LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –
Dott. CATALDI Michele – Consigliere –
Dott. CONDELLO Pasqualina – Consigliere –
Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –
Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso R.G. 3968/2014 proposti da:
RAIL CARGO LOGISTICS – ITALY S.R.L., già Express-Interfracht Italia s.r.l., con sede legale in *****, in persona del legale rappresentante pro tempore rappresentata e difesa dagli avv.ti Pietro Canzi e Giovanni Sina del foro di Milano, nonché dall’avv. Gabriele Pafundi con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, viale Giulio Cesare n. 14,
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12 presso l’Avvocatura generale dello Stato che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 125/20/13, della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della LOMBARDIA, depositata il 19 giugno 2013;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 02/02/2022 dal Consigliere Relatore Dott. RITA RUSSO.
RILEVATO
che:
Express Interfracht Italia s.r.l. (la cui denominazione sociale veniva successivamente modificata in Rail Cargo Logistics – Italy s.r.l.) ha impugnato, dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano, l’avviso di liquidazione n. ***** prot. ***** per imposta di registro relativa all’atto registrato il *****, avente ad oggetto la cessione dell’intera quota di partecipazione nella M.D.B. S.r.l. pari al 50% del capitale sociale, dalla M.D.B. S.p.a. alla ricorrente Express -Interfracht Italia S.r.l. (all’epoca dei fatti Express Italia S.r.l.). Con l’atto impositivo, l’Ufficio richiedeva il pagamento della somma di Euro 234.132,00 (oltre Euro 22.459,34 per interessi), a seguito di riqualificazione dell’operazione negoziale come un unico atto di cessione di azienda, calcolando l’aliquota del 3% sul valore negoziato, anziché in misura fissa.
In particolare, venivano riqualificati, ai sensi dell’art. 20 TUR, come un unico atto di cessione: a) la costituzione della società M.D.B. S.r.l. mediante conferimento del ramo d’azienda da parte della società M.D.B. S.p.a. – atto del *****, registrato a ***** al n. ***** serie *****; b) la cessione di quote della società M.D.B. s.r.l., pari al 50% del capitale sociale, dalla M.D.B. S.p.A. alla ricorrente – atto del *****, registrato il ***** a ***** al n. ***** serie *****; c) la cessione di quote della società M.D.B. S.r.l. pari al restante 50% del capitale sociale, dalla M.D.B. S.p.A. alla ricorrente. In primo grado il ricorso della società
contribuente è stato respinto. La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia ha respinto altersì il gravame ravvisando nella fattispecie un abuso del diritto essendo stati utilizzati negozi giuridici (leciti) stipulati a distanza di tempo non al fine di una riorganizzazione aziendale ma al fine di conseguire il risparmio di imposta su una operazione di cessione di azienda Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società affidandosi a due motivi. Si è costituita l’Agenzia delle entrate con controricorso.
All’udienza del 24 ottobre 2019, la causa è stata rinviata a nuovo ruolo, per la pendenza della questione di costituzionalità avanzata da questa Corte con ordinanza n. 23549 del 2019. In esito alla udienza del 2.12.2020 è stata ulteriormente rinviata a nuovo ruolo per la pendenza di latra questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Commissione tributaria provinciale di Bologna.
La causa è stata quindi nuovamente trattata all’adunanza camerale non partecipata del 2 febbraio 2022. La contribuente ha depositato memoria.
RITENUTO
che:
1. – Con il primo motivo si denuncia omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata rispetto a fatti decisivi della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, atteso che nei precedenti gradi di giudizio la società ricorrente si era fatta carico di spiegare e motivare le ragioni sulla base delle quali essa si era nel tempo determinata alla conclusione dei tre atti negoziali oggetto di verifica impositiva da parte dell’Agenzia delle entrate, mentre i giudici di appello avrebbero omesso di dare analitica e puntuale confutazione alle ragioni di carattere economico, contabile e giuridico evidenziate. L’adita Commissione si sarebbe limitata all’affermazione secondo cui il complesso degli atti in argomento, valutati quali elementi di un’unica operazione societaria, avrebbero potuto essere costituiti fin dall’origine da un unico negozio di trasferimento diretto, da M.D.B. S.p.A. alla ricorrente, del ramo di azienda in discussione, concludendo che nella specie si sia perpetuato un abuso del diritto.
L’argomentazione, invece, sarebbe, prima che erronea, del tutto inidonea a superare gli argomenti difensivi proposti dalla contribuente a fondamento delle proprie ragioni, posto che la sentenza in esame ometterebbe di considerare come la cessione di (ramo di) azienda comporti per l’acquirente l’assunzione di responsabilità non altrimenti previste nell’impianto negozia-le in concreto scelto dalle parti nella fattispecie in esame, oltre al fatto che, a norma dell’art. 2560 c.c., comma 2, l’acquirente risponderebbe dei debiti inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta, anteriori al trasferimento, come risultanti dai libri contabili obbligatori. La contribuente, inoltre, ritiene apodittica l’affermazione secondo cui risulterebbero nel caso di specie “preponderanti le conseguenze illustrate rispetto al vantaggio fiscale che si è inteso perseguire”.
2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 53 Cost., della L. n. 212 del 2000, art. 10, commi 1 e 3, e di ogni principio generale antielusivo in materia tributaria, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, atteso che i giudici di appello utilizzerebbero l’argomento dell’abuso del diritto al fine di confutare i primi tre dei quattro motivi svolti in secondo grado dalla ricorrente e riferiti, rispettivamente alle ragioni economico – giuridiche delle operazioni negoziali come in concreto conseguite, al principio di buona fede e del legittimo affidamento desumibile, rispetto alla disciplina della fattispecie, dal tenore dell’art. 176 TUIR, e all’effettivo contenuto dispositivo del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20. Tale principio potrebbe, secondo la ricorrente, trovare applicazione solo a partire dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 1465 del 2009, con cui si sarebbe posto fine alle contraddizioni emerse negli anni precedenti, con la conseguenza che una applicazione retroattiva di tale indirizzo violerebbe lo Statuto dei diritti del contribuente.
3.- Il secondo motivo del ricorso deve essere esaminato prioritariamente per il suo carattere potenzialmente assorbente. Il motivo è fondato 3.1. – Ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, come modificato dalla L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 87, e dalla L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 1084, ai fini dell’imposta di registro, l’interpretazione degli atti presentati alla registrazione deve avvenire solo in base al loro contenuto, senza fare riferimento ad atti collegati o ad elementi extratestuali.
Prima degli interventi normativi del 2017/2018 la giurisprudenza di questa Corte, con alcune isolate pronunce, aveva affermato il principio secondo cui l’attività riqualificatoria dell’Ufficio, “che non è tenuto ad accogliere acriticamente la qualificazione prospettata dalle parti ovvero quella ” forma apparente “alla quale lo stesso art. 20, (nella formulazione anteriore alla L. n. 205 del 2017), fa riferimento”, incontra il limite dell’insuperabilità della forma e dello schema negoziale tipico in cui l’atto presentato alla registrazione risulti inquadrabile, “pena l’artificiosa costruzione di una fattispecie imponibile diversa da quella voluta e comportante differenti effetti giuridici”, per cui, in mancanza di prova, a carico dell’Amministrazione finanziaria, di un disegno elusivo, ricorre piuttosto “un’ipotesi di libera scelta di un tipo negoziale invece di un altro” (Cass. n. 2054 del 2017, Cass. n. 722 del 2019 e Cass. n. 6790 del 2020). In effetti, anche nella precedente formulazione della disposizione, in cui non vi era il riferimento esplicito alla irrilevanza degli elementi esterni all’atto, l’art. 20, fondava l’imposizione sugli effetti giuridici dell’atto e sulle conseguenze che questi erano idonei a produrre. Ciononostante, la giurisprudenza maggioritaria era orientata nel senso che dovesse indagarsi la causa reale o concreta dei negozi, dando rilievo al collegamento negoziale tra contratti al fine di valutarne l’effetto finale, ovvero alla regolamentazione degli interessi effettivamente perseguita dai contraenti, anche mediante una pluralità di pattuizioni non contestuali tra loro collegate (Cass. n. 13610 del 2018).
L’intervento legislativo è avvenuto in due tempi: dapprima con la legge di bilancio 2018 (L. n. 25 del 2017) affermando la necessità di applicare l’imposta “sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati” e la seconda con la legge di bilancio 2019 (L. n. 145 del 2018) affermando che si tratta di una norma di interpretazione autentica e quindi dotata – per definizione – di efficacia retroattiva (cfr. Cass. n. 23549 del 2019), essendo stato chiarito il senso di una norma preesistente, eliminando oggettive incertezze interpretative e rimediando ad una interpretazione giurisprudenziale non in linea con la politica del diritto voluta dal legislatore medesimo.
In questi termini si è espressa la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 158/2020, allorquando ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale, posta da questa Corte di legittimità (ord. n. 23549 del 2019), in relazione agli artt. 3 e 53 Cost., del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, come modificato dalla L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 87, e dalla L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 1084, nella parte in cui prevede che, ai fini dell’imposta di registro, l’interpretazione degli atti presentati alla registrazione debba avvenire solo in base al loro contenuto, senza fare riferimento ad atti collegati o ad elementi extra testuali.
3.2. – La Corte Costituzionale, premesso che l’interpretazione evolutiva, cui la giurisprudenza della Corte di cassazione è pervenuta circa la rilevanza della causa concreta del negozio ai fini della tassazione di registro, non equivale a priori a un’interpretazione costituzionalmente necessitata, ha osservato che l’esclusione dalla rilevanza interpretativa degli elementi extratestuali e degli atti collegati, disposta dal legislatore con i menzionati interventi normativi del 2017 e 2018, non si pone in contrasto con i parametri costituzionali. Con successiva sentenza n. 39 del 16 marzo 2021 la Corte Costituzionale ha ribadito il giudizio di non fondatezza della questione di legittimità costituzionale della L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 1084, in relazione alla violazione degli artt. 3 e 53 Cost..
Nel richiamare la precedente pronuncia la Corte ha ritenuto che la retroattività conseguente alla natura di interpretazione autentica riconosciuta alla L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 87, lett. a), trova adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasta con altri valori e interessi costituzionalmente protetti, avuto riguardo al carattere di sistema assunto dall’intervento legislativo oggetto di scrutinio, e che, per tale motivo, si sottrae al dubbio sollevato dal remittente.
3.3. – In sintesi, il legislatore, con un intervento ritenuto conforme ai parametri costituzionali, ha voluto imporre una interpretazione isolata dell’atto da sottoporre a registrazione, fondata unicamente sugli elementi da esso desumibili, ribadendo così la natura d’imposta d’atto dell’imposta di registro, la quale colpisce l’atto sottoposto a registrazione quale risulta dallo scritto.
La più recente giurisprudenza di questa Corte si è pertanto orientata nel senso che: “In tema di imposta di registro, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 – nella formulazione successiva alla L. n. 205 del 2017 che, secondo la L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 1084, ne ha fornito l’interpretazione autentica e alla luce delle sentenze della Corte costituzionale n. 158 del 2020 e n. 39 del 2021 – è legittima l’attività di riqualificazione dell’atto da registrare da parte dell’Amministrazione soltanto se operata “ab intriseco”, cioè senza alcun riferimento agli atti ad esso collegati e agli elementi extra-testuali, non potendosi essa fondare sull’individuazione di contenuti diversi da quelli ricavabili dalle clausole negoziali e dagli elementi comunque desumibili dall’atto” (Cass. n. 10688 del 2021; Cass. n. 9065 del 2021).
4.- Ne’ può dirsi che la riqualificazione sia diretta di per sé a far rilevare una forma di abuso del diritto o di elusione fiscale, ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 10-bis, trattandosi di ipotesi estranea alla ermeneutica dell’atto da registrare. L’azione accertatrice, in tali casi, si deve attuare mediante apposito e motivato atto impositivo, preceduto – a pena di nullità – da una richiesta di chiarimenti, che il contribuente può fornire entro un certo termine, il tutto da svolgersi all’interno di uno specifico procedimento di garanzia.
Pertanto, se una diversa lettura del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, così come risulta autenticamente interpretato dal legislatore, non appare più consentita dopo la sentenza n. 158/2020 della Corte Costituzionale, ove ricorra l’abuso del diritto, mediante l’applicazione dello Statuto del Contribuente, art. 10 bis, stante l’espresso richiamo contenuto nel D.P.R. n. 131 del 1986, art. 53 bis, si richiede, per superare la qualificazione formale dell’atto, la prova dell’illegittimo risparmio fiscale, oltre che il rispetto delle garanzie procedimentali di cui si è detto (Cass. n. 10688 del 2021). Eventuali condotte di sottrazione all’imposizione di effettiva ricchezza imponibile rilevano sotto il profilo dell’abuso del diritto, ma alla loro repressione, non è funzionale la disposizione di cui al citato art. 20.
Dalle superiori considerazioni consegue, in accoglimento del secondo motivo di ricorso assorbito il primo, la cassazione della sentenza impugnata e non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto può decidersi nel merito accogliendo l’originario ricorso della società contribuente.
Le spese del complessivo giudizio possono essere compensate, per la complessità della questione interpretativa trattata, e in ragione del recente consolidamento della giurisprudenza nei termini sopra precisati.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo del ricorso, assorbito il primo; cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito accoglie l’originario ricorso della società contribuente. Compensa interamente le spese del doppio grado di merito e del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 febbraio 2022.
Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2022