Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.5661 del 21/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 580-2020 proposto da:

C.A., anche quale difensore di se stesso, rappresentato e difeso dall’avvocato CARLO PIERSANTELLI, giusta procura in calce al ricorso, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIANTURCO 6, presso lo studio dell’avvocato LUIGI DI MONACO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimato –

avverso l’ordinanza della CORTE d’APPELLO di ANCONA, depositata il 21/11/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’11/02/2022 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie del ricorrente.

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE L’avv. C.A. proponeva opposizione avverso il decreto della Corte d’Appello di Ancona con il quale era stata rigettata la richiesta di liquidazione delle competenze maturate dall’istante in seguito all’attività di assistenza prestata a favore di imputata ammessa al patrocinio a spese dello Stato.

Il giudice adito dichiarava prescritta ex art. 2956 c.c. la pretesa dell’avv. C., il quale proponeva opposizione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 170.

La Corte d’Appello, in persona del Consigliere delegato dal Presidente, con ordinanza del 21/11/2019, dichiarava inammissibile l’opposizione in quanto tardiva.

Rilevava che a seguito della sentenza interpretativa della Corte Cost. n. 106 del 2016, il D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 15, che appunto detta le regole di rito per l’opposizione di cui al menzionato art. 170, deve essere inteso nel senso che per l’impugnazione dei decreti in materia di liquidazione dei compensi del difensore della parte ammessa al patrocinio, operi il termine di trenta giorni dalla comunicazione ovvero dalla notificazione del provvedimento ex art. 702 quater c.p.c., attesa l’omogeneità di rito che accomuna il processo sommario di cognizione a quello in esame.

Ma nel momento in cui si opera un rinvio all’art. 702 quater c.p.c., deve ritenersi invocabile, in assenza di comunicazione ovvero di notificazione, il termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c., che opera in relazione a tutti i provvedimenti a carattere decisorio e definitivo, attesa l’esigenza di assicurare certezza e stabilità dei rapporti giuridici.

Tale termine decorre poi dalla pubblicazione del provvedimento, sicché avuto riguardo alla fattispecie, il provvedimento opposto era stato depositato il 26/9/2018, mentre l’opposizione era stata depositata il 29/3/2019, emergeva la sua tardiva presentazione e quindi la sua inammissibilità.

Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione C.A. sulla base di un motivo illustrato da memorie.

Il Ministero della Giustizia è rimasto intimato.

Il motivo di ricorso denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 15, nonché degli artt. 327,702 bis, 702 ter e 702 quater c.p.c., nonché la violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170.

Si deduce che la giurisprudenza di legittimità ha affermato che, in materia di procedimento sommario di cognizione, non è applicabile il termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c., ma il solo termine breve dettato dall’art. 702 quater c.p.c., correlato alla comunicazione ovvero alla notificazione del provvedimento.

Ha errato quindi la Corte d’Appello a ravvisare l’inammissibilità dell’opposizione per la sua proposizione oltre il termine semestrale dettato dall’art. 327 c.p.c..

Il motivo è inammissibile in quanto in contrasto con la pacifica giurisprudenza di questa Corte.

Rileva il Collegio che, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, non può reputarsi che la giurisprudenza di questa Corte sia prevalentemente nel senso dell’inapplicabilità dell’art. 327 c.p.c. in ordine all’individuazione del termine per proporre appello avverso l’ordinanza emessa all’esito del processo sommario di cognizione di cui agli artt. 702 bis e ss. c.p.c..

In realtà la ricognizione della giurisprudenza permette di rilevare come tale affermazione sia espressamente contenuta solo in Cass. n. 14478/2018, a mente della quale in tema di procedimento sommario di cognizione, non è applicabile, limitatamente all’appello, l’art. 327 c.p.c., comma 1, poiché la decorrenza del termine per proporre tale mezzo di impugnazione dal deposito dell’ordinanza è logicamente e sistematicamente esclusa dalla previsione, contenuta nell’art. 702 quater c.p.c., della decorrenza dello stesso termine, per finalità acceleratorie, dalla comunicazione o dalla notificazione dell’ordinanza medesima. Ma trattasi di precedente rimasto sostanzialmente isolato, non potendo a ben vedere ravvisarsi un’analoga affermazione in Cass. n. 11331/2017, che si è limitata a ritenere manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale – per asserita violazione degli artt. 3,24 e 111 Cost. – dell’art. 702-quater c.p.c., nella parte in cui stabilisce che l’ordinanza conclusiva del procedimento sommario di cognizione è appellabile entro il termine breve di trenta giorni dalla sua comunicazione ad opera della cancelleria, trattandosi di una scelta discrezionale del legislatore, ragionevolmente in linea con la natura celere del procedimento, né lesiva del diritto di difesa, in quanto il detto termine decorre dalla piena conoscenza dell’ordinanza, che si ha con la comunicazione predetta ovvero con la notificazione ad istanza di parte, né tantomeno in Cass. n. 30850/2019 che, riqualificato il provvedimento impugnato quale ordinanza sommaria ex art. 702 ter c.p.c., ha ritenuto lo stesso assoggettabile al termine breve di cui all’art. 702 quater c.p.c., posto che nella specie l’ordinanza era stata comunicata (essendo il richiamo a Cass. n. 14478/2018, meramente ricognitivo dell’esistenza di tale precedente, ma senza che l’adesione allo stesso fosse risolutiva per la decisione della fattispecie).

A diverse conclusioni, e corrispondenti a quelle cui è pervenuto il provvedimento impugnato, è giunta di recente Cass. n. 17624/2020, che ha appunto affermato che, in tema di protezione internazionale, l’applicabilità del termine breve per l’appello di cui all’art. 702-quater c.p.c. presuppone la regolare notifica dell’ordinanza che decide la controversia in primo grado, sicché qualora, a fronte della contumacia in primo grado del Ministero dell’interno, la notifica sia stata eseguita nei confronti di un funzionario in violazione del R.D. n. 1611 del 1933, art. 11, applicabile nelle sole ipotesi in cui l’Amministrazione abbia provveduto alla costituzione “in proprio” nel giudizio -, essa è nulla ed assume conseguentemente rilievo il termine semestrale di impugnazione ex art. 327 c.p.c. (conf. Cass. n. 32961/2019). Allo stesso esito è poi approdata anche Cass. n. 16893/2018, che sia pur declamando il principio per cui l’ordinanza conclusiva del procedimento sommario di cognizione può essere appellata, dalla parte contumace, nel termine “breve” di cui all’art. 702 quater c.p.c., decorrente dalla notificazione della stessa, in difetto della quale trova applicazione il termine “lungo” di cui all’art. 327 c.p.c. che opera per tutti i provvedimenti a carattere decisorio e definitivo, ha appunto sviluppato delle motivate argomentazioni che depongono per la generale applicabilità del termine di cui all’art. 327 c.p.c., non solo per la parte contumace ma anche per la parte costituita, ove però non intervenga la comunicazione del provvedimento.

La decisione ora riportata, che il Collegio reputa di condividere, ha ritenuto che l’argomento sistemico secondo cui l’ordinanza ex art. 702 ter per la presenza di una norma speciale in ordine al termine breve per appellare, sfuggirebbe al termine lungo dettato dall’art. 327 c.p.c., non possa essere sposato, in quanto non è ragionevole isolare un istituto dal sistema processuale in cui il legislatore lo ha inserito, rivestendo un ruolo significativo la circostanza che la collocazione del rito sommario non avviene in una legge speciale, bensì esplicitamente nella struttura normativa contestualizzante, ovvero nel codice di rito, tramite il Libro IV, Titolo I, aggiunto Capo III-bis.

In tal senso si è orientata anche Cass. n. 14821/2020, secondo cui, nelle controversie in materia di protezione internazionale celebrate “ratione temporis” secondo il rito sommario introdotto dal D.Lgs. n. 150 del 2011, il ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello deve essere proposto nel termine di sei mesi dalla pubblicazione della decisione, come previsto in via generale dall’art. 327 c.p.c., comma 1, non essendovi disposizioni particolari che riguardino l’impugnazione delle pronunce di gravame all’esito di un procedimento sommario, e non trovando applicazione il disposto dell’art. 702 quater c.p.c., che attiene alla proposizione dell’appello contro le ordinanze di primo grado. Ne deriva, pertanto, che, ai fini del decorso di tale termine, non assume alcun rilievo la tardiva comunicazione del deposito della decisione impugnata da parte della cancelleria (conf. Cass. n. 18004/2021, quanto al termine per ricorrere avverso l’ordinanza emessa ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14).

E’ stato altresì sottolineato che il “procedimento sommario di cognizione”, a differenza degli ulteriori istituti qualificati sommari/cautelari, con l’ordinanza di cui all’art. 702 ter, comma 6, produce un accertamento la cui stabilizzazione può essere inficiata soltanto attraverso il meccanismo delle impugnazioni, venendo a rivestire, anche nella successiva legislazione processuale, una funzionalità che lo colloca su di un piano di parità funzionale rispetto al tradizionale “rito ordinario di cognizione” ed al rito del lavoro (come confermato dalla novella di cui al D.Lgs. n. 150 del 2011 nonché dall’introduzione dell’art. 183 bis c.p.c., aggiunto dal D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito con modifiche in L. 10 novembre 2014, n. 162).

Tale volontà del legislatore di individuare nel processo sommario uno strumento del pari idoneo ad assicurare la tutela dei diritti soggettivi e con caratteri di stabilità e definitività, non consente che la sua disciplina sia decontestualizzata dal sistema processuale nel quale si innesta, dovendosi quindi far ricorso a tutti quegli istituti presenti nel sistema e connotati da un carattere generale.

Tra questi deve quindi inscriversi anche il termine impugnatorio c.d. lungo previsto dall’art. 327 c.p.c. che la giurisprudenza di legittimità, sebbene sviluppatasi precipuamente per il ricorso straordinario ma di contenuto generale -, ha fin da tempi risalenti riconosciuto di generale applicabilità (cfr. ex multis Cass. sez. 3, 10 aprile 1956 n. 1057 – che già affermava: “Tutti i provvedimenti giurisdizionali aventi contenuto decisorio, siano sentenze o ordinanze, non possono essere impugnati dopo il decorso di un anno dalla pubblicazione di essi” ex art. 327 c.p.c., comma 1, -; Cass. sez. 1, 8 giugno 1965 n. 1146 – che insegnava l’attinenza dell’art. 327 ai “provvedimenti giurisdizionali, ossia i provvedimenti con contenuto di sentenza”, escludendone invece “le ordinanze strictu sensu” -; Cass. sez. 2, 9 aprile 1973 n. 1011 – che ribadiva l’applicabilità dell’art. 327 ai “provvedimenti giurisdizionali aventi carattere decisorio, siano essi sentenze o ordinanze”; Cass. sez. 2, 21 febbraio 1996 n. 1331; Cass. sez. 3, 25 luglio 1997 n. 6987). A fronte di qualche isolata affermazione volta a negare l’applicabilità dell’art. 327 sostenendo (per quanto qui interessa) l’impugnabilità di tali tipi di provvedimento soltanto entro il termine breve di cui all’art. 325 (Cass. sez. 2, 12 marzo 1993 n. 2992; Cass. sez. 2, 20 febbraio 1995 n. 1850; Cass. sez. 2, 16 luglio 1997 n. 6474; Cass. sez. L, 20 novembre 1997 n. 11582) intervennero le Sezioni Unite, che con la sentenza 8 giugno 1998 n. 5615 hanno affermato l’applicabilità alle ordinanze di contenuto decisorio e carattere definitivo del termine lungo di cui all’art. 327. Su tale linea si è quindi riconsolidata la giurisprudenza di questa Suprema Corte (tra gli arresti massimati: Cass. sez. 1, 28 gennaio 1999 n. 746; Cass. sez. L, 13 dicembre 1999 n. 13980; Cass. sez. L, 18 novembre 2000 n. 14936; Cass. sez. L, 10 gennaio 2001 n. 260; Cass. sez. 2, 19 marzo 2001 n. 3935; Cass. sez. 2, 17 aprile 2001 n. 5608; Cass. sez. 1, 20 aprile 2004 n. 7480; Cass. sez. 2, 23 marzo 2006 n. 6564; Cass. sez. 2, 6 giugno 2006 n. 13229; Cass. sez. 3, 16 novembre 2011 n. 24000; Cass. sez. 1, 14 maggio 2014 n. 10450; Cass. sez. 1, 25 luglio 2016 n. 15343; Cass. sez. 6-L, ord. 20 febbraio 2017 n. 4365).

Ritiene il Collegio che debba riaffermarsi il principio secondo cui l’introduzione di una specifica disciplina attinente al termine breve e agli effetti del suo decorso non può quindi assorbire in modo meramente implicito la via dell’art. 327, potendo tale conclusione essere raggiunto solo in presenza di un’espressa scelta da parte del legislatore, che nella fattispecie non si ravvisa, avendo l’art. 702 quater c.p.c. semplicemente inteso introdurre l’accelerazione del termine di impugnazione, di norma correlato alla notificazione del provvedimento, anche al caso della sua comunicazione, prescindendosi da uno specifico impulso di controparte.

Ne’ può ritenersi che tale esito valga solo per il caso di parte contumace, per la quale non è appunto prescritta la comunicazione del provvedimento, ma deve estendersi anche all’ipotesi, qui ricorrente, di parte costituita, ma alla quale non sia stata effettuata la comunicazione.

Va, in tal senso, ribadito che, come anche affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. n. 954/1994; Cass. S.U. n. 25174/2008), l’art. 327 c.p.c., il quale prevede la decadenza della impugnazione dopo il decorso di un anno dalla pubblicazione della sentenza, indipendentemente dalla notificazione di questa, è espressione di un principio di ordine generale, diretto a garantire certezza e stabilità dei rapporti giuridici, che trova generale applicazione nell’ambito delle impugnazioni di provvedimenti giurisdizionali (conf. Cass. n. 15262/2011), essendosene estesa l’applicazione ad esempio alle impugnazioni delle sentenze delle commissioni tributarie per la sua portata di carattere generale (Cass. n. 16004/2009).

Alle medesime conclusioni è poi pervenuta la giurisprudenza di legittimità quanto al regime dei termini per la proposizione del regolamento di competenza, ove, pur prevedendo la legge che lo stesso debba esser proposto in un termine breve decorrente dalla comunicazione del provvedimento sulla competenza, si è affermato che ove la comunicazione manchi, resti invocabile il termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c. (Cass. S.U. n. 9818/1996; Cass. n. 17386/2013; Cass. n. 6232/2000).

Depone poi per la generale applicabilità del termine di cui all’art. 327 c.p.c., in assenza di un’espressa esclusione da parte del legislatore anche la giurisprudenza costituzionale che (cfr. Corte Cost. n. 297 del 2008) nel ribadire che la decorrenza del termine (all’epoca) annuale per l’impugnazione della sentenza fissata con riferimento alla data della pubblicazione, è coerente con il principio secondo cui, dopo un certo tempo, la cosa giudicata si forma indipendentemente dalla notificazione della sentenza ad istanza di parte, ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 327 c.p.c., comma 1, censurato, in riferimento all’art. 24 Cost., nella parte in cui, prevedendo la decorrenza del termine lungo per l’impugnazione dalla pubblicazione della sentenza, anziché dalla sua comunicazione a cura della cancelleria, non assicurerebbe alle parti il diritto di difesa costituzionalmente garantito, per non essere alle stesse assicurato il godimento per intero del termine per impugnare. Ha infatti ritenuto che la norma censurata opera un non irragionevole bilanciamento tra l’indispensabile esigenza di tutela della certezza delle situazioni giuridiche e il diritto di difesa, in quanto l’ampiezza del termine annuale consente al soccombente di informarsi tempestivamente della decisione che lo riguarda, facendo uso della diligenza dovuta in rebus suis, mentre la decorrenza fissata con riferimento alla pubblicazione è un corollario del principio secondo cui, dopo un certo lasso di tempo, la cosa giudicata si forma indipendentemente dalla notificazione della sentenza ad istanza di parte, sicché lo spostamento del dies a quo dalla data di pubblicazione a quella di comunicazione non solo sarebbe contraddittorio con la logica del processo, ma restringerebbe irrazionalmente il campo di applicazione del termine lungo di impugnazione alle parti costituite in giudizio, alle quali soltanto la sentenza è comunicata ex officio (conff. Corte Cost. sentt. n. 151 e 152 del 1980, 303 del 1985, 102 e 156 del 1986, 881 del 1988, 584 del 1990, 201 del 1993, 211 del 2001, 224 del 2004; ordd. n. 129 del 1991, 56 del 2005).

Tali conclusioni ritiene il Collegio che debbano essere tenute ferme anche a fronte della modifica del termine di cui all’art. 327 c.p.c., essendo quello fissato comunque idoneo ad assicurare un congruo termine per permettere al soccombente di informarsi circa l’esito del giudizio che lo riguarda, e dovendo darsi adeguata tutela all’esigenza di certezza dei diritti controversi, tramite la formazione della cosa giudicata.

Ad opinare diversamente, il provvedimento di liquidazione dei compensi, oggetto del presente giudizio, risulterebbe suscettibile di impugnazione senza termine non solo per la parte contumace nel giudizio cui si riferisce la richiesta di liquidazione (si pensi all’analoga problematica che si pone in tema di richiesta di liquidazione dei compensi dell’ausiliario del giudice), ma anche per la stessa parte richiedente, ove risulti omessa la comunicazione del provvedimento da parte della cancelleria, determinandosi pertanto proprio quella situazione di impasse che aveva portato a sollevare la questione di legittimità costituzionale, poi disattesa dalla Corte Costituzionale con la pronuncia n. 106/2016, la quale pur avendo affermato l’applicabilità del termine di cui all’art. 702 quater c.p.c., è in ogni caso espressiva dell’esigenza di dover comunque individuare un termine per la formazione della res iudicata.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Nulla a provvedere sulle spese atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato.

Poiché il ricorso è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Dichiara il ricorso inammissibile;

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2022

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