Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.5658 del 21/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CASADONTE Anna Maria – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2624-2020 proposto da:

M.R., elettivamente domiciliato in Roma, Viale Angelico 38, presso lo studio dell’avvocato Marco Lanzilao, che lo rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, MINISTERO DELL’INTERNO elettivamente domiciliati in Roma, Via Dei Portoghesi 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrenti incidentali –

avverso l’ordinanza della CORTE d’APPELLO di FIRENZE, depositata il 02/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio dell’11/02/2022 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO.

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE L’avvocato M.R. impugna l’ordinanza della Corte d’Appello di Perugia del 2 luglio 2019 con la quale è stato rigettato il ricorso D.P.R. n. 115 del 2002 ex art. 170, proposto dal M. avverso il decreto con il quale era stata rigettata l’istanza di liquidazione dei compensi vantati dal ricorrente per l’assistenza prestata in favore di una parte ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, nel giudizio conclusosi dinanzi alla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 32865/2018.

Il rigetto era motivato in ragione del fatto che il provvedimento del giudice di legittimità, sebbene in dispositivo riferisse di un rigetto del ricorso proposto dall’assistito dell’avv. M. in materia di protezione internazionale, nella sostanza era espressivo di una valutazione di inammissibilità del mezzo di impugnazione, come appunto chiaramente evincibile dal tenore della motivazione. Per l’effetto risultava applicabile la previsione di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 130 bis, che esclude il diritto al compenso in caso di declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione.

Inoltre, l’ordinanza rilevava che poteva anche configurarsi una colpa grave nella proposizione del ricorso per cassazione, sicché gli atti andavano trasmessi alla sezione civile della medesima Corte d’Appello al fine di valutare se sussistessero i presupposti per la revoca del beneficio concesso in via provvisoria, ex art. 136 del citato.

Per la cassazione di tale ordinanza propone ricorso M.R. sulla base di un motivo.

Il Ministero della Giustizia ed il Ministero dell’Interno resistono con controricorso e propongono ricorso incidentale condizionato affidato a sua volta ad un motivo.

Il motivo di ricorso principale denuncia la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 130 bis, assumendo che la norma di recente introduzione, volta a scoraggiare la proposizione di impugnazioni meramente dilatorie o improduttive di effetti a favore della parte, debba essere interpretata in maniera restrittiva, e cioè limitata ai soli casi di inammissibilità espressamente codificati, non potendosi estendere anche al caso di specie nel quale la pronuncia della Suprema Corte era di rigetto integrale, e senza mai comunque che sia stata rilevata una causa di inammissibilità espressamente prevista dal legislatore.

Il motivo è infondato.

In primo luogo, deve evidenziarsi che sebbene il dispositivo dell’ordinanza di questa Corte n. 32865/2018 formalmente reciti che il ricorso era rigettato, non può non concordarsi con la valutazione del giudice di merito che ha evidenziato come il reale contenuto della decisione fosse quello di inammissibilità.

Nella motivazione del detto provvedimento, subito dopo l’illustrazione dei motivi, è possibile, infatti, leggere:

“Il ricorso è infondato e deve essere respinto in ordine a tutti i motivi proposti.

I motivi di ricorso contengono tutti una serie di critiche agli accertamenti in fatto espressi nella motivazione della corte territoriale che, come tali, si palesano inammissibili, in quanto dirette a sollecitare un riesame delle valutazioni riservate al giudice del merito, che del resto ha ampiamente e rettamente motivato la statuizione impugnata, esponendo le ragioni del proprio convincimento.

In ordine al primo motivo di ricorso, occorre osservare che la sentenza impugnata riporta le dichiarazioni rese dal ricorrente ed in particolare afferma che il suddetto ha riferito di essere fuggito dal proprio paese in quanto dopo la morte del padre non era in grado di mantenere la famiglia ed i suoi creditori lo minacciavano di morte tanto che era dovuto scappare in Libia cercando di trovare un’occupazione. Risulta pertanto del tutto infondato il primo motivo di ricorso che lamenta l’omesso esame delle dichiarazioni del ricorrente. La Corte proprio alla luce delle dichiarazioni rese ha piuttosto ritenuto che il ricorrente abbia lasciato il proprio paese per scelta personale e per motivi economici e non perché costretto dalla situazione di violenza ivi presente.

In riferimento ai presupposti per la concessione della protezione sussidiaria il Giudice ha correttamente ritenuto con motivazione coerente ed esaustiva l’assenza di situazioni di violenza indiscriminata e di una situazione di conflitto armato o di violenza generalizzata nella zona di provenienza del ricorrente escludendo così il diritto alla protezione sussidiaria. La censura si risolve quindi in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012 (v. Cass., sez. un., n. 8053/2014).

In riferimento poi alla protezione umanitaria ed al principio di non-refoulement, – al pari di quanto avviene per il giudizio di riconoscimento dello status di rifugiato politico e della protezione sussidiaria – incombe sul giudice il dovere di cooperazione istruttoria officiosa, così come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in ordine all’accertamento della situazione oggettiva relativa al Paese di origine. Nella specie, la Corte territoriale non ha violato i suddetti principi né è venuta meno al dovere di cooperazione istruttoria, avendo semplicemente ritenuto, a monte, che i fatti lamentati non costituiscano un ostacolo al rimpatrio né integrino un’esposizione seria alla lesione dei diritti fondamentali tenuto anche conto della concreta possibilità di accesso alla protezione interna da pericoli derivanti da soggetti, non statuali, non risultando dimostrata l’assenza della detta tutela né tantomeno che il ricorrente si sia rivolto alle autorità del suo paese, vanamente.

Il ricorso deve pertanto essere respinto.”

Il chiaro riferimento al tentativo con i mezzi di impugnazione, sia pure formalmente riferiti a violazioni di legge, di rimettere in discussione gli accertamenti in fatto, peraltro correttamente avvenuti da parte del giudice di merito, senza cogliere in relazione al secondo motivo, la effettiva ratio decidendi del provvedimento impugnato, consente di affermare che il dispositivo non corrisponda all’effettivo contenuto della decisione, che si sostanzia in una declaratoria di inammissibilità.

Occorre quindi richiamare la giurisprudenza di questa Corte secondo cui (Cass. n. 24600/2017) l’esatto contenuto della sentenza va individuato non alla stregua del solo dispositivo, bensì integrando questo con la motivazione, nella parte in cui la medesima riveli l’effettiva volontà del giudice. Ne consegue che va ritenuta prevalente la parte del provvedimento maggiormente attendibile e capace di fornire una giustificazione del “dictum” giudiziale, sicché, a fronte di un dispositivo che rigetti l’appello avverso la sentenza anziché dichiararlo inammissibile, debba darsi prevalenza alla motivazione ove emerga chiaramente la causa di inammissibilità.

Tornando quindi alla fattispecie in esame, ritiene il Collegio che sia incensurabile la decisione gravata, che rimarcando il reale contenuto della decisione emessa all’esito del procedimento nel quale il ricorrente aveva prestato il proprio patrocinio, ha ritenuto che si trattasse di un’inammissibilità, peraltro ampiamente prevedibile ex ante, atteso l’utilizzo in chiave strumentale di censure in diritto che nella realtà mascheravano, come appunto rilevato dalla stessa Corte di Cassazione, l’intento di sollecitare un nuovo apprezzamento dei fatti.

Il ricorso principale deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Da tale declaratoria di inammissibilità consegue l’assorbimento del ricorso incidentale espressamente condizionato (con il quale si deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c. con omessa pronuncia quanto alla carenza di legittimazione passiva del Ministero dell’Interno, inizialmente evocato in giudizio dal ricorrente principale).

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Poiché il ricorso principale è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso principale e, assorbito il ricorso incidentale, condanna il ricorrente principale al rimborso in favore dei ricorrenti incidentali delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 2.000,00, oltre spese prenotate a debito;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso principale a norma degli stessi artt. 1-bis e 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 11 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2022

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