la dimostrazione del fatto ancora sconosciuto, ai sensi dell’art. 2729 c.c.. Tanto in ogni caso non pregiudica definitivamente la difesa del contribuente, cui resta sempre il diritto di allegazione e di prova in sede contenziosa, anche per la prima volta, degli elementi idonei a vincere le presunzioni su cui l’accertamento tributario si fonda (cfr. Cass., 30 settembre 2019, n. 24330; 9 ottobre 2020, n. 21824).

Nel caso di specie il giudice d’appello, dopo aver succintamente esposto i fatti e le rispettive posizioni difensive, ha rilevato che nel giudizio sono stati esaminati due aspetti, quello relativo alla congruità dell’imponibile accertato e quello afferente la deducibilità delle perdite degli esercizi precedenti. In ordine al secondo aspetto ha ritenuto errata la sentenza della commissione provinciale, che aveva negato la deduzione delle perdite relative agli esercizi precedenti, affermando anzi che la pronuncia era viziata radicalmente per aver deciso ultra petita, non essendo state negate quelle spese neppure dall’Agenzia delle entrate. Quanto al primo aspetto la Commissione regionale ha respinto l’appello della contribuente sulla sola considerazione che non fossero credibili le perdite pluriennali subite dalla società, tanto più tenendo conto del settore commerciale dell’attività economica esercitata, particolarmente sviluppatosi proprio in quegli anni.

Ebbene, a parte la contraddizione in cui il giudice d’appello cade per aver da un lato dichiarato poco credibili le perdite subite nelle annualità pregresse, dall’altro aver riconosciuto che le medesime erano state incontestatamente ammesse in detrazione dalla stessa Amministrazione finanziaria, tanto da denunciare il vizio di ultrapetizione della decisione del giudice di primo grado, che ne aveva negato la sussistenza, la motivazione mostra di non aver fatto applicazione dei principi di diritto enunciati da questa Corte, così come già illustrati. Infatti nella parte espositiva la sentenza elenca dettagliatamente le ragioni addotte dalla contribuente a giustificazione dello scostamento tra il reddito dichiarato e quello presunto mediante applicazione del cluster appropriato dello studio di settore (seconda pagina). Era dunque compito del giudice valutare il fondamento e l’idoneità di tali elementi a superare l’indice di normale redditività dell’attività economica esercitata, calcolato mediante lo strumento di ricostruzione per elaborazione statistica. Di tutto ciò invece nulla emerge dalla motivazione della sentenza, che pertanto ha fatto cattivo utilizzo delle regole interpretative che presiedono l’accertamento analitico-induttivo rappresentato dagli studi di settore. Il richiamo, peraltro contraddittorio, alla non credibilità delle perdite, costituiva una valutazione del tutto inconferente rispetto alle ragioni che già in fase di contraddittorio endoprocedimentale la contribuente aveva allegato per spiegare il predetto scostamento.

Il motivo va dunque accolto e la sentenza va cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Lazio, la quale in diversa composizione provvederà, oltre che alla liquidazione delle spese, al riesame dell’atto d’appello della società, tenendo conto dei principi di diritto che presidiano l’accertamento mediante studi di settore.

PQM

Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, cui demanda, in diversa composizione, anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 11 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2022

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