LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Primo Presidente f.f. –
Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente di Sez. –
Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –
Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –
Dott. FERRO Massimo – Consigliere –
Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23927/2020 proposto da:
AUTOSTRADA DEL BRENNERO S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI RIPETTA 22, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO CATALDI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato DAMIANO FLORENZANO;
– ricorrente –
contro
ISTAT – ISTITUTO ITALIANO DI STATISTICA, in persona dei legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;
PROCURATORE GENERALE RAPPRESENTANTE IL PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA CORTE DEI CONTI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A. BAIAMONTI 25;
– controricorrenti –
nonché nei confronti di:
AUTOSTRADA REGIONALE CISPADANA S.P.A., AUTOSTRADA CAMPOGALLIANO SASSUOLO S.P.A.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 13/2020/RIS della CORTE DEI CONTI SEZIONI RIUNITE IN SEDE GIURISDIZIONALE, depositata il 11/05/2020.
Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 14/12/2021 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 13/2020/RIS, la Corte dei Conti, Sezioni Riunite in sede giurisdizionale ha rigettato i ricorsi proposti dalla Società Autostrade per il Brennero s.p.a., dalla Società Autostrada Regionale Cispadana s.p.a. e dalla Società Autostrada Campogalliano Sassuolo s.p.a. per l’annullamento, previa sospensione, dell’Elenco delle Amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato, individuate ai sensi della L. n. 196 del 2009, art. 1, comma 3, predisposto dall’ISTAT e pubblicato nella G.U. del 30.9.2019.
Avverso tale sentenza, la Società Autostrada del Brennero s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione avanti a queste Sezioni Unite, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1, affidandosi a due motivi.
Hanno resistito, con distinti controricorsi, il Procuratore Generale presso la Corte dei Conti e l’ISTAT – Istituto Italiano di Statistica.
La ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Col primo motivo, la ricorrente denuncia “eccesso di potere giurisdizionale. Violazione della L. 31 dicembre 2009, n. 196, art. 1,L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,D.Lgs. 26 agosto 2016, n. 174, artt. 11,123 e segg.” e censura la decisione in quanto “affetta da eccesso di potere giurisdizionale per violazione del limite esterno alla giurisdizione”.
Premesso che quello demandato alla Corte dei Conti era un “giudizio impugnatorio sulla ricognizione provvedimentale operata dall’ISTAT”, la ricorrente rileva che, per quanto esclusiva e piena, la competenza giurisdizionale devoluta alla Corte dei Conti “deve svolgersi nelle forme previste dalla legge e dai principi (costituzionali), i quali non consentono al Giudice di emulare la funzione amministrativa, pena lo snaturamento della funzione giurisdizionale e l’esorbitanza nella funzione amministrativa”:
Assume che, nel caso in esame, l’esorbitanza dalla funzione, oltre ad essere rilevabile dai contenuti della sentenza, è “plasticamente ammessa dalla stessa decisione” laddove afferma che compito delle Sezioni Riunite è quello di “valutare se sussistano per le ricorrenti le condizioni per essere inserite nel conto economico consolidato del settore amministrazioni pubbliche”; conclude che “il giudice contabile ha dismesso i propri panni per vestire quelli dell’ISTAT, sostituendosi così all’amministrazione con un atto autoesecutivo”.
1.1. Il motivo è infondato giacché, lungi dal sostituirsi all’autorità amministrativa, la Corte dei Conti si è limitata a compiere una verifica di natura prettamente giurisdizionale circa la correttezza dell’inserimento della ricorrente nell’Elenco dell’ISTAT, alla luce dei referenti normativi che disciplinano la materia, senza in alcun modo trasmodare in valutazioni di natura amministrativa.
Invero, dopo aver compiuto una ricognizione del quadro normativo nazionale ed avere illustrato i “requisiti del SEC 2010” sulla base del Regolamento n. 549/2013/UE del 21 maggio 2013 – e ciò con specifico riferimento ai requisiti del “controllo pubblico” e della “produzione”, la Corte dei Conti è pervenuta alla conclusione che “emerge quindi, dall’esame della complessiva documentazione versata in atti, una pressione realizzata attraverso meccanismi organizzativi, regolati e predeterminati, che configura un potere di controllo pubblico effettivo sull'*****” e, altresì, che il sistema di remunerazione previsto dalla concessione e dalla L. n. 136 del 1999, è tale da comportare che la Società dev’essere qualificata come produttore di beni o servizi non destinabili alla vendita (atteso che i ricavi “non risultano coprire con le vendite il 50% dei costi di produzione, ai sensi del SEC, per un periodo pluriennale continuativo”); ciò che ha comportato l’affermazione della correttezza della sua classificazione nel settore delle amministrazioni pubbliche e il rigetto del ricorso.
Quella compiuta dalla sentenza impugnata non è dunque una “valutazione” di merito comportante una riedizione del potere ricognitivo/classificatorio attribuito all’ISTAT, bensì una verifica di natura squisitamente giurisdizionale della correttezza dell’inserimento nell’Elenco, condotta alla luce del quadro normativo di riferimento e sulla base delle emergenze documentali; il tutto nell’esplicazione della giurisdizione spettante nella specifica materia – L. n. 228 del 2012, ex art. 1, comma 169 – alle sezioni riunite in composizione speciale della Corte dei Conti, che è “piena ed esclusiva” e “da intendersi estesa a tutti i vizi dell’atto, del procedimento, al difetto di motivazione o di istruttoria, all’incompetenza” (Cass., S.U. n. 12496/2017).
2. Col secondo motivo, la ricorrente eccepisce la “illegittimità costituzionale della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1 e del D.Lgs. 26 agosto 2016, n. 174, art. 11, all. 1, con riferimento agli artt. 3,24,25,102,103,111,113 e 125 Cost.”, nonché “del D.Lgs. 26 agosto 2016, n. 174, art. 11, all. 1, con riferimento agli artt. 3,76 e 77 Cost.”.
La ricorrente assume che “l’oggetto del giudizio di spettanza dell’ISTAT e, a fortiori, della Corte, è totalmente alieno da qualsivoglia oggetto e/o valutazione che attenga alla materia della contabilità pubblica”: premesso che tale materia non è definibile oggettivamente e che l’art. 103 Cost., ha soltanto la finalità di riservare alla Corte dei Conti la giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica secondo ambiti la cui concreta determinazione è rimessa alla discrezionalità del legislatore, la ricorrente sostiene che ciò tuttavia non ne “abilita l’arbitrio”, posto che il legislatore “deve pur sempre muoversi in quell’ambito “tendenzialmente” riservato (in potenza) alla Corte dei Conti, ossia l’ambito attinente alla materia della “contabilità pubblica” di cui all’art. 103 Cost.”; evidenzia, al riguardo, che “la controversia nella quale si valuta la sussistenza dei requisiti per l’iscrizione nell’elenco non coinvolge valutazioni attinenti alla contabilità pubblica, attenendo innanzitutto alla verifica di presupposti fattuali con esplicazione solo di valutazioni tecnico discrezionali, in stretta applicazione del Regolamento Europeo”, e che “la devoluzione di competenza giurisdizionale ha ad oggetto non il sindacato sull’applicazione di norme sulla contabilità pubblica, ma il sindacato sulla corretta ricognizione di uno status fondato sulla base della sussistenza dei presupposti previsti dalle norme che non si annettono a detta materia”.
La ricorrente aggiunge che, “una volta assunta la non attinenza alla materia della contabilità pubblica, la disciplina indubbiata è illegittima per violazione delle consuete regole di riparto e per il divieto di costituzione di nuovi giudici speciali”; che, inoltre, la medesima disciplina determina una “deminutio della tutela attraverso la riduzione dei gradi di giudizio”, circostanza che, “seppur non rilevante in sé come violazione dell'(inesistente) principio del doppio grado, rileva invece come manifesta irragionevolezza e violazione dell’art. 3 Cost., in combinato con le altre disposizioni costituzionali indicate in epigrafe, ciò in quanto è stata introdotta in un ordine giudiziario articolato in via generalizzata su due gradi di giudizio e senza alcuna ragione plausibile”; che, infine, “l’assegnazione alla competenza delle Sezioni Riunite operanti in unico grado – vieppiù in difetto di una plausibile ragione – appare pure in contrasto con il principio e criterio direttivo di cui alla legge delega, con il quale il Legislatore delegante aveva preteso elevata attenzione per garantire il ruolo nomofilattico delle Sezioni Riunite”.
2. La questione di legittimità costituzionale è – sotto ogni profilo – manifestamente infondata.
2.1. Al riguardo, ritiene il Collegio che debbano essere richiamate le considerazioni già svolte da queste Sezioni Unite con sentenza n. 12496/2017 e con la coeva ordinanza n. 12521/2017, che hanno dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate in relazione all’attribuzione alla Corte dei Conti, in composizione speciale a Sezioni riunite, della giurisdizione sull’impugnazione dell’Elenco predisposto dall’ISTAT.
Deve, invero, ribadirsi che l’attribuzione di tale giurisdizione trova “la propria ragion d’essere sia nell’attinenza dell’atto amministrativo compiuto dall’ISTAT, di natura meramente ricognitiva e non provvedimentale, alla materia della contabilità pubblica (art. 103, comma 2, Cost.), sia nell’assegnazione alla Corte dei Conti del controllo successivo sulla gestione del bilancio pubblico (art. 100 Cost.)”; dovendosi al riguardo considerare che l’Elenco in questione costituisce l’ambito di riferimento delle misure economico-finanziarie stabilite annualmente dalla legge finanziaria, nonché da altri atti normativi volti a raggiungere gli obiettivi della armonizzazione e del coordinamento della finanza pubblica e, altresì, il contenimento della spesa pubblica.
A tale stregua, a fronte dell’attinenza della specifica materia in esame a quella della contabilità pubblica, va esclusa la stessa prospettabilità del dubbio che sia stato istituito un giudice speciale, in violazione dell’art. 102 Cost., comma 2.
Ne’, peraltro, va trascurato che l’art. 103 Cost., comma 2, estende la giurisdizione della Corte dei Conti anche alle altre materie “specificate dalla legge”, nelle quali ben rientrerebbe, in ogni caso, quella della ricognizione delle amministrazioni pubbliche compiuta dall’ISTAT, rispetto alla quale risulta rispettata la previsione della riserva di legge.
Va, per altro verso, escluso che sussista in favore dell’A.G.A. una riserva di generale giurisdizione sulla legittimità degli atti amministrativi a tutela di posizioni soggettive, tale da comportare l’illegittimità costituzionale dell’attribuzione alla Corte dei Conti del controllo sullo specifico atto amministrativo ricognitivo costituito dall’Elenco dell’ISTAT.
Ne’ è prospettabile una deminutio di tutela in conseguenza della previsione di un solo grado di giudizio, che non incontra ostacolo in una (pacificamente insussistente) garanzia costituzionale del doppio grado di giudizio di merito e che trova razionale giustificazione nell’esigenza di assicurare tempi certi e celeri alla definizione della ricognizione periodica delle amministrazioni pubbliche, al fine di evitare possibili ripercussioni temporali negative sulla formazione del conto economico consolidato annuale.
Manifestamente infondata e’, infine, la prospettazione di un contrasto fra l’assegnazione della competenza de qua alle Sezioni riunite della Corte dei Conti e la previsione della legge di delega n. 124/2015, che – all’art. 20, comma 2, lett. n) – prevede la ridefinizione e il riordino delle norme concernenti le attribuzioni delle anzidette Sezioni riunite, giacché, a tacer d’altro, non è dato individuare il vulnus che da tale assegnazione deriverebbe ai “principi della nomofilachia e della certezza del diritto”.
3. Le spese di lite seguono la soccombenza rispetto al controricorrente ISTAT; non anche rispetto al Procuratore generale presso la Corte dei Conti, che nel presente giudizio riveste la qualità di parte solo in senso formale, sicché è esclusa l’ammissibilità di una pronuncia alle spese processuali in suo favore (cfr. Cass. SU n. 5589/2020).
4. Sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore dell’ISTAT, liquidandole in Euro 5.600,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2022
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