LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GORJAN Sergio – Presidente –
Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 8137/2017 proposto da:
R.C., rappresentato e difeso dall’avv. ENRICO SPITALI;
– ricorrente –
contro
RO.GI., S.A.;
– intimate –
avverso la sentenza n. 940/2016 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 19/09/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 04/11/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO.
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Il medico Dott. R.C. ha proposto ricorso, sulla scorta di cinque motivi, per la cassazione della sentenza n. 940/2016 della Corte d’appello di Genova che, riformando:
– la sentenze non definitiva del Tribunale di Sanremo, sezione distaccata di Ventimiglia, n. 145/2006, che aveva accertato, in punto di an debeatur, un credito professionale suo e di sua moglie, Dott.ssa S.A., nei confronti del sig. P.P.;
– nonché la sentenza definitiva del medesimo tribunale n. 741/2011 (resa nei confronti della sig.ra Ro.Gi., erede del sig. P., deceduto nel corso del giudizio di primo grado), che il suddetto credito aveva quantificato in Euro 75.548,39 per il Dott. R. e aveva accertato negativamente, in punto di quantum, per la Dott.ssa S.;
ha dichiarato nulli, poiché in violazione del divieto di patti successori ex art. 458 c.c., gli accordi intercorsi tra gli originari attori R.C. e S.A. e l’originario convenuto P.P., aventi ad oggetto prestazioni professionali mediche ed assistenziali svolte dai primi in favore del secondo in corrispettivo all’assegnazione di beni destinati a far parte del relictum del secondo, ed ha rigettato la domanda di condanna al pagamento delle prestazioni professionali ed assistenziali che gli attori avevano effettuato a favore del sig. P..
2. Il tribunale, con la sentenza non definitiva, aveva ritenuto che l’eccezione di nullità ex art. 458 c.c., proposta dal convenuto nella comparsa conclusionale, fosse inammissibile, poiché tardiva, e comunque infondata.
2.1. La corte di appello, sulla scorta delle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio formale dallo stesso R., nonché sulla scorta del testamento del sig. P., acquisito nel giudizio d’appello, che disponeva un lascito testamentario a favore degli originari attori, ha ritenuto l’esistenza, tra il de cuius e i sigg.ri R. e S. “non di una generica promessa, o di un’ancor più generica aspettativa” ma di “un preciso accordo per effetto del quale l’attuale appellante R. (…) si impegnava ad effettuare determinate prestazioni professionali in favore del signor P. e questi a sua volta si impegnava all’attribuzione ai signori R. – S. di determinati cespiti immobiliari in sede successoria” (pag. 5 righi 7-14 della sentenza gravata). In particolar modo, il collegio genovese ha rinvenuto la vincolatività dell’accordo intercorso tra il Dott. R. ed il sig. P. nel fatto che il primo eseguì le prestazioni alle quali si era impegnato senza pretendere alcun “compenso”, contando proprio sulle attribuzioni testamentarie di cui avrebbe poi beneficiato alla morte del convenuto.
2.2. La corte d’appello ha inoltre stabilito che “nulla è dovuto al sig. R. per le prestazioni rese in virtù degli accordi medesimi, dal momento che l’unico strumento di tutela a sua disposizione sarebbe stata l’azione di arricchimento ingiustificato ai sensi dell’art. 2041 c.c., la quale peraltro non è stata esercitata nel presente giudizio” (pag. 5 righi 39-42 della sentenza gravata).
3. Ro.Gi. e S.A. sono rimaste intimate.
4. La causa è stata chiamata all’adunanza camerale del 4 novembre 2021, per la quale il ricorrente ha depositato una memoria.
5. Col primo motivo, riferito all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, si deduce la nullità della sentenza ex art. 112 c.p.c..
5.1. Ad avviso del ricorrente, la Corte avrebbe “equivocato il contenuto della domanda giudiziale, che non era affatto quello di ottenere l’adempimento di un patto (in ipotesi) successorio, bensì di avere il corrispettivo di un contratto di prestazione d’opera professionale” (pag. 8, righi 9-12 ricorso): il rigetto, sostiene il ricorrente, avrebbe avuto fondamento se egli avesse agito in giudizio al fine di ottenere i beni che il convenuto gli avrebbe promesso, in violazione dell’art. 458 c.c.. Egli, invece, aveva promosso il giudizio nei confronti del convenuto, quando quest’ultimo era ancora in vita, al solo fine di ottenere la condanna al pagamento delle prestazioni professionali che svolse. “Pertanto non si comprende come l’asserita sussistenza di un patto successorio (…) possa incidere sulla validità di un ben distinto contratto di prestazione d’opera”. (pag. 9 righi 8-11 ricorso). Evidenzia, inoltre, il ricorrente come, anche nell’ipotesi in cui vi fosse stato un patto successorio tra sé e l’originario convenuto, ciononostante, egli avrebbe comunque diritto ad un corrispettivo.
5.2. Il motivo è infondato. La domanda giudicata è esattamente quella enunciata dal Dott. R., di pagamento di prestazioni professionali dal medesimo rese al convenuto. Essa è stata ritenuta infondata sulla scorta di una argomentazione (l’essere state le dette prestazioni professionali rese sulla base di un accordo nullo perché contrario al disposto dell’art. 458 c.p.c.) non condivisa dal ricorrente, ma ciò non implica alcuna violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
6. Col secondo motivo, riferito all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 458 c.c..
Ad avviso del ricorrente, la corte d’appello avrebbe falsamente applicato l’art. 458 c.c., dato che il contenuto degli accordi inter partes, come emergente dalle risultanze probatorie di causa, non sarebbe riconducibile alla nozione normativa di patto successorio.
7. Col terzo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, si deduce la nullità della sentenza per la violazione del principio di non contestazione. Ad avviso del ricorrente, il potere di rilievo officioso della nullità sarebbe recessivo rispetto al principio di non contestazione, ex art. 115 c.p.c.. Nel caso di specie – sostiene il ricorrente – il convenuto, sino alle comparse conclusionali, “non solo non ha mai fatto cenno alla stipula di un qualsivoglia patto inerente alla sua successione, ma ha anzi effettuato affermazioni antitetiche rispetto all’esistenza di un simile patto” (pag. 21 righi 12-15 del ricorso). In ciò, ad avviso del ricorrente, è rinvenibile la “non contestazione”, che avrebbe dovuto impedire alla corte d’appello di pronunciarsi sulla nullità del patto successorio.
8. Col quarto motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 2700,2702,27302738 c.c.. Ad avviso del ricorrente, la Corte d’appello non avrebbe dovuto porre a fondamento del giudizio circa l’esistenza del patto successorio il testamento del sig. P. poiché questi fu la controparte del giudizio.
9. Col quinto motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, si deduce la nullità della sentenza per la violazione dell’art. 112 c.p.c..
Il ricorrente censura la statuizione della corte d’appello secondo cui questi non avrebbe mai proposto una domanda ex art. 2041 c.c. (v. supra, p. 2.2). Riportandone i relativi stralci, sostiene di aver proposto tale domanda con l’atto di citazione, di averla ribadita in sede di comparsa conclusionale (cui seguì la sentenza non definitiva) nonché in comparsa di costituzione in appello.
10. Il secondo motivo di ricorso è fondato e assorbe i successivi.
11. La ratio decidendi dell’impugnata sentenza poggia sulle dichiarazioni rese dal Dott. R. in sede di interrogatorio formale, che la corte di appello ha interpetrato nel senso che vi fosse “un ben preciso accordo per effetto del quale l’attuale appellante R…. si impegnava ad effettuare determinate prestazioni professionali in favore del signor P. e questo a sua volta si impegnava all’attribuzione ai signori R. – S. di determinati cespiti immobiliari in sede successoria”. Tale interpretazione negoziale risulterebbe confermata, secondo la corte territoriale, dal comportamento delle parti, giacché, per un verso, il Dott. R. non pretese alcun corrispettivo immediato per le sue prestazioni professionali e, per altro verso, il signor P. effettivamente dispose nel proprio testamento a favore signori R. – S., lasciando loro un appartamento con garage in *****.
12. Ferma l’interpretazione negoziale operata dalla corte d’appello – che costituisce giudizio di fatto rientrante nei compiti istituzionali del giudice di merito – l’errore di diritto in cui la stessa è incorsa risiede nell’aver falsamente applicato l’art. 458 c.c., sussumendo nella fattispecie astratta del patto successorio dichiarazioni meramente verbali prive di qualunque specificazione in ordine alla individuazione dei cespiti a cui le stesse si riferivano. In tal modo la corte ligure ha mostrato di ignorare l’insegnamento di questa Suprema Corte alla cui stregua “e’ da escludere l’esistenza di un patto successorio quando tra le parti non sia intervenuta alcuna convenzione, e la persona nella cui eredità si spera abbia solo manifestato verbalmente, all’interessato o a terzi, l’intenzione di disporre dei suoi beni in un determinato modo, atteso che tale mera promessa verbale non crea alcun vincolo giuridico e non è quindi idonea a limitare la piena libertà del testatore che è oggetto di tutela legislativa” (Cass. 5870/2000, in motivazione); si veda altresì Cass. 2680/1969: “la promessa di istituire erede il prestatore d’opera in corrispettivo della sua attività – ove non risulti attuata mediante convenzione avente i requisiti di sostanza e di forma di un patto successorio (art. 458 c.c.), ma sia limitata ad una mera intenzione manifestata dal datore di lavoro – non costituisce menomazione della libertà testamentaria e non rientra, quindi, nel divieto di cui al citato art. 458. In siffatta ipotesi la indicata promessa non produce la nullità del rapporto di lavoro per illiceità dell’oggetto o della causa, ai sensi dell’art. 1418 c.c., ma è semplicemente rivelatrice della onerosità, nella intenzione delle parti, del rapporto stesso, per cui il prestatore d’opera ha diritto indipendentemente dalla promessa medesima – alla retribuzione che gli compete, secondo la natura e l’entità della prestazione”.
13. Il ricorso va quindi accolto, limitatamente al secondo motivo -rigettato il primo, assorbiti gli altri – e l’impugnata sentenza va cassata con rinvio alla Corte d’appello di Genova virgola in altra composizione, che si atterrà agli enunciati principi di diritto e regolerà anche le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo e dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Genova, in altra composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 4 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2022
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