LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Presidente –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –
Dott. GORI P. – rel. Consigliere –
Dott. LEUZZI Salvatore – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18041/2015 R.G. proposto da:
R.B. DI B.L. E B.Z. S.N.C., in persona dei soci ed amministratori B.L., B.Z., con l’Avv. Stefano Petronio e domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. Chiara Santi in Roma, Via Valsavaranche n. 76;
– parte ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Friuli Venezia Giulia n. 1/8/2015, depositata il 12 gennaio 2015, e che non risulta notificata nel semestre successivo al deposito.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 26 novembre 2021 dal consigliere Pierpaolo Gori.
RILEVATO
che:
1. Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Friuli Venezia Giulia veniva rigettato l’appello proposto dalla società R.B. di B.L. e B.Z. S.n.c. e dai soci e amministratori B.L. e B.Z., avverso la sentenza n. 66/1/2013 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Gorizia di rigetto, previa riunione, dei ricorsi presentati dai contribuenti aventi ad oggetto due avvisi di accertamento relativi ad II.DD. e IVA 2006 e 2007 oltre sanzioni, emessi a seguito della rideterminazione induttiva del reddito d’impresa della società – e, per trasparenza, dei soci – a titolo di omessa presentazione delle dichiarazioni dei redditi e omesso riscontro del questionario con cui era stata richiesta la documentazione contabile rilevante.
2. In primo grado, sulla base di proposte di conciliazione accettate riguardanti gli accertamenti quanto ai soci, per i due anni di imposta veniva rideterminata la misura delle riprese e, nel merito, il giudice di prime cure rigettava le domande, sentenza integralmente confermata dal giudice d’appello anche in punto di sanzioni.
3. Avverso la decisione propone ricorso parte contribuente, affidato a quattro motivi, che illustra con memoria, cui replica l’Agenzia delle Entrate con controricorso.
CONSIDERATO
che:
4. Con il primo motivo di ricorso – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – viene dedotta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 1 e L. n. 212 del 2000, art. 7 e così la nullità degli avvisi di accertamento impugnati per violazione dell’art. 5, comma 5 del Regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle Entrate a seguito della sentenza n. 37/2015 della Corte Costituzionale, con riferimento all’emanazione degli atti impositivi da parte di soggetti privi dei requisiti professionali necessari per l’esercizio del ruolo dirigenziale di cui all’art. 5, comma 5 del Regolamento di amministrazione dell’Agenzia.
5. Il motivo è inammissibile in quanto relativo a fatto nuovo, ossia l’emanazione degli atti impositivi da parte di soggetti privi dei requisiti professionali necessari per l’esercizio del ruolo dirigenziale di cui all’art. 5 comma 5 del Regolamento di amministrazione dell’Agenzia. E’ certo vero che la sentenza della Corte costituzionale è una circostanza sopravvenuta alla proposizione del ricorso introduttivo che il giudice deve prendere in carico anche d’ufficio, e così tener conto della declaratoria dell’illegittimità costituzionale del D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8, comma 24, del D.L. 30 dicembre 2013, n. 150, art. 1, comma 14, e del D.L. 31 dicembre 2014, n. 192, art. 1, comma 8.
Tuttavia, sulla base dell’esposizione contenuta nel ricorso, il fatto su cui insiste la doglianza oggetto del motivo non risulta ritualmente introdotto fin dal ricorso di primo grado e puntualmente riproposto in appello e, sotto questo profilo, trova accoglimento l’eccezione di inammissibilità sollevata in controricorso.
6. Con il secondo motivo la ricorrente – agli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. – censura la falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 1 per aver la CTR mancato di dare rilevanza al fatto che le riprese erano state originate dal comportamento illecito tenuto dalla società di consulenza cui la società contribuente si era rivolta per la tenuta della propria contabilità, fatto attestato dal decreto che ne disponeva il rinvio a giudizio avanti al Tribunale competente.
7. Il motivo è infondato. La sentenza impugnata è immune dal vizio denunciato, perché solo in tema di sanzioni amministrative tributarie l’esimente di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 3, si applica in caso di inadempimento al pagamento di un tributo imputabile esclusivamente ad un soggetto terzo (di regola l’intermediario cui è stato attribuito l’incarico, oltre che la tenuta della contabilità e l’effettuazione delle dichiarazioni fiscali, di provvedere ai pagamenti), e sempre purché il contribuente abbia adempiuto all’obbligo di denuncia all’autorità giudiziaria e non abbia tenuto una condotta colpevole ai sensi dell’art. 5, comma 1, del detto decreto, nemmeno sotto il profilo della “culpa in vigilando” (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 28359 del 07/11/2018).
8. Nel caso di specie, fermo restando che per il pagamento dell’imposta non si applica l’esimente suddetta, innanzitutto la circostanza del deposito in corso di causa del decreto che dispone il giudizio a carico della società di consulenza cui la contribuente si è rivolta (da cui si potrebbe desumere l’esistenza della denuncia penale per i fatti per cui è causa) è solo affermata poiché l’atto non è riprodotto nel ricorso per cassazione, né risulta dal suo sommario allegato. Ma anche a voler dare per buono il fatto che il procedimento penale, cui fa riferimento la sentenza impugnato, è originato proprio dai medesimi fatti alla base delle riprese per cui è causa, comunque manca la prova dell’assenza di “culpa in vigilando” da parte della contribuente e, anzi, vi è l’accertamento in fatto della CTR circa la sussistenza di tale colpa nel caso di specie, congruamente motivato alle pagg.4 e 5 della parte motiva della sentenza, non avendo parte contribuente tra l’altro neppure esibito in sede di verifica l’attestazione rilasciata dal conservatore delle scritture sui documenti e scritture in suo possesso.
9. Con il terzo motivo di ricorso si deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1 (Statuto dei diritti del contribuente), del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, comma 5"), a proposito della ritenuta nullità dell’avviso di accertamento per violazione dell’obbligo di allegazione all’avviso medesimo degli atti relativi all’istruttoria in base alla quale l’Ufficio ha determinato i maggiori imponibili imputati alla società ed ai soci.
10. Il motivo presenta aspetti di inammissibilità e di infondatezza. L’Agenzia ha riprodotto in controricorso gli avvisi di accertamento da cui si evince una autonoma sintesi degli elementi di fatto essenziali della fattispecie anche ai fini dei criteri di calcolo del reddito ricostruito induttivamente. Inoltre, la Corte rammenta che ai fini della motivazione dell’avviso di accertamento, l’onere di allegazione di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 7 è limitato ai documenti cui lo stesso fa riferimento, ma non si estende anche agli atti di istruttoria secondari (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 20428 del 28/09/2020). Infine, la CTR ha accertato che l’Agenzia ha fornito attraverso i prospetti prodotti nel corso del giudizio ulteriore spiegazione della procedura seguita per la formazione del paniere di riferimento, esponendo i calcoli eseguiti per la rideterminazione del reddito, ritenendola coerente ed esauriente.
11. A fronte di ciò, da ultimo, nella memoria autorizzata la società invoca l’applicazione di una sentenza della C.T.R. FVG (sent. n. 253/02/2016), ma il Collegio osserva che la pronuncia riguarda altre parti, un diverso periodo di imposta e fatti non omogenei alla presente fattispecie. Inoltre, per stessa ammissione di parte contribuente la tabella in questione riporta il codice attività, il reddito imponibile ed il volume d’affari di un paniere di aziende del settore, comprensivo dei dati relativi agli operatori con caratteristiche simili all’attività di impresa. Quanto alla motivazione dell’atto d’imposizione tributaria, l’Agenzia ha perciò assolto l’onere di mettere in grado il contribuente di conoscere le ragioni della pretesa sin dalla fase amministrativa e l’ha ulteriormente esplicato nel corso del giudizio.
12. Con il quarto motivo di ricorso viene censurato agli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – l’omesso esame delle contestazioni svolte avverso le modalità di applicazione del metodo induttivo, in quanto la sentenza gravata non motiverebbe in ordine alle diverse contestazioni svolte dai ricorrenti quanto alle modalità con le quali l’Ufficio avrebbe operato l’accertamento induttivo.
13. Il mezzo è affetto da profili di inammissibilità e di infondatezza. Il mezzo di impugnazione non è condivisibile nella parte in cui si appunta sul metodo di calcolo, dal momento che nella raccolta degli elementi probatori finalizzata all’accertamento induttivo del reddito di impresa fondato sulle percentuali di ricarico della merce venduta è possibile la scelta tra le diverse modalità di calcolo della percentuale di ricarico applicabile alla merce venduta, ossia tra la media aritmetica “semplice” o la media aritmetica “ponderata”, e la distinzione dipende, rispettivamente, dalla natura omogenea o disomogenea degli articoli (Cass. n. 27552 del 30/10/2018; Cass. n. 33458 del 27/12/2018). Il ricorso alla media aritmetica non è corretto solo quando, tra i vari tipi di merce, esiste una notevole differenza di valore e gli articoli più venduti presentano una percentuale di ricarico ben più bassa di quella risultante dal ricarico medio (Cass., n. 9553 del 19/04/2013). Ciò che è importante è che il calcolo avvenga adottando un criterio che sia: (a) coerente con la natura e le caratteristiche dei beni presi in esame; (b) applicato ad un campione di beni scelti in modo appropriato; (c) fondato su una media aritmetica semplice o ponderale. (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 736 del 19/01/2021), come avvenuto nel caso di specie.
14. E’ poi nuova e quindi inammissibile la questione della conoscenza dei campioni dai quali l’Agenzia ha tratto la media di settore, non avendo la società dato conto di aver introdotto e coltivato la questione nei gradi di merito.
15. Trova infine accoglimento l’eccezione di “doppia conforme” ex art. 348 ter c.p.c., u.c. sollevata in controricorso, in quanto in presenza di rigetto sia in primo che in secondo grado il motivo non evidenzia eventuali presupposti di fatto diversi alla base della decisione conforme dei due gradi di merito. Si tratta di un profilo di inammissibilità per improponibilità (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 26774 del 22/12/2016, Rv. 643244 – 03) che trova applicazione nel presente processo, tenuto conto del fatto che il citato disposto trova applicazione alle sentenze emesse dall’11 settembre 2012 e alle impugnazioni proposte dalla stessa data e, dunque, anche nel caso di specie ove la sentenza impugnata è stata depositata il 12 gennaio 2015.
16. In conclusione il ricorso dev’essere rigettato e le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte: rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 5.600,00 oltre Spese prenotate a debito.
Si dà atto che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 26 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2022