Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.5676 del 21/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. GARRI Fabriazia – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6383-2020 proposto da:

G.M., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ELISA SFORZA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Firenze, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 2092/2019 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 09/09/2019 R.G.N. 258/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/01/2022 dal Consigliere Dott. PATTI ADRIANO PIERGIOVANNI.

RILEVATO

CHE:

1. con sentenza 9 settembre 2019, la Corte d’appello di Firenze rigettava il gravame di G.M., cittadino senegalese, avverso l’ordinanza di primo grado, di reiezione delle sue domande di protezione internazionale e umanitaria;

2. essa condivideva la valutazione del Tribunale, di inverosimiglianza, per difetto di ragionevolezza e di contraddittorietà tra le versioni date, del racconto del richiedente (che aveva riferito di essere fuggito dalla regione senegalese del Tambacound, per timore di subire una carcerazione inumana per il reato di lesioni commesso a seguito di un’aggressione subita, essendo con la propria famiglia di religione “khadriya”, da un gruppo contrapposto di religione “tidiana” e del pericolo derivante dallo stato generalizzato di conflitto armato interno esteso all’intero territorio nazionale); sicché, non ravvisava, anche in assenza di un tale conflitto nella regione di sua provenienza e in fase di arresto di quello nella vicina regione del Casamance (per la proclamazione dal 2014 di un “cessate il fuoco”) i presupposti di concessione della protezione sussidiaria. Ma neppure di quella umanitaria, in difetto di alcuna specifica vulnerabilità, né di un significativo radicamento lavorativo, né sociale o relazionale nel territorio italiano, avendo anzi il predetto i propri familiari in Senegal, non essendovi ivi condizioni ostative al rimpatrio;

3. con atto notificato il 10 febbraio 2020, lo straniero ricorreva per cassazione con due motivi; il Ministero dell’Interno intimato non resisteva con controricorso, ma depositava atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ult. alinea, cui non faceva seguito alcuna attività difensiva.

CONSIDERATO

CHE:

1. il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, ed omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, quale l’attuale situazione socio-politica del Senegal e di sicurezza, in riferimento al rispetto dei diritti umani e in particolare in ambito carcerario nei confronti dei detenuti, in mancanza totale dell’indicazione dalla Corte di alcuna fonte da cui avrebbe tratto il proprio convincimento negativo al riguardo, nell’inosservanza dell’obbligo di cooperazione istruttoria (primo motivo);

2. esso è inammissibile;

3. è vero che la Corte territoriale non ha indicato su quali fonti informative abbia in particolare radicato il proprio convincimento di esclusione di una violenza generalizzata dipendente da conflitto armato in Senegal (al primo capoverso di pg. 6 della sentenza), così violando il proprio obbligo di acquisizione officiosa delle necessarie informazioni relative al Paese d’origine del richiedente asilo che risultino complete, affidabili e aggiornate al momento della decisione (Cass. 12 novembre 2018, n. 28990; Cass. 22 maggio 2019, n. 13897; Cass. 20 maggio 2020, n. 9230);

3.1. tuttavia, il ricorso omette totalmente il racconto della storia del richiedente, sia nella parte espositiva, sia nei motivi formulati, non essendo conformato al paradigma legale così da ostare all’esame della sentenza: sicché, esso difetta dell’essenziale requisito, prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’esposizione sommaria dei fatti sostanziali e processuali della vicenda e tale mancanza ne determina l’inammissibilità, essendo la suddetta esposizione funzionale alla comprensione dei motivi e alla verifica di ammissibilità, pertinenza e fondatezza delle censure proposte (Cass. s.u. 2014, n. 11308; Cass. 24 aprile 2018, n. 10072; Cass. 12 marzo 2020, n. 7025);

4. il ricorrente deduce poi violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per mancato accertamento delle condizioni socio-economiche e dell’ordinamento giuridico del Paese di provenienza, a fini di concessione della protezione umanitaria, diversi da quella operata per la protezione sussidiaria, ben potendo la violazione di diritti umani, non legittimanti la concessione di questa, rilevare per quella (secondo motivo);

5. anch’esso è inammissibile;

6. ribadita l’autonomia della protezione umanitaria, per la quale il difetto d’intrinseca credibilità sulla vicenda individuale e sulle deduzioni ed allegazioni relative alle protezioni maggiori non estende gli effetti anche sulla domanda a quella relativa, soggetta ad oneri di deduzione e di allegazione in parte diversi (Cass. 18 aprile 2019, n. 10922; Cass. 2 novembre 2020, n. 24186), essi devono tuttavia essere pur sempre assolti dal richiedente, esigendosi comunque un esame autonomo delle condizioni di vulnerabilità, dovendo il giudice attivare anche su tale domanda il proprio dovere di cooperazione istruttoria, ove non sia genericamente proposta (Cass. 21 aprile 2020, n. 7985);

6.1. la natura residuale ed atipica della protezione umanitaria implica sì che il suo riconoscimento debba essere frutto di valutazione autonoma, caso per caso e che il suo rigetto non possa conseguire automaticamente a quello delle altre forme tipiche di protezione; e tuttavia, sia che ciò comporti per chi la invochi l’onere di allegare in giudizio fatti ulteriori e diversi da quelli posti a fondamento delle altre due domande di protezione c.d. “maggiore” (Cass. 7 agosto 2019, n. 21123), sia che i fatti storici posti a fondamento della positiva valutazione della condizione di vulnerabilità possano essere gli stessi già allegati per ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato o la concessione della protezione sussidiaria, spettando poi al giudice qualificare detti fatti ai fini della riconduzione all’una o all’altra forma di protezione (Cass. 12 maggio 2020, n. 8819; Cass. 8 luglio 2021, n. 19548), resta comunque necessario, perché il giudice sia chiamato a verificare l’esistenza di seri motivi che impongano di offrire tutela a situazioni di vulnerabilità individuale, anche esercitando i poteri istruttori ufficiosi a lui conferiti, che il richiedente indichi i fatti costitutivi del diritto azionato e pertanto fornisca elementi idonei a far desumere che il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Cass. 2 luglio 2020, n. 13573): purché il richiedente non si limiti ad allegare una situazione di generica pericolosità del paese di origine, che non consenta una proiezione individualizzata idonea a consentire al giudice di merito la necessaria e concreta comparazione tra i due contesti di vita da parte dello straniero rispetto alla deprivazione nel godimento dei diritti fondamentali a cui sarebbe esposto in caso di rimpatrio (Cass. 4 agosto 2021, n. 22274);

6.2. ciò che si verifica nel caso di specie, a fronte dell’argomentata negazione della misura dalla Corte territoriale in riferimento alla specifica situazione personale (inidoneamente) allegata dal richiedente (all’ultimo capoverso di pg. 6 e al primo di pg. 7 della sentenza): con la conseguente assoluta genericità del motivo, in violazione della prescrizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 (Cass. 3 luglio 2008, n. 18202; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 23 gennaio 2019, n. 1845);

7. pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, senza assunzione di un provvedimento sulle spese del giudizio, e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 20 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2022

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