LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –
Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –
Dott. GARRI Fabriazia – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 6203-2020 proposto da:
A.L., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARIO NOVELLI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO – Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Ancona, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;
– resistente con mandato –
avverso la sentenza n. 3953/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 30/09/2019 R.G.N. 5941/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/01/2022 dal Consigliere Dott. PATTI ADRIANO PIERGIOVANNI.
RILEVATO
CHE:
1. con sentenza 30 settembre 2019, la Corte d’appello di Milano rigettava il gravame di A.L.O., cittadino nigeriano, avverso la sentenza di primo grado, di reiezione delle sue domande di protezione internazionale e umanitaria;
2. essa negava, come il Tribunale, la credibilità del richiedente, che aveva riferito di avere abbandonato il villaggio di Ego, vicino a Benin City (nel Delta del Niger, a sud della Nigeria), a seguito di una conflittuale successione familiare ad uno zio, re di un villaggio vicino (morto in un incidente stradale con il figlio) ed a cui avrebbe dovuto subentrare il proprio padre, in quanto senza figli il (terzo) fratello pure titolato alla successione, che aveva cercato di eliminarlo fisicamente (per rendere anche suo padre parimenti senza figli); ed infatti, tale zio aveva allo scopo ingaggiato alcune persone che lo uccidessero (ma che riuscivano soltanto a ferirlo con un coltello alla schiena, mentre scappava) e lo aveva pure denunciato di una rapina commessa da altri nella casa vicina alla sua, in essa pure nascondendo una pistola che faceva trovare alla polizia; sicché, egli fuggiva dal proprio Paese, ricercato da chi lo voleva uccidere e dalle forze dell’ordine, lasciandovi la moglie con due figlie gemelle, giungendo in Italia nel settembre 2015, dopo un passaggio in Libia;
3. la Corte milanese escludeva quindi la ricorrenza di alcuna delle misure di protezione internazionale, pure in assenza, nella regione di provenienza del richiedente, di una condizione di violenza indiscriminata generalizzata, rilevante ai fini della protezione sussidiaria prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c); neppure versando il medesimo in una condizione meritevole di protezione umanitaria, in assenza di alcuna specifica vulnerabilità, sulla base delle sue dichiarazioni, poco credibili e contraddittorie, né di un inserimento socio-lavorativo, in mancanza di documentazione di attività lavorativa, né risultando la sua frequenza di corsi di lingua italiana o di formazione, tanto meno di significativi rapporti personali, continuando sua moglie e le figlie ad abitare in Nigeria;
4. con atto notificato il 28 gennaio 2020, lo straniero ricorreva per cassazione con cinque motivi; il Ministero dell’Interno intimato non resisteva con controricorso, ma depositava atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ult. alinea, cui non faceva seguito alcuna attività difensiva.
CONSIDERATO
CHE:
1. il ricorrente deduce nullità della pronuncia per omessa pronuncia sui motivi del ricorso, motivazione mancante o apparente, per la mera enunciazione dalla Corte territoriale dei principi normativi regolanti la materia, senza alcun riferimento alla vicenda narrata dal richiedente (primo motivo);
2. esso è infondato;
3. la Corte territoriale ha, infatti, pronunciato su tutte le domande di protezione devolute, sicché non ricorre l’omessa pronuncia denunciata, essendo noto che tale vizio si concreti nel difetto del momento decisorio, occorrendo per la sua integrazione che sia stato completamente omesso il provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto: ciò che si verifica quando il giudice non decida su alcuni capi della domanda autonomamente apprezzabili o sulle eccezioni proposte, ovvero quando pronunci solo nei confronti di alcune parti; mentre il mancato o insufficiente esame delle argomentazioni delle parti integra invece un vizio di natura diversa, relativo all’attività svolta dal giudice per supportare l’adozione del provvedimento, senza che possa ritenersi mancante il momento decisorio (Cass. 18 febbraio 2005, n. 3388; Cass. 3 marzo 2020, n. 5730);
3.1. e ciò al di là della formulazione di denuncia soltanto formale (anche) di omessa pronuncia, che è pure incompatibile con il vizio di motivazione, per la contraddittorietà della deduzione, in un unico motivo, dei due distinti vizi di omessa pronuncia e di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia. Il primo implica, infatti, la completa omissione del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto e si traduce in una violazione dell’art. 112 c.p.c., che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e non con la denuncia della violazione di norme di diritto sostanziale, ovvero del vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; il secondo presuppone invece l’esame della questione oggetto di doglianza da parte del giudice di merito, di cui si lamenti tuttavia l’adozione di una soluzione in modo giuridicamente non corretto ovvero senza adeguata giustificazione, da denunciare ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5: Cass. 18 giugno 2014, n. 13866; Cass. 5 marzo 2021, n. 6150), senza alcuno sviluppo argomentativo ed avendo comunque (anche in difetto di una specifica indicazione delle doglianze) la Corte territoriale pronunciato su tutte le domande di protezione devolute;
3.2. nonostante una sovrabbondante illustrazione, meramente ripetitiva, del quadro normativo delle misure richieste, che certamente non giova alla chiarezza di comprensione del percorso argomentativo a sostegno della decisione della specifica vicenda, neppure sussiste una motivazione meramente apparente;
3.3. essa ricorre, infatti, qualora non sia espressione di un autonomo processo deliberativo, come quando la sentenza di appello sia motivata per relationem alla sentenza di primo grado, attraverso una generica condivisione della ricostruzione in fatto e delle argomentazioni svolte dal primo giudice, senza alcun esame critico delle stesse in base ai motivi di gravame (Cass. 25 ottobre 2018, n. 27112); avendo invece la Corte lombarda fatto un esplicito, ancorché estremamente succinto, riferimento alla vicenda personale del richiedente per relationem alla sentenza del Tribunale (al secondo e terzo capoverso di pg. 3 della sentenza), condividendo, e pertanto assumendo come proprie, le ragioni del”/e motivazioni del Giudice di primo grado” (al quinto capoverso di pg. 5 della sentenza): ben potendo la sentenza d’appello essere motivata per relationem, purché il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicché dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente (Cass. 9 luglio 2016, n. 14786; Cass. 2 novembre 2018, n. 28139; Cass. 5 agosto 2019, n. 20883);
4. il ricorrente deduce poi violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, per il mancato esercizio del potere officioso, integrativo delle proprie dichiarazioni, nel rispetto del protocollo procedimentale di credibilità, con omissione pure di ogni accertamento sulla situazione generale dello Stato di provenienza (secondo motivo); violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, per omesso approfondimento istruttorio della condizione di corruzione della polizia nigeriana (come da report Easo 11 giugno 2018), rilevante ai sensi della lettera b) della norma denunciata, oltre che di violenza indiscriminata dipendente da conflitto armato in Edo State, di sua provenienza, rilevante ai sensi della lettera c) della stessa norma (terzo motivo); violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per violazione dell’obbligo di cooperazione istruttoria in ordine all’accertamento della situazione socio-politica di Edo State (quarto motivo);
5. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono fondati;
6. la valutazione di credibilità del richiedente deve essere sempre frutto di una valutazione complessiva di tutti gli elementi e non può essere motivata soltanto con riferimento ad elementi isolati e secondari o addirittura insussistenti, quando invece venga trascurato un profilo decisivo e centrale del racconto (Cass. 8 giugno 2020, n. 10908); sicché, prima di pronunciare il proprio giudizio sulla sussistenza dei presupposti per la concessione della protezione, il giudice deve osservare l’obbligo di compiere le valutazioni di coerenza e plausibilità delle dichiarazioni del richiedente, non già in base alla propria opinione, ma secondo la procedimentalizzazione legale della decisione sulla base dei criteri indicati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (Cass. 11 marzo 2020, n. 6897; Cass. 6 luglio 2020, n. 13944; Cass. 9 luglio 2020, n. 14674);
6.1. nel caso di specie, la valutazione di credibilità della Corte territoriale non è stata rispettosa di tale paradigma procedimentale, in difetto in particolare di riscontro del racconto del richiedente con “tutti i fatti pertinenti che riguardano il Paese d’origine al momento della domanda”, ai sensi del citato D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a (Cass. 4 gennaio 2021, n. 10): avendo omesso il dovuto approfondimento istruttorio, non risultando alcuna indicazione delle informazioni, né generali né specifiche, consultate pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione (Cass. 28 giugno 2018, n. 17075; Cass. 12 novembre 2018, n. 28990; Cass. 22 maggio 2019, n. 13897; Cass. 12 maggio 2020, n. 8819);
6.2. essa ha così violato il proprio obbligo di acquisizione officiosa delle necessarie informazioni relative al Paese d’origine del richiedente asilo che risultino complete, affidabili e aggiornate al momento della decisione (Cass. 12 novembre 2018, n. 28990; Cass. 22 maggio 2019, n. 13897; Cass. 20 maggio 2020, n. 9230), avendo omesso ogni pur doveroso accertamento officioso in merito alla situazione individuale ed alle circostanze personali del richiedente, non assolvendo all’obbligo di cooperazione istruttoria (Cass. 14 novembre 2017, n. 26921; Cass. 25 luglio 2018, n. 19716; Cass. 4 gennaio 2021, n. 10);
7. il ricorrente deduce infine violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per il mancato riconoscimento della protezione umanitaria in considerazione del contesto di grave carenza di tutela dei diritti fondamentali della persona in Edo State (quinto motivo);
8. esso è inammissibile;
9. ribadita l’autonomia della protezione umanitaria, per la quale il difetto d’intrinseca credibilità sulla vicenda individuale e sulle deduzioni ed allegazioni relative alle protezioni maggiori non estende gli effetti anche sulla domanda a quella relativa, soggetta ad oneri di deduzione e di allegazione in parte diversi (Cass. 18 aprile 2019, n. 10922; Cass. 2 novembre 2020, n. 24186), essi devono tuttavia essere pur sempre assolti dal richiedente, esigendosi comunque un esame autonomo delle condizioni di vulnerabilità, dovendo il giudice attivare anche su tale domanda il proprio dovere di cooperazione istruttoria, ove non sia genericamente proposta (Cass. 21 aprile 2020, n 7985);
9.1. la natura residuale ed atipica della protezione umanitaria implica sì che il suo riconoscimento debba essere frutto di valutazione autonoma, caso per caso e che il suo rigetto non possa conseguire automaticamente a quello delle altre forme tipiche di protezione; e tuttavia, sia che ciò comporti per chi la invochi l’onere di allegare in giudizio fatti ulteriori e diversi da quelli posti a fondamento delle altre due domande di protezione c.d. “maggiore” (Cass. 7 agosto 2019, n. 21123), sia che i fatti storici posti a fondamento della positiva valutazione della condizione di vulnerabilità possano essere gli stessi già allegati per ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato o la concessione della protezione sussidiaria, spettando poi al giudice qualificare detti fatti ai fini della riconduzione all’una o all’altra forma di protezione (Cass. 12 maggio 2020, n. 8819; Cass. 8 luglio 2021, n. 19548), resta comunque necessario, perché il giudice sia chiamato a verificare l’esistenza di seri motivi che impongano di offrire tutela a situazioni di vulnerabilità individuale, anche esercitando i poteri istruttori ufficiosi a lui conferiti, che il richiedente indichi i fatti costitutivi del diritto azionato e pertanto fornisca elementi idonei a far desumere che il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Cass. 2 luglio 2020, n. 13573): purché il richiedente non si limiti ad allegare una situazione di generica pericolosità del paese di origine, che non consenta una proiezione individualizzata idonea a consentire al giudice di merito la necessaria e concreta comparazione tra i due contesti di vita da parte dello straniero rispetto alla deprivazione nel godimento dei diritti fondamentali a cui sarebbe esposto in caso di rimpatrio (Cass. 4 agosto 2021, n. 22274);
9.2. nel caso di specie, a fronte di una valutazione giudiziale di inesistenza di una condizione di vulnerabilità del richiedente in correlazione con la vicenda concreta del medesimo, come da lui narrata (ultimi due capoversi di pg. 9 in riferimento all’ultimo di pg. 5 della sentenza), il motivo risulta assolutamente generico, in quanto astratto da ogni riferimento alla condizione soggettiva del richiedente;
10. pertanto il secondo, terzo e quarto motivo di ricorso devono essere accolti, rigettato il primo e inammissibile il quinto, con la cassazione della sentenza, in relazione ai motivi accolti e rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo, terzo e quarto motivo; rigettato il primo e inammissibile il quinto; cassa la sentenza, in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 20 gennaio 2022.
Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2022