LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –
Dott. CATALDI Michele – Consigliere –
Dott. CONDELLO Pasqualina – Consigliere –
Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –
Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso R.G. 6986/2018 proposti da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12 presso l’Avvocatura generale dello Stato che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
P.A., P.G. e F.A. in qualità di eredi di P.N. elettivamente domiciliati in Pulsano (TA) alla via Paolucci 46 nello studio legale dell’avvocato Nicola D’andria che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Michele Zonno entrambi del foro di Taranto, domicilio in Roma presso la Cancelleria della Corte di Cassazione;
avverso la sentenza n. 2566/28/17 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della PUGLIA, depositata il 23.8.2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 02/02/2022 dal Consigliere Relatore Dott. RITA RUSSO.
RILEVATO
che:
Il contribuente ha proposto ricorso avverso un avviso di accertamento con il quale l’ufficio di registro di Taranto ha elevato il valore di un immobile ricevuto con atto di donazione del *****. Il ricorso del contribuente è stato respinto con sentenza di primo grado 53/02/2006; di conseguenza con avviso di liquidazione de125 febbraio 2010 l’ufficio ha chiesto il pagamento delle maggiori imposte e interessi dovuti a seguito della predetta sentenza.
Il contribuente ha proposto ricorso, oggetto del presente giudizio, avverso quest’ultimo avviso di liquidazione, deducendo una irregolare notifica dell’avviso di trattazione del primo giudizio nonché la mancata notifica della sentenza 53/02/2006, e pertanto una violazione del contraddittorio, per cui detta sentenza non poteva considerarsi validamente emessa né passata in giudicato. Il ricorso è stato accolto. L’Agenzia ha proposto appello, che la Commissione regionale della Puglia ha disatteso, annullando la sentenza 53/02/2006 e l’avviso impugnato di cui la sentenza è il presupposto, sul rilievo che dagli atti risulta che effettivamente il contribuente non era a conoscenza della trattazione della causa e non è stato informato dell’esito dell’udienza e della pubblicazione della sentenza.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate, affidandosi ad un motivo.
Si sono costituiti gli eredi di P.N. con controricorso.
La causa è stata trattata all’udienza camerale non partecipata del 2 febbraio 2022.
RITENUTO
che:
1. – Con l’unico motivo del ricorso l’Agenzia lamenta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 31, 37 e 38, nonché degli artt. 324 e 327 c.p.c.. La parte ricorrente deduce che la sentenza 53/02/2006, sulla base della quale essa Agenzia ha emesso l’avviso oggi impugnato, è passata in giudicato perché non è stata impugnata; i vizi lamentati dal contribuente avrebbero dovuto essere fatti valere con un apposito gravame.
Il motivo è fondato.
La parte avrebbe dovuto autonomamente impugnare la sentenza n. 53, anche al fine di far valere il difetto di contraddittorio, e la (dedotta) nullità del processo e della sentenza per lesione del diritto di difesa, e non limitarsi ad impugnare il conseguente avviso di liquidazione davanti al giudice di primo grado. La predetta nullità, ove sussistente, si converte infatti in motivo di gravame. Il giudice investito della impugnazione dell’avviso di accertamento è privo del potere di annullare la sentenza presupposta, altra e diversa rispetto a quella innanzi a lui ritualmente impugnata, e sulla quale, in difetto di autonoma e rituale impugnazione, si forma il giudicato, che non può essere messo in discussione se non per mezzo degli appositi rimedi – ove ne sussistano i presupposti – di impugnazione straordinaria previsti dall’art. 395 c.p.c..
Ne’ può invocarsi la ignoranza del processo da parte del contribuente, il quale era edotto della sua pendenza, avendolo introdotto lui stesso in primo grado, con conseguente inderogabilità del termine lungo per impugnare ex art. 327 c.p.c., valevole anche in ambito tributario.
Questa Corte ha già affermato il principio, cui il Collegio intende dare continuità, secondo il quale “nel processo tributario l’ammissibilità dell’impugnazione tardiva, oltre il termine “lungo” dalla pubblicazione della sentenza, previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 38, comma 3, presuppone che la parte dimostri “l’ignoranza del processo”, ossia di non averne avuto alcuna conoscenza per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell’avviso di fissazione dell’udienza, situazione che non si ravvisa in capo al ricorrente costituto in giudizio, cui non può dirsi ignota la proposizione dell’azione, dovendosi ritenere tale interpretazione conforme ai principi costituzionali ed all’ordinamento comunitario, in quanto diretta a realizzare un equilibrato bilanciamento tra le esigenze del diritto di difesa ed il principio di certezza delle situazioni giuridiche. Ne’ assume rilievo l’omessa comunicazione della data di trattazione, che è deducibile quale motivo di impugnazione ai sensi dell’art. 161 c.p.c., comma 1, in mancanza della quale la decisione assume valore definitivo in conseguenza del principio del giudicato” (Cass. n. 9330 del 11/04/2017).
Ciò posto, è vero che nel caso di notificazione di atto conseguente ad altro atto non notificato, il contribuente è ammesso (art. 19) ad impugnare entrambi, ma ciò nell’ipotesi di consecuzione di atti impositivi, mentre nel caso di specie l’atto presupposto era costituito da un giudicato avente regole di formazione ed opponibilità sue proprie.
Ne consegue, in accoglimento del ricorso, la cassazione della sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, può decidersi nel merito rigettando l’originario ricorso del contribuente.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso del contribuente. Condanna i controricorrenti alle spese del giudizio, che si liquidano: per il giudizio di legittimità, in Euro 2.300,00 oltre spese prenotate a debito; per la fase di merito, in Euro 1.500,00 oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio tenutasi da remoto, il 2 febbraio 2022.
Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2022
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