Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.5678 del 21/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. GARRI Fabriazia – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6399-2020 proposto da:

S.P., domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato LUCA DONELLI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI BOLOGNA – Sezione distaccata di Ancona, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 2264/2019 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 01/08/2019 R.G.N. 1354/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/01/2022 dal Consigliere Dott. PATTI ADRIANO PIERGIOVANNI;

il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa DE RENZIS LUISA ha depositato conclusioni scritte.

RILEVATO

CHE:

1. con sentenza 1 agosto 2019, la Corte d’appello di Bologna rigettava l’appello di S.P., cittadina nigeriana, avverso l’ordinanza di primo grado, reiettiva delle sue domande di protezione internazionale e umanitaria;

2. come già la Commissione Territoriale e il Tribunale, la Corte felsinea negava credibilità al racconto della richiedente, contraddittorio nella sua progressiva evoluzione nelle varie fasi e gradi del procedimento (avendo ella riferito di essere partita dalla Nigeria alla volta della Libia accompagnata dal marito, che aveva iniziato ivi ad essere violento per indurla alla prostituzione, decidendo così di separarsi da lui e avendo successivamente raggiunto l’Italia, temendo in caso di rimpatrio di essere uccisa dal padre, con il quale peraltro non aveva più avuto contatti da undici anni, per avere rinnegato la religione islamica; avendo quindi dichiarato un parto cesareo a causa delle botte del marito per indurla alla prostituzione; e in appello facendo esplicito riferimento alla propria condizione di vittima di tratta), così escludendo la ricorrenza dei presupposti di riconoscibilità delle misure di protezione;

3. con atto notificato il 22 (28) gennaio 2020, la straniera ricorreva per cassazione con due motivi; il Ministero dell’Interno intimato non resisteva con controricorso, ma depositava atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ult. alinea, cui non faceva seguito alcuna attività difensiva.

4. il P.G. rassegnava conclusioni scritte, a norma dell’art. 380-bis 1 c.p.c., nel senso dell’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO

CHE:

1. la ricorrente deduce violazione dell’art. 116 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, per erronea valutazione di non credibilità della richiedente, nel mancato rispetto del protocollo procedimentale previsto dalla legge e in assenza di ogni considerazione della propria condizione di vittima di tratta (primo motivo); violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 1, 14, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per la negazione delle misure di protezione internazionale richieste, nonostante la rappresentata situazione di vittima di tratta della straniera, da tutelare con lo status di rifugiata anche in base alla Convenzione di Istanbul 11 maggio 2011, con illustrazione del circuito criminale riguardante proprio le giovani donne nigeriane e richiamo infine della situazione di violenta conflittualità armata e di criminalità pervasiva in Nigeria, in base ai rapporti annuali di Amnesty International 2015, 2016, 2017 (secondo motivo);

2. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono fondati;

3. questa Corte ha affermato, ancora recentemente (Cass. 14 gennaio 2021, n. 10), come lo status di rifugiato possa essere riconosciuto dallo Stato ad un cittadino straniero, che, per il timore fondato di essere perseguitato, con atti di persecuzione sufficientemente gravi anche di violenza fisica o psichica e compresa la violenza sessuale, in particolare per motivi di appartenenza ad un determinato gruppo sociale, si trovi fuori dal territorio del Paese di cui ha la cittadinanza e non possa o, a causa di tale timore, non voglia avvalersi della protezione di tale Paese (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 1, lett. e, f, art. 7 commi 1 e 2, lett. a, art. 11); e come debba essere riconosciuta la natura strutturale della violenza contro le donne, in quanto basata sul genere, per tale dovendosi intendere qualsiasi violenza diretta contro una donna in quanto tale, o che colpisca le donne in modo sproporzionato (Preambolo e art. 3, lett. d Convenzione Istanbul 11 maggio 2011); così che le Parti aderenti a detta Convenzione, tra cui l’Italia, si sono impegnate ad adottare le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che la violenza contro le donne basata sul genere possa essere riconosciuta come una forma di persecuzione ai sensi dell’art. 1 sez. A n. 2 della Convenzione relativa allo status dei rifugiati del 28 luglio 1951 e come una forma di grave pregiudizio che dia luogo a una protezione complementare o sussidiaria (art. 60, comma 1), pure accertandosi che un’interpretazione sensibile al genere sia applicata a ciascuno dei motivi della Convenzione, e che nei casi in cui sia stabilito che il timore di persecuzione sia basato su uno o più di tali motivi, sia concesso ai richiedenti asilo lo status di rifugiato, in funzione degli strumenti pertinenti applicabili (art. 60, comma 2); avendo poi essa altresì stabilito la modulazione delle misure di accoglienza espressamente previste, secondo la specifica situazione delle persone vulnerabili, tra le quali le vittime della tratta di esseri umani, ai sensi del D.Lgs. n. 142 del 2015, art. 17, comma 1 (per un’esaustiva ricostruzione della normativa e più in generale del fenomeno della tratta di esseri umani, in particolare delle donne: Cass. 12 gennaio 2022, n. 679) e l’applicazione ai richiedenti protezione internazionale identificati come vittime della tratta di esseri umani il programma unico di emersione, assistenza e integrazione sociale previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 18, comma 1 bis (citato D.Lgs. n. 142 del 2015, art. 17, comma 2); e come, ancora, requisito essenziale per il riconoscimento dello status di rifugiato sia il fondato timore di persecuzione “personale e diretta” nel Paese d’origine del richiedente a causa della razza, della religione, della nazionalità, dell’appartenenza a un gruppo sociale ovvero per le opinioni politiche professate; e che il relativo onere probatorio, più attenuato in funzione dell’intensità della persecuzione, incombe sull’istante, per il quale è tuttavia sufficiente dimostrare, anche in via indiziaria, la “credibilità” dei fatti allegati, i quali, peraltro, devono avere carattere di precisione, gravità e concordanza (Cass. 11 luglio 2016, n. 14157; Cass. 27 novembre 2019, n. 30969; Cass. 24 giugno 2020, n. 12514);

3.1. in tale prospettiva, in tema di protezione internazionale e umanitaria, la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non è affidata alla mera opinione del giudice ma è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e tenendo conto “della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente” (di cui al citato D.Lgs., art. 5, comma 3, lett. c)), con riguardo alla sua condizione sociale e all’età, non potendo darsi rilievo a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati quando si ritenga sussistere l’accadimento: dovendo l’autorità amministrativa e il giudice dell’impugnazione di decisioni negative della Commissione territoriale, svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda, disancorandosi dal principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario, mediante l’esercizio di poteri-doveri d’indagine officiosi e l’acquisizione di informazioni aggiornate sul paese di origine del richiedente, al fine di accertarne la situazione reale (Cass. 14 novembre 2017, n. 26921; Cass. 10 giugno 2020, n. 11170), con particolare approfondimento nelle ipotesi di più violenta aggressione della libertà e della dignità della donna, come nel caso in questione, di “vendita” della richiedente, di per sé integrante un trattamento di tipo schiavistico, esigente l’assunzione di specifiche informazioni sulla situazione delle donne nigeriane, anche considerato che spesso le vittime di tratta non denunciano le violenze subite per timore di ritorsioni (Cass. 14 novembre 2019, n. 29603): in virtù di informazioni appropriate ed attendibili, acquisite secondo Linee guida elaborate dall’UNHCR per la identificazione delle vittime di tratta, alla cui redazione ha partecipato anche il Ministero dell’Interno, Commissione nazionale per il diritto di asilo, richiamanti il dovere di procedere ad una corretta identificazione delle vittime di tratta, a norma dell’art. 11 par. 4 della Direttiva 2011/36/U (Cass. 12 gennaio 2022, n. 679, p.to 5 in motivazione);

3.2. nei procedimenti in materia di protezione internazionale, la valutazione di inattendibilità del racconto del richiedente non può condizionare la verifica dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria che il giudice è chiamato ad effettuare ex officio sia rispetto all’esistenza ed al grado di deprivazione dei diritti umani nell’area di provenienza del richiedente, sia rispetto alla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione raggiunto nel nostro paese e i rischi collegati al rimpatrio che potrebbero esporre l’asilante, proveniente da quella determinata area geografica, ad un’oggettiva vulnerabilità personale, caratterizzata da fenomeni di deprivazione dei diritti della popolazione femminile e dal rischio concreto di sfruttamento sessuale nell’ambito del circuito della tratta di esseri umani (Cass. 9 agosto 2021, n. 22511);

3.3. in particolare, questa drammatica e avvilente condizione, connotata da crimini quali il rapimento, la detenzione, lo stupro, la riduzione in schiavitù sessuale, la prostituzione forzata, le percosse, la negazione di cure mediche, il sequestro dei documenti di identità e la limitazione di libertà personale, che costituiscono gravi atti di aggressione a diritti fondamentali della persona, in genere, fondandosi sull’approfittamento di una particolare condizione di debolezza delle donne, soprattutto se giovani, prive di validi legami familiari e provenienti da zone povere (così da qualificare questi atti come persecutori, a norma del D.Lgs. n. 521 del 2007, art. 8, lett. d): Cass. 12 gennaio 2022, n. 679, p.to 7 in motivazione), esige anche un’appropriata e meglio professionalmente qualificata conduzione delle audizioni delle persone versanti in una tale condizione, prima e della valutazione dei racconti, poi. Specialmente in riferimento a quelle superficialmente apprezzate, come appunto nel caso di specie, alla stregua di contraddizioni, invece meritevoli di una diversa attenzione dal giudice di merito: che tenga appunto conto della particolare condizione di vulnerabilità della vittima, o potenziale vittima, di tratta, che si esprime innanzitutto nella difficoltà di riferire, di fronte ad estranei, una storia evidentemente incentrata su vicende assolutamente personali, sulle quali (soprattutto in determinati ambiti culturali) può esservi un particolare riserbo, fino alla vera e propria ritrosia a fornire i dettagli del proprio vissuto. In questo senso, la modifica di alcuni elementi del racconto della vittima può ritenersi consustanziale al senso di insicurezza, alla vergogna provata dalla richiedente, alla disistima personale ed alla mancanza di fiducia negli altri causata da quanto subito, alla difficoltà di relazionarsi, su vicende profondamente personali, con persone sconosciute che mai sono state incontrate prima; sicché, il fatto che in sede giudiziaria vengano forniti dettagli non indicati innanzi alla Commissione si può ben giustificare alla luce di una progressiva acquisizione di un senso di fiducia, legato alla cessazione del pericolo al quale la donna era stata esposta, o sentiva di esser stata esposta (Cass. 3 febbraio 2021, n. 2464, in motivazione);

3.4. appare evidente che, nel caso di specie, la Corte territoriale abbia ignorato i suenunciati principi di diritto nell’accertamento di credibilità della richiedente, in assenza di un adeguato approfondimento della specifica situazione rappresentata, in violazione del suo obbligo di cooperazione istruttoria;

4. pertanto il ricorso deve accolto, con la cassazione della sentenza impugnata e rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Bologna in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Bologna in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 20 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2022

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