Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.5675 del 21/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. GARRI Fabriazia – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6186-2020 proposto da:

B.L., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONINO NOVELLO;

– ricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI SIRACUSA in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 2312/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 22/10/2019 R.G.N. 2114/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/01/2022 dal Consigliere Dott. PATTI ADRIANO PIERGIOVANNI.

RILEVATO

CHE:

1. con sentenza 22 ottobre 2019, la Corte d’appello di Catania rigettava il gravame di B.L., cittadino nigeriano, avverso l’ordinanza di primo grado, di reiezione delle sue domande di protezione internazionale e umanitaria;

2. come già il Tribunale, essa, pur ritenendo credibile la vicenda del richiedente (che aveva riferito di essere fuggito dal proprio Paese, perché spaventato dalle minacce di morte del proprio datore di lavoro, aderente alla setta degli Ogboni, alle cui dipendenze lavorava come autista, per avergli distrutto, a seguito di un sinistro stradale, il veicolo che guidava), la qualificava relativa a questioni private e lavorative, da risolvere in base alle leggi interne nigeriane;

3. la Corte territoriale negava pertanto la sussistenza dei requisiti di concessione delle protezioni maggiori, compresa, alla luce delle COI assunte in merito alla situazione socio-politica della Nigeria (con particolare riguardo al report 2017/18 di Amnesty International, che escludeva una situazione di violenza indiscriminata dipendente da conflitto armato nella parte meridionale della Nigeria: essendo interessata dagli attacchi del gruppo terroristico islamico Boko Haram la sua zona settentrionale), la protezione sussidiaria prevista per l’ipotesi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). E parimenti di protezione umanitaria, in assenza di una specifica vulnerabilità del richiedente, non attinto da trattamenti privativi dei diritti umani fondamentali, o comunque degradanti la sua dignità personale, in caso di rientro nel Paese di provenienza, per le sue condizioni di stabilità e la permanenza ivi della sua famiglia;

4. con atto notificato l’11 febbraio 2020, lo straniero ricorreva per cassazione con due motivi; il Ministero dell’Interno intimato non resisteva con controricorso, ma depositava atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ult. alinea, cui non faceva seguito alcuna attività difensiva.

CONSIDERATO

CHE:

1. il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), per la sussistenza di una situazione attuale della Nigeria ben compatibile con il pericolo di danno alla persona previsto dalla norma denunciata, sulla base del rapporto 2017/18 di Amnesty International e del sito Viaggiare sicuri (primo motivo);

2. esso è inammissibile;

3. premesso che il ricorrente non censura la ratio decidendi della sentenza, di qualificazione dalla Corte territoriale della vicenda del richiedente alla stregua di “questioni private e lavorative” (all’ultimo capoverso di pg. 2), sicché il motivo è per tale ragione generico, in violazione della prescrizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 (Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 26 settembre 2016, n. 18860; Cass. 9 ottobre 2019, n. 25354; Cass. 18 novembre 2020, n. 26726), esso si risolve peraltro in una mera contestazione valutativa dell’accertamento giudiziale, congruamente argomentato (per le ragioni esposte dal secondo all’ultimo capoverso di pg. 4 della sentenza), sulla base del medesimo rapporto consultato dalla Corte d’appello e di avviso informativo tratto dal sito Viaggiare sicuri (pure privo di indicazione di data), considerato, come noto, fonte non ufficiale né affidabile di COI (Country of Origin Information) pertinenti, per lo scopo e la funzione del sito (presso il Ministero degli Esteri) solo in parte coincidenti con quelli perseguiti nei procedimenti in materia di protezione internazionale (Cass. 12 maggio 2020, n. 8819; Cass. 25 settembre 2020, n. 20334; Cass. 10 febbraio 2021, n. 3357);

4. il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19,D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 32,D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per il mancato adempimento dell’obbligo di cooperazione istruttoria giudiziale, ai fini della protezione umanitaria in relazione alla situazione di grave conflittualità armata interna e di torture, violenze e trattamenti degradanti nei confronti dei migranti, detenuti in lager governativi (come da rapporti 2015/16 e 2016/17 di Amnesty International), in Libia, paese di proprio transito e nel quale egli aveva lavorato per un periodo temporale apprezzabile (secondo motivo);

5. anch’esso è inammissibile;

6. ribadito l’indirizzo, secondo cui l’allegazione, da parte del richiedente, che in un Paese di transito (nella specie, la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perché l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide; potendo tuttavia il paese di transito rilevare (dir. UE n. 115 del 2008, art. 3) nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale paese (Cass. 6 febbraio 2018, n. 2861; Cass. 6 dicembre 2018, 31676; Cass. 5 giugno 2020, n. 10835), la questione è peraltro nuova e implica gli accertamenti in fatto richiesti, non avendone trattato la sentenza, né essendo stata mai prima prospettata, né avendo il ricorrente indicato dove eventualmente essa lo sia stata nei gradi di merito (Cass. 22 dicembre 2005, n. 28480; Cass. 13 dicembre 2019, n. 32804); 7. pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, senza assunzione di un provvedimento sulle spese del giudizio, e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 20 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2022

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