LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Presidente –
Dott. CATALDI Michele – Consigliere –
Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –
Dott. RUSSO Rita – Consigliere –
Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 4017/2016 proposto da:
Immobiliare C.D.L. srl, in persona del legale rapp.nte pro tempore, rappresentato e difeso in giudizio dall’avv. Giuseppe Maria Cipolla di Roma, come da procura in atti, ivi el.dom.to V.le G.Mazzini 134;
– parte ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentato e difeso in giudizio dall’Avvocatura Generale dello Stato presso la quale è ex lege domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;
– parte controricorrente –
Ricorso avverso sentenza Commissione Tributaria Regionale Abruzzo n. 675 del 7.7.2015;
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 2.2.2022 dal Presidente Giacomo Maria Stalla.
FATTI RILEVANTI E RAGIONI DELLA DECISIONE p. 1.1 La Immobiliare C.D.L. srl propone due motivi di ricorso per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata, con la quale la commissione tributaria regionale, in riforma della prima decisione, ha ritenuto legittimo l’avviso di liquidazione notificatole in recupero di imposta proporzionale ipotecaria e catastale, già dalla società autoliquidata in misura fissa, sulla seguente operazione dall’Agenzia delle Entrate unitariamente riqualificata, D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 20, in termini di cessione di azienda e non di conferimento:
– *****, costituzione di una nuova società denominata Valleverde Costruzioni srl;
– pari data, conferimento nella stessa dell’azienda commerciale della Bianchi srl, costituita da terreni edificabili e fabbricati; con attribuzione a Gestam srl del 95% delle quote della nuova società ed alla Bianchi srl del residuo 5%;
– *****, cessione da parte di quest’ultima a favore della Immobiliare C.D.L. srl, socia al 100% di Gestam srl, della propria quota del 5% nella Valleverde Costruzioni.
La commissione tributaria regionale, in particolare, ha osservato che:
– mediante il collegamento negoziale e la considerazione unitaria dei vari atti stipulati emergeva l’effettivo intento (causa reale) delle parti, rileva ai fini della riqualificazione: “far acquisire alla Gestam srl l’azienda della Bianchi srl, costituendo la Valle verde Costruzioni srl e, quindi, riconducendo in capo ad essa Gestam srl la totalità delle quote della predetta neocostituita società attraverso la cessione di quelle possedute dalla Bianchi alla Immobiliare C.D.L. srl, socia al 100% della Gestam srl”;
questa articolata operatività era valsa ad eludere le norme tributarie in materia di imposta di registro “facendo conseguire alle appellate un risparmio di imposta attuato attraverso la stipula di atti sottoposti a tassazione fissa nonostante il medesimo risultato potesse essere raggiunto con la cessione diretta alla Gestam srl dell’azienda della Bianchi srl (…)”;
p. 1.2 Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate la quale eccepisce preliminarmente la tardività del ricorso per cassazione, perché notificato l’8 febbraio 2016 a fronte di una sentenza di appello depositata il 7 luglio 2015 e notificata il 21 settembre 2015, “come da documentazione allegata”.
La società ricorrente ha depositato memorie.
Con ordinanze 13 gennaio 2021 e 14 luglio 2021 questa Corte ha disposto il rinvio a nuovo ruolo del procedimento, sia in attesa della pronuncia della Corte Costituzionale sulla nuova formulazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, sia per acquisire il fascicolo d’ufficio e verificare l’effettiva notificazione della sentenza di appello.
Espletato l’incombente, il ricorso è stato nuovamente assegnato alla decisione che segue.
p. 1.3 L’eccezione di tardività del ricorso è infondata, dal momento che dalla documentazione in atti non risulta che la sentenza di appello sia stata dall’amministrazione finanziaria notificata alla Immobiliare C.D.L. srl, così da far decorrere il termine breve di impugnazione.
Va d’altra parte considerato che l’agenzia delle entrate, non solo non ha allegato documentazione relativa a tale asserita notificazione (neppure reperibile nel fascicolo d’ufficio appositamente acquisito), ma appare al contempo essa stessa contraddittoria sulla circostanza che questa notificazione si sia in effetti verificata. Se a pagina 4 del controricorso essa assume infatti per pacifica l’avvenuta notificazione, non così accade a pagina 1 del medesimo atto difensivo, laddove la stessa insiste per la conferma della sentenza di appello, depositata il 7 luglio 2015 e “non notificata”.
In questa situazione va dunque rilevata la tempestività, e non la tardività, del ricorso per cassazione in quanto notificato l'*****, ultimo giorno utile (essendo il ***** domenica) rispetto al termine lungo semestrale dalla pubblicazione della sentenza.
p. 2. Con il primo motivo di ricorso la società lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – violazione e falsa applicazione di legge (D.P.R. n. 131 del 1986, art. 57, e del D.Lgs. n. 347 del 1990, art. 11), per non avere la Commissione Tributaria Regionale rilevato la sua carenza di legittimazione tributaria passiva perché estranea al conferimento riqualificato (intercorso tra società diverse, anche se partecipate).
Con il secondo motivo di ricorso la società lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, per gli effetti riflessi sull’imposta ipotecaria e catastale; dal momento che questa disposizione non avrebbe funzione antielusiva ma di mera riqualificazione e che, inoltre, quest’ultima deve avvenire in base agli effetti giuridici, non economici, dell’atto, e nella sola considerazione intrinseca di questo, quindi “senza poter attribuire rilievo alle vicende economiche eventualmente sottese al medesimo o a qualunque altro elemento che sia esterno rispetto all’atto registrato” (ric.pag.13).
p. 3. Il secondo motivo di ricorso è fondato, con assorbimento della prima doglianza.
Il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 (norma qui richiamata dall’Amm.ne Finanziaria in quanto ritenuta valevole anche ai fini dell’imposta ipo-catastale sulla trascrizione e voltura degli immobili costituenti l’azienda asseritamente trasferita) è stato fatto oggetto – nel corso del presente giudizio – di modificazioni di diretta e fondamentale incidenza sul caso in esame.
La L. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 87, lett. a), (cd. legge di bilancio 2018) ne ha infatti modificato la previgente formulazione (“L’imposta è applicata secondo l’intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”), la quale trova oggi una più circoscritta definizione normativa.
Ribadito il principio basilare di prevalenza della sostanza sulla forma, l’intervento legislativo di riforma – superando un opposto orientamento applicativo di legittimità – ha ristretto l’oggetto dell’interpretazione al solo atto presentato alla registrazione, ed agli elementi soltanto da quest’ultimo desumibili. Non rilevano quindi più, come espressamente indicato dal legislatore, gli elementi evincibili da atti eventualmente ad esso collegati, così come quelli riferibili ad indici esterni o fonti extratestuali: “L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”.
Successivamente a questa prima modificazione – ed anche in tal caso a seguito di un diverso avviso di legittimità – il legislatore è nuovamente intervenuto per affermare la natura interpretativa autentica, e dunque retroattiva, della nuova formulazione dell’art. 20, così come risultante dopo la cit. L. n. 205 del 2017.
Il 1 gennaio 2019, infatti, è entrata in vigore la L. 30 dicembre 2018, n. 145, art. 1, comma 1084, (bilancio di previsione per l’anno 2019), secondo cui: “La L. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 87, lett. a), costituisce interpretazione autentica del testo unico di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, comma 1”.
Dal che si evince come la riformulazione in esame (nel senso della esclusione, dal processo di qualificazione dell’atto, degli elementi extratestuali e di collegamento negoziale) si renda applicabile – fermi i rapporti di registrazione ormai esauriti o coperti dal giudicato – anche agli atti negoziali posti in essere, come quello qui dedotto, prima del 1 gennaio 2018.
A completare la ricostruzione del travagliato quadro interpretativo, va detto che questa corte di legittimità, con l’ordinanza n. 23549/19, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in rapporto agli artt. 53 e 3 Cost., dell’art. 20, così come risultante dagli interventi apportati dalla L. n. 205 del 2017, citati art. 1, comma 87, (L. di bilancio 2018) ed L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 1084, (L. di bilancio 2019), “nella parte in cui dispone che, nell’applicare l’imposta di registro secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, si debbano prendere in considerazione unicamente gli elementi desumibili dall’atto stesso, “prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi””.
Richiamato il pregresso consolidato orientamento di legittimità sulla rilevanza qualificatoria della causa concreta del contratto e del collegamento negoziale, ed assodato che anche in base alla riforma del 2017 l’interpretazione dell’atto deve rispondere (indipendentemente da finalità antielusive) a criteri di sostanza e non puramente formali e nominali, si è in sintesi ritenuto che l’esclusione, dall’attività di qualificazione, degli elementi extra-testuali e di collegamento negoziale potesse fondatamente incidere sia sul principio di capacità contributiva (art. 53 Cost.), impedendo di cogliere il reale sostrato economico risultante dall’atto presentato alla registrazione (inteso non come documento ma quale complesso negoziale con causa unitaria); sia sul principio di uguaglianza e ragionevolezza (art. 3 Cost.), sottraendo ad imposizione di registro manifestazioni di forza economica non razionalmente e coerentemente differenziabili sulla base del solo fatto esteriore che le parti abbiano stabilito di attuare il proprio assetto di interessi con un unico atto negoziale piuttosto che con più atti tra loro collegati.
Con la sentenza n. 158/2020 (GU 22/7/2020) la Corte Costituzionale ha tuttavia ritenuto non fondati i dubbi così sollevati, osservando che:
– ferma restando l’insindacabilità da parte del giudice delle leggi della interpretazione evolutiva attribuita dalla Corte di Cassazione, in funzione nomofilattica, all’art. 20, in parola, siccome riferita alla causa concreta dell’atto ed alla rilevanza del collegamento negoziale, non può dirsi, diversamente da quanto affermato dal giudice remittente, che tale interpretazione sia l’unica costituzionalmente necessitata, essendo infatti compatibili con la Costituzione anche nozioni diverse di “atto presentato alla registrazione” e di “effetti giuridici” in relazione alle quali considerare la capacità contributiva espressa;
– la scelta del legislatore del 2017 di discrezionalmente escludere ogni rilevanza agli elementi extra-testuali ed ai negozi collegati (salvo che negli specifici casi desumibili da diverse disposizioni dello stesso TU Registro) deve ritenersi non arbitraria, ed anzi coerente con i principi ispiratori dell’imposta di registro e, in particolare, sia con la sua natura, storicamente riconosciuta, di ‘imposta d’attò, sia con la tipizzazione tariffaria e per effetti giuridici, non economici, degli atti imponibili;
– la tesi dell’interpretazione dell’atto incentrata sulla nozione di causa reale non appare coerente con la sopravvenuta introduzione nell’ordinamento della L. n. 212 del 2000, art. 10 bis, poiché “consentirebbe all’amministrazione finanziaria, da un lato, di operare in funzione antielusiva senza applicare la garanzia del contraddittorio endoprocedimentale stabilita a favore del contribuente e, dall’altro, di svincolarsi da ogni riscontro di “indebiti” vantaggi fiscali e di operazioni “prive di sostanza economica, precludendo di fatto al medesimo contribuente ogni legittima pianificazione fiscale (invece pacificamente ammessa nell’ordinamento tributario nazionale e dell’Unione Europea)”.
La stessa questione di legittimità costituzionale già esaminata da C. Cost. 158/20 è stata sollevata, con ordinanza di rimessione 13 novembre 2019, anche dalla Commissione Tributaria Provinciale di Bologna la quale ha altresì sottoposto al vaglio del giudice delle leggi, in via subordinata, la diversa ed ulteriore questione della legittimità costituzionale della L. 30 dicembre 2018, n. 145, cit. art. 1, comma 1084, in forza del quale la L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 87, lett. a), “costituisce interpretazione autentica” del D.P.R. n. 131 del 1986, censurato art. 20.
A detta della CTP (che ha sollevato la questione ex artt. 3,81,97,101,102,108 e 24 Cost.) l’attribuzione testuale di carattere interpretativo autentico alla norma innovativa (escludente il collegamento negoziale dall’attività di qualificazione dell’atto ex art. 20) sarebbe unicamente finalizzata a sancire la retroattività della novella (effetto tipico, appunto, delle norme di interpretazione autentica), e ciò in presenza di tre profili di irragionevolezza:
– la mancanza di un preesistente contrasto interpretativo, stante il consolidato orientamento di legittimità (poc’anzi riportato) secondo cui, al contrario, l’atto da registrare andrebbe qualificato anche in virtù del suo collegamento causale con atti ed elementi esterni;
– la non prevedibilità da parte degli operatori della innovazione apportata, costituente una sorta di “forzatura” del legislatore rispetto ad un quadro interpretativo che, sebbene in senso opposto, doveva ritenersi del tutto certo e non necessitante di chiarimenti;
– l’insussistenza di “motivi imperativi di interesse generale” giustificanti l’adozione eccezionale di una norma retroattiva, come tale destinata ad interferire anche sui procedimenti in corso e sulla “parità delle armi” tra i contendenti (art. 6 CEDU).
Ulteriori dubbi di legittimità sono poi stati dedotti sotto il profilo della menomazione delle ragioni di bilancio, della indebita ingerenza del legislatore nella sfera di autonomia del potere giudiziario, della violazione del diritto di difesa dell’amministrazione finanziaria nei giudizi da questa già radicati sulla base della precedente lettura dell’art. 20.
Orbene, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 39/21 (GU 17/3/21), ha richiamato – quanto alla legittimità in sé del nuovo testo dell’art. 20 – il convincimento di infondatezza della questione così come già emerso con la menzionata sentenza n. 158/20; ha quindi dichiarato inammissibili (ex art. artt. 24,81,97,101,102 e 108 Cost.), ovvero infondati (ex art. 3 Cost.), gli ulteriori dubbi di legittimità costituzionale sulla retroattività ‘per interpretazione autenticà della nuova disciplina.
In ordine a quest’ultimo profilo, ha osservato la Corte che:
– non è irragionevole attribuire efficacia retroattiva ad un intervento che abbia carattere di sistema come quello inciso, posto che il legislatore ha in tal modo “certamente fissato uno dei contenuti normativi riconducibili, più che all’ambito semantico di una singola disposizione, a quello dell’intero “impianto sistematico della disciplina sostanziale e procedimentale dell’imposta di registro”, dove la sua origine storica di “imposta d’atto” “non risulta superata dal legislatore positivo” (sentenza n. 158 del 2020)”; nemmeno, l’intervento può dirsi irragionevole quando esso sia determinato “dall’intento di rimediare a un’opzione interpretativa consolidata nella giurisprudenza (anche di legittimità) che si è sviluppata in senso divergente dalla linea di politica del diritto giudicata più opportuna dal legislatore (sentenza n. 402 del 1993)”, fermo restando che l’interpretazione di legittimità dell’art. 20 non risultava comunque del tutto monolitica, trovando anche forte dissenso nella dottrina;
non può dirsi che la modificazione legislativa fosse a tal punto ‘imprevedibile’ da palesarsi irragionevole (neppure nella sua attribuita efficacia retroattiva), ponendosi invece essa su un piano di rispettata “coerenza interna della struttura dell’imposta con il suo presupposto economico”, secondo quanto già osservato con la sentenza 158/20; quanto alla asserita violazione del principio di uguaglianza, valgono i principi già evidenziati in quest’ultima pronuncia sul fatto che la disciplina del 2017 non leda l’art. 3 (e neppure l’art. 53 Cost.), dovendosi qui aggiungere (per quanto concerne lo specifico aspetto della retroattività) che “nella giurisprudenza sovranazionale si riconosce che le norme della CEDU sono volte a tutelare i diritti della persona “contro il potere dello Stato e della Pubblica Amministrazione” e non viceversa”.
p. 4. All’esito del complesso iter normativo e giurisprudenziale così riassunto, la sentenza della commissione tributaria regionale qui impugnata non può dunque trovare condivisione, perché confermativa di un avviso di liquidazione basato proprio su un’attività di riqualificazione in termini di unitaria cessione aziendale di una serie collegata ma esterna di altri atti ed operazioni negoziali (come su ricostruiti, anche nella loro sequenza cronologica: costituzione di newco; conferimento in essa di azienda ad oggetto immobiliare; successiva cessione delle quote; partecipazione totalitaria della ricorrente nella cessionaria).
Vale a dire, un’attività (ricostruzione “per estrinseco”) non più consentita dalla legge e dalla natura di “imposta d’atto” che, come osservato dalla Corte Costituzionale nella menzionata pronuncia, ancora oggi riveste l’imposta di registro.
Ne segue, in definitiva, la cassazione della sentenza impugnata.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, sussistono i presupposti per la decisione nel merito, ex art. 384 c.p.c., mediante accoglimento del ricorso originario di parte contribuente ed annullamento dell’avviso di liquidazione opposto.
Attesi il sopravvenire in corso di causa dell’evoluzione normativa di cui si è dato conto ed il diverso orientamento interpretativo di legittimità sul quale questa evoluzione è intervenuta, sussistono i presupposti per la compensazione delle spese dell’intero giudizio.
PQM
accoglie il ricorso;
cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario della parte contribuente;
compensa le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della quinta sezione civile, mediante collegamento da remoto, il 2 febbraio 2022.
Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2022
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